Tra migranti e transizione verde, l’Europarlamento si spacca sulle priorità della presidenza danese dell’Ue

Lug 9, 2025 - 00:00
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Tra migranti e transizione verde, l’Europarlamento si spacca sulle priorità della presidenza danese dell’Ue

Bruxelles – Buona la prima per Mette Frederiksen al Parlamento europeo. Presentando a Strasburgo le priorità della presidenza danese dell’Ue (una sostanziale fotocopia dell’agenda della Commissione), la premier socialdemocratica ha incassato apprezzamenti da quasi tutti i gruppi dell’emiciclo. Il quale però si spacca: sul tema della migrazione, la linea dura di Copenaghen piace alle forze della destra (moderata e radicale) ma mette in imbarazzo i progressisti, che preferiscono concentrarsi sul Green deal.

Poteva sembrare un intervento di Ursula von der Leyen quello tenuto stamattina (8 luglio) da Mette Frederiksen all’Aula di Strasburgo. La premier socialdemocratica ha ripetuto di fronte agli eurodeputati le priorità del semestre danese, già esposte la scorsa settimana ad Aarhus: difesa e sicurezza da un lato, competitività ed economia verde dall’altro.

“L’Europa sta affrontando le maggiori sfide dal 1940“, ha esordito la prima ministra di Copenaghen: il conflitto in Ucraina, la questione migratoria, la crisi mediorientale, la guerra commerciale con gli Stati Uniti, la concorrenza sulle tecnologie strategiche e la crisi climatica. Così, la responsabilità della presidenza danese è quella di “trovare i giusti compromessi“, sia tra i colegislatori (Eurocamera e Consiglio) sia tra gli Stati membri. Con l’obiettivo, ripetuto instancabilmente, di “costruire un’Europa più sicura, più verde e più competitiva“.

Mette Frederiksen
La premier danese Mette Frederiksen (foto: Fred Marvaux/Parlamento europeo)

Difesa e sicurezza

La dimensione della sicurezza viene declinata da Copenaghen lungo le due direttrici della difesa, quella militare e quella dei confini. Per Frederiksen “tagliare la spesa in difesa negli ultimi 30 anni è stato un gigantesco errore che non possiamo ripetere” e adesso è ora che gli europei si assumano la responsabilità della propria sicurezza. Quella posta dalla Russia (che, ammonisce, non si fermerà all’Ucraina) è una “minaccia militare credibile all’Europa e alla Nato“: “L’Europa non è in pace – ragiona – e dunque dobbiamo riarmarci“.

Del resto, come ammette lei stessa, il riarmo è la priorità assoluta per il suo governo, che nel 2022 ha fatto marcia indietro sull’opt-out gelosamente mantenuto per decenni in materia di difesa e, appena un mese fa, ha abbandonato il club dei cosiddetti “frugali” con un’altra svolta storica tesa a liberarsi le mani in fatto di spesa militare (eventualmente anche comune). “L’Europa dev’essere in grado di difendersi entro il 2030“, ha ribadito la premier.

Il nodo della migrazione

Ma il vero fulcro del dibattito è stato il contrasto all’immigrazione irregolare, che ha generato un cortocircuito politico tra i banchi di Strasburgo. “Una sfida per l’Europa, che ha un impatto sulla vita delle persone e la coesione delle società“, la definisce Frederiksen in un passaggio indistinguibile dai tradizionali cavalli di battaglia delle destre nazionaliste. “I cittadini hanno diritto a sentirsi sicuri nei propri Paesi“, ha incalzato, aggiungendo che “dobbiamo rafforzare le frontiere esterne, ridurre l’affluenza dei migranti in Europa e contribuire a stabilizzare i Paesi vicini all’Ue rendendo il processo dei rimpatri più semplice e più efficiente“.

Jeroen Lanaers
L’eurodeputato del Ppe Jeroen Lanaers (foto: Fred Marvaux/Parlamento europeo)

La Statminister ha rivendicato orgogliosamente la propria posizione – una tra le più dure al Consiglio europeo, dove da tempo ha trovato la sponda di Giorgia Meloni, Friedrich Merz e molti altri leader per approfondire le cosiddette “soluzioni innovative” (cioè espulsioni e rimpatri forzati degli esseri umani sgraditi) – sostenendo che non si pone in contraddizione con l’appartenenza alla famiglia socialdemocratica. “Credo che dobbiamo avere la possibilità di decidere chi viene nel nostro Paese e nel nostro continente“, ha tagliato corto, esortando a “lasciare da parte le linee di partito e pensare a cosa serve all’Europa”.

Al netto dei suoi equilibrismi, sul punto Frederiksen ha ottenuto il supporto trasversale di tutti i partiti alla destra del centro. Dai ranghi dei Popolari, Jeroen Lenaers si è compiaciuto di “vedere una leader socialista seria e pragmatica e disposta a impegnarsi” per implementare un “sistema fermo ed efficace“, che poi è quello proposto dal von der Leyen bis (il Collegio più a destra di sempre dove la metà dei seggi è in quota Ppe).

Il co-capogruppo dei Conservatori (Ecr), il meloniano Nicola Procaccini, ha promosso la linea di Copenaghen perché ricalca il pugno duro del governo italiano: “Apprezzo i propositi sulla lotta all’immigrazione illegale, la protezione delle frontiere esterne, la necessità di agevolare i rimpatri di chi non ha diritto all’asilo”, ha dichiarato, scagliandosi poi contro la sinistra che “continua a perseguire una dottrina immigrazionista no-border come in Spagna o in Italia“.

Nicola Procaccini
Il co-capogruppo di Ecr a Strasburgo Nicola Procaccini (foto: Alexis Haulot/Parlamento europeo)

Perfino membri dei Patrioti (PfE) e dell’ultradestra di Esn si sono complimentati per la “giusta direzione” seguita sul tema dell’esecutivo Frederiksen, suggerendo di “promuovere questa fermezza su scala europea”. D’altro canto, non c’è stato alcun riferimento alla stretta sugli ingressi irregolari negli interventi dei rappresentanti di liberali, socialdemocratici ed ecologisti. Un silenzio imbarazzato, soprattutto tra le fila della famiglia socialista, più pesante di tanti proclami.

Economia verde e competitività

Al contrario, gli applausi dell’ala progressista dell’emiciclo sono arrivati principalmente sul tema dell’azione climatica. Frederiksen insiste sulla necessità di coniugare pragmaticamente la tutela ambientale e la crescita economica: “L’Europa deve continuare a insistere sulla transizione verde” assumendo una leadership globale, dice, nonché mantenere la barra dritta sugli “ambiziosi obiettivi climatici al 2040“.

Anche se, ha ammesso, “tutte le decisioni sul green saranno difficili“. Su quest’ultimo punto, è arrivato l’avviso della presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, secondo la quale “bisogna chiudere il cerchio tra azione climatica e competitività, perché concentrarsi solo su una delle due rende difficile trovare i numeri in Aula“.

La capogruppo socialista, Iratxe García Pérez, ha posto l’accento sulla giustizia sociale: “La competitività non è una gara tra diseguali ma dipende dalla capacità di costruire un’economia che innova senza escludere“, ha ricordato. “Grandi aspettative” sono nutrite dai Verdi, almeno a sentire Kira Marie Peter-Hansen, una conterranea di Frederiksen per la quale è “importante che la Danimarca spinga per la transizione ecologica“.

Irarxe Garcia Perez
La capogruppo dei Socialisti e democratici (S&D) a Strasburgo, Iratxe García Pérez (foto: Fred Marvaux/Parlamento europeo)

Eppure, la premier danese ha anche esortato l’Eurocamera ad accelerare sull’agenda di semplificazione targata von der Leyen, cara alle destre ma considerata fumo negli occhi dal centro-sinistra europeo. “Bisogna semplificare le regole e ridurre gli oneri per cittadini, imprese e amministrazioni pubbliche“, ha osservato Frederiksen, ma anche “promuovere l’innovazione per migliorare la competitività a lungo termine”.

Il bilancio 2028-2034

Infine, l’ultima priorità enunciata da Frederiksen è quella di tracciare “una rotta ambiziosa e responsabile” per i negoziati sul prossimo quadro finanziario pluriennale (Qfp), il budget comunitario per il settennato 2028-2034. La Danimarca, ha ribadito la premier, vuole “un bilancio più flessibile, più semplice, con più capitali privati e più concentrato sulle nostre priorità strategiche“: gli ultimi negoziati (quelli del 2020, post-Brexit e nell’era del Covid) sono stati “i più difficili”, ricorda, mentre i prossimi “saranno i più importanti“.

Secondo la leader socialdemocratica, c’è solo una soluzione alla portata dei Ventisette per rispondere alle crisi di questa convulsa fase storica: “Europa, Europa, Europa“, scandisce più di una volta di fronte a deputati e giornalisti. Tradotto, significa più soldi nel budget a dodici stelle. Frederiksen chiede dunque un bilancio “flessibile e pragmatico”, al cui centro ci sia, appunto, la questione multidimensionale della sicurezza.

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