Usa. Elon Musk lascia il Doge. Fine (provvisoria) di un sogno tecnocratico

Maggio 31, 2025 - 08:30
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Usa. Elon Musk lascia il Doge. Fine (provvisoria) di un sogno tecnocratico

di Giuseppe Gagliano

Era entrato a Washington come un uragano, deciso a spezzare le catene della burocrazia federale con la stessa violenza creativa con cui aveva rivoluzionato i razzi e l’auto elettrica. Elon Musk, l’uomo che ha lanciato vettori nel cosmo e satelliti nell’orbita della finanza globale, voleva ora “reinventare lo Stato federale americano come aveva reinventato l’industria spaziale”.
Ma la missione è finita. E non per mancanza di mezzi, bensì per resistenza sistemica. Dopo mesi di scontri interni, licenziamenti, tagli, vertenze legali e dichiarazioni incendiarie via social, Musk ha annunciato il suo ritiro dal Department for Government Efficiency (DOGE), l’agenzia creata ad hoc dalla Casa Bianca trumpiana per trasformare lo Stato in una macchina leggera ed efficiente.
Il sogno si è infranto. L’ingranaggio burocratico ha dimostrato di essere più viscoso della gravità.
Musk era abituato a decidere in tempo reale. A dirigere da solo imperi tecnologici in cui ogni secondo costa milioni. Ma a Washington ha trovato un sistema dove tutto è lento, opaco, mediato. Dove ogni riforma passa attraverso comitati, camere, lobbies, e soprattutto l’invisibile resistenza di funzionari di carriera pronti a sabotare qualunque cambiamento arrivi da fuori.
Aveva promesso 2mila miliardi di tagli. Ne ha ottenuti, sulla carta, appena 150. Ogni sua proposta, dalle semplificazioni fiscali alle ristrutturazioni delle agenzie federali, è stata filtrata, diluita, ostacolata. Alla fine, ha dovuto ammetterlo: anche il visionario più celebrato del nostro tempo non può forzare la serratura dello Stato profondo con un tweet.
Il suo addio arriva in un momento delicato anche per l’amministrazione Trump. Le tensioni tra i due sono diventate pubbliche dopo che Musk ha criticato l’ultima manovra di bilancio repubblicana, definendola “un disastro fiscale”. Per l’imprenditore libertario, la nuova Casa Bianca sta già cedendo alle vecchie abitudini: debito crescente, spesa pubblica fuori controllo, compromessi elettorali spacciati per pragmatismo.
La stampa ha parlato di rottura. Ma i segnali raccontano un’altra storia: un allontanamento calcolato, una mossa strategica. Musk si ritira per non compromettere la propria immagine. Trump perde un alleato scomodo ma evita frizioni interne. I due potrebbero tornare a incrociarsi, da posizioni diverse, in una partita tutta conservatrice tra populismo e tecnocrazia.
La vicenda mette in luce una frattura profonda nel mondo occidentale: da un lato l’apparato amministrativo, refrattario a ogni forma di innovazione che non parta da sé; dall’altro gli outsider, come Musk, che vogliono trattare lo Stato come un’azienda da ristrutturare.
In mezzo ci sono i cittadini, sempre più stanchi di apparati autoreferenziali, promesse mancate e inefficienze strutturali. E anche in Europa la lezione non è trascurabile. Mentre i governi aumentano la pressione fiscale e l’inflazione morde i redditi reali, cresce la domanda di soluzioni rapide, efficaci, manageriali. Magari anche autoritarie. Non per ideologia, ma per stanchezza.
Musk non ha fallito. Ha semplicemente capito che il sistema non vuole essere salvato. Il suo ritiro non è un passo indietro, ma un passo laterale. Continuerà a influenzare l’agenda pubblica attraverso le sue aziende, le sue piattaforme, il suo mito. Non ha bisogno di una carica per dettare le regole del gioco.
Trump dal canto suo conserva l’aura di chi sa attrarre talenti fuori dagli schemi. E se davvero tra i due ci sarà una frattura definitiva, potrebbe aprirsi una nuova stagione per la destra americana: tra chi promette spesa pubblica per accontentare il popolo, e chi vuole tagliare tutto per rendere lo Stato governabile.
Musk ha capito che la battaglia vera non è nella Casa Bianca. È nei cuori, e nei portafogli, degli elettori.

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Redazione Redazione Eventi e News