Ucraina. Bombardamenti senza sosta: l’appello di Zelensky e il silenzio strategico dell’occidente
di Giuseppe Gagliano –
All’alba dell’11 giugno 2025 l’Ucraina si è risvegliata sotto il peso di una delle più imponenti offensive aeree dall’inizio della guerra. I cieli di Kiev, Odessa, Dnipro e Chernihiv sono stati solcati da droni kamikaze, missili da crociera e persino, secondo la denuncia di Volodymyr Zelensky, ordigni balistici di fabbricazione nordcoreana. L’obiettivo? Non solo infrastrutture militari, come dichiarato da Mosca, ma anche edifici storici e residenziali, tra cui la cattedrale di Santa Sofia, emblema millenario dell’identità ucraina.
Zelensky ha risposto come sempre fa in questi frangenti: con un appello rivolto a Washington e Bruxelles affinché non si limitino a “condannare”, ma agiscano con determinazione. “Serve azione concreta, non parole”, ha tuonato il presidente ucraino, rivendicando il diritto di un Paese aggredito a non essere lasciato solo.
Dietro l’escalation però si intravedono le faglie profonde di una guerra che si sta trasformando in una lotta di usura strategica, in cui la Russia intensifica gli attacchi come rappresaglia ai raid ucraini su basi aeree russe, mentre l’Ucraina moltiplica le operazioni con droni per colpire il cuore logistico del nemico, dalle regioni di Belgorod a Mosca stessa. È una guerra che non ha più un fronte lineare, ma che si gioca nell’aria, nell’opinione pubblica e nei messaggi politici globali.
Mosca dal canto suo ha rivendicato gli attacchi come “precisi” e “mirati”, definendo le installazioni colpite “obiettivi militari”. La narrativa russa, veicolata attraverso l’agenzia TASS, si muove in parallelo a quella ucraina, ribaltando specularmente le accuse e denunciando a sua volta l’uso massiccio di droni da parte di Kiev responsabili, secondo Mosca, della morte di almeno un civile nella regione di Belgorod.
Eppure la vera posta in gioco in queste ore non è solo militare. È la tenuta del consenso internazionale. Zelensky sa che il sostegno occidentale, militare, economico e politico, non è più scontato come nel 2022. Sa che negli Stati Uniti infuria una realtà politica sempre più divisiva e che in Europa cresce la stanchezza per una guerra senza via d’uscita visibile. Da qui l’insistenza: “Solo l’America può costringere la Russia alla pace”.
Ma a Washington si moltiplicano i segnali di impazienza, tra esitazioni sul riarmo, timori per l’escalation e l’ombra lunga di una possibile vittoria repubblicana. In Europa l’unità dichiarata è minata da divergenze profonde su tempi, mezzi e obiettivi della guerra. L’appello di Zelensky dunque non è solo una richiesta di armi: è una chiamata a confermare un impegno politico e morale che oggi inizia a scricchiolare.
Nel frattempo gli ospedali ucraini continuano a raccogliere feriti, i monumenti vengono danneggiati, i voli civili vengono sospesi in Russia per timore di attacchi, e il conflitto assume sempre più i tratti di una guerra tecnologica diffusa, dove la linea tra fronte e retrovia è stata cancellata. Ma una cosa resta chiara: il messaggio del presidente ucraino è anche un avvertimento. “Il silenzio del mondo è un’arma in più per il nostro nemico”.
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