Algeria. Si allarga la frattura fra Parigi e Algeri
di Giuseppe Gagliano –
Il governo francese ha deciso di revocare i privilegi diplomatici a 80 dignitari algerini residenti nel Paese. Il ministro dell’Interno Bruno Retailleau ha motivato la misura con una serie di provocazioni del regime algerino, tra cui l’arresto dello scrittore Boualem Sansal, i rifiuti sistematici di riaccogliere i cittadini algerini oggetto di decreti di espulsione (OQTF) e una campagna mediatica ostile in cui la Francia viene bollata come “Macronito-sionista”. Ma ciò che emerge sullo sfondo è un riposizionamento strategico più ampio, che riflette il fallimento della diplomazia conciliatoria perseguita da Emmanuel Macron e un mutamento della postura francese nei confronti del Maghreb.
La rottura si consuma anche su un piano simbolico: per la prima volta, Parigi tratta gli alti funzionari algerini non più come interlocutori privilegiati, ma come semplici stranieri. Questo atto, apparentemente tecnico, segna la fine dell’eccezione algerina nel sistema diplomatico francese. Una decisione che, per Algeri, rappresenta una violazione della Convenzione di Vienna, ma che per Parigi è solo l’inizio di una “riposta graduata” che potrebbe culminare nella denuncia degli accordi migratori del 1968. Quegli accordi che hanno garantito per decenni una corsia preferenziale agli algerini in Francia sono oggi considerati un residuo anacronistico di un passato coloniale mai veramente rielaborato.
Sul piano economico la frattura rischia di compromettere un equilibrio fragile. L’Algeria è tuttora uno dei fornitori di gas più rilevanti per la Francia, in un contesto europeo segnato dalla fine delle forniture russe e dalla crescente competizione per l’accesso alle risorse energetiche nordafricane. Parigi ha bisogno del gas algerino tanto quanto Algeri ha bisogno dei capitali e delle tecnologie francesi. Ma la nuova assertività italiana in Algeria – come dimostrato dai recenti accordi siglati da Giorgia Meloni – spinge Parigi in una posizione di crescente isolamento nel Mediterraneo meridionale. E il vuoto lasciato dalla Francia potrebbe essere colmato non solo dall’Italia, ma anche dalla Turchia e dalla Cina, sempre più attive nel corteggiamento dei Paesi africani.
Dal punto di vista strategico, l’Algeria si inserisce in un più vasto processo di ridimensionamento della presenza militare francese in Africa. Dopo il Niger, il Mali e il Burkina Faso, anche il Senegal ha visto la partenza delle truppe francesi. La scelta di Algeri di rifiutare la riammissione dei propri cittadini espulsi si accompagna a una crescente ostilità verso ogni forma di influenza francese, compresa quella militare. Si delinea così un vuoto securitario nella regione saheliana e nordafricana, che rischia di essere riempito da attori meno prevedibili, come la Russia attraverso il gruppo Wagner o la Turchia con il suo modello militare ibrido. La Francia, senza più avamposti operativi stabili e senza una rete diplomatica affidabile, rischia di perdere la capacità di proiezione nel suo tradizionale “pré carré”.
La crisi tra Francia e Algeria non riguarda solo due capitali, ma riflette il logoramento di un’intera architettura geopolitica post-coloniale. Algeri ha compreso da tempo che il suo peso può essere usato come leva, sia nel controllo dei flussi migratori sia come attore energetico. La rottura con Parigi si accompagna a un’apertura verso nuovi equilibri: la cooperazione con la Russia, gli accordi con la Cina nel settore delle infrastrutture, i segnali distensivi verso Ankara. In parallelo, l’Unione Europea si dimostra incapace di articolare una strategia comune nel Mediterraneo: mentre l’Italia rafforza i legami con Algeri, la Francia si chiude in una spirale di confronto.
Ora la palla passa all’Eliseo. Macron può scegliere di seguire la linea dura del suo ministro dell’Interno e denunciare gli accordi del 1968, rompendo definitivamente con un modello di relazioni bilaterali ormai superato. Oppure può tentare una nuova apertura diplomatica, rischiando però di apparire debole in un contesto internazionale sempre più competitivo. In entrambi i casi, la crisi con l’Algeria segna la fine dell’ambiguità strategica francese nel Maghreb: non è più possibile tenere insieme sicurezza, cooperazione economica e memoria storica senza pagarne il prezzo politico.
La vicenda dei dignitari algerini è il sintomo di una trasformazione più profonda: la Francia non è più percepita come potenza centrale nel Mediterraneo, né come attore imprescindibile in Africa. Le sue mosse, più reattive che strategiche, riflettono l’erosione di un modello di proiezione esterna fondato su privilegi storici e relazioni asimmetriche. La nuova fase che si apre sarà segnata da maggiore conflittualità, instabilità nei rapporti bilaterali e da un ulteriore arretramento dell’influenza francese, a vantaggio di attori più pragmatici, meno legati alla storia e più abili nel maneggiare le leve del potere economico e geopolitico.
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