Usa. Noem espelle gli stranieri da Harvard
di Giuseppe Gagliano –
E alla fine toccò anche a Harvard. L’università simbolo del sapere globalizzato, del pensiero progressista, dei capitali endowmentizzati, si ritrova oggi nel mirino del governo federale. Kristi Noem, segretaria alla Sicurezza interna dell’amministrazione Trump 2.0, ha cancellato con effetto immediato la licenza che consente a Harvard di ospitare studenti stranieri. Gli studenti stranieri, quasi un terzo degli iscritti, hanno avuto 72 ore per fare le valigie, cambiare ateneo, o perdere il visto.
Per Noem l’ateneo avrebbe favorito un clima di violenza, di antisemitismo e silenziato episodi gravi avvenuti all’interno del campus durante le proteste pro-Palestina, omettendo di fornire al Dipartimento di Sicurezza interna la documentazione completa sugli studenti coinvolti in atti considerati pericolosi o contrari alla legge.
Il governo, in perfetto stile inquisitorio, ha preteso nero su bianco ogni informazione sugli studenti non immigrati coinvolti in qualunque protesta, manifestazione, discussione, o infrazione, avvenuta dal 2020 a oggi. Audio, video, verbali, documenti disciplinari ed email. Chi non consegna tutto, perde la licenza. Harvard finora ha detto no. E ora rischia di diventare il primo caso di università statunitense espulsa dal sistema accademico globale.
Dietro le formule legali e le giustificazioni securitarie, c’è l’aria pesante del maccartismo. L’accusa generica di “aver collaborato col Partito Comunista Cinese”, citata da Noem, somiglia più a un titolo del 1953 che a un comunicato del 2025. Le proteste per Gaza sono diventate l’occasione perfetta per colpire, rieducare, punire. Harvard oggi, Berkeley domani. In un’America che ha riscoperto il gusto per la lista di proscrizione.
Certo, l’università non è immune da colpe. Negli ultimi anni, sotto il manto della giustizia sociale, si sono viste censure, epurazioni, viltà accademiche. Ma che lo Stato arrivi a decidere chi può iscriversi, chi può protestare e chi può restare, è un’altra cosa. È lo Stato che invade l’università, e non per finanziare la ricerca. È il potere che entra nei campus con lo stesso spirito con cui entra nelle prigioni.
Il tempismo poi non è un dettaglio. L’annuncio arriva poche ore dopo l’assassinio di due israeliani a Washington, in un attacco rivendicato come “in nome della Palestina”. Il messaggio è chiaro: le università che non si allineano sono complici. L’intellettuale critico è il nuovo “sleeper agent”. L’università aperta è la nuova minaccia alla sicurezza.
Oggi Harvard, domani chi? L’università che forma le classi dirigenti mondiali si ritrova trattata come un covo sovversivo. È l’immagine perfetta di un Paese che non tollera più la disobbedienza, nemmeno simbolica. Ma se Harvard non può più ospitare il mondo, che mondo resterà ad Harvard?
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