Carne di squalo, ecco come abitudini alimentari e pesca senza limiti danneggiano la biodiversità

L’Italia è tra i maggiori importatori di carne di squalo al mondo, eppure non siamo sempre consapevoli della presenza di questo animale nei nostri piatti. Il documentario Shark preyed dei fratelli Spinelli prova a farci cambiare punto di vista
Dopo tre anni di lavoro e riprese, i fratelli Marco e Andrea Spinelli presentano Shark preyed, un nuovo documentario che indaga la filiera in parte legale, ma spesso opaca, che porta sulle tavole degli italiani la carne di squalo e di razze.
La proiezione in anteprima è prevista per la sera di oggi martedì 10 giugno a Milano alle 20:30, alla Santeria Toscana 31. L’evento prevede l’ingresso gratuito dopo registrazione (qui trovate il form) e comprende anche una mostra fotografica con immagini subacquee scattate durante le riprese.
Un problema dimenticato
L’uscita del documentario rappresenta un’occasione per approfondire un tema poco conosciuto, ma molto attuale. Basti pensare che in Italia, tra il 2009 e il 2021, sono state importate circa 98.000 tonnellate di prodotti derivati da squali e razze; ciò rende il nostro Paese è il terzo importatore mondiale di questo prodotto.
A livello globale, secondo la Fao, già nel 2017 gli elasmobranchi (squali e razze) rappresentavano circa il 3% del consumo pro capite di prodotti ittici.
Tra le specie di elesmobranchi attualmente in commercio troviamo verdesca, palombo, smeriglio, spinarolo, mako e gattuccio. Ognuna di queste presenta vulnerabilità specifiche, che dovrebbero spingere le autorità verso strategie di protezione più severe.
La verdesca infatti ha cicli riproduttivi molto lenti, mentre il palombo viene spesso pescato per sbaglio insieme ad altre varietà di pesce e non sempre correttamente identificato; il mako, riconosciuto come specie in pericolo dall’Iucn, è minacciato sia dalla pesca diretta che da quella accidentale; il gattuccio, più piccolo, viene commercializzato con nomi generici che non permettono al consumatore di identificare la specie, mentre lo spinarolo e lo smeriglio sono da anni soggetti a un importante declino.
Morti accidentali
In tutti questi casi, quando si parla di catture accessorie significa che l’animale non è stato ucciso volontariamente per essere venduto, ma è rimasto vittima di altre pratiche messe in atto dall’uomo. I due problemi principali in tal senso sono il bycatch e le reti fantasma.
Con il termine bycatch ci si riferisce agli animali – squali e razze, ma anche pesci e persino uccelli marini – intrappolati durante la cattura di altre specie, come per esempio tonno o pesce spada; anche se non sono l’obiettivo dei pescatori, molti squali catturati in questo modo muoiono prima di poter essere rilasciati o finiscono comunque per essere commercializzati.
Le reti fantasma sono invece attrezzi da pesca abbandonati in mare, che continuano poi a intrappolare o ferire gli animali, tra cui gli squali, anche per anni. Oltre a causare la morte di numerosi esemplari, queste reti alterano gli habitat e contribuiscono all’inquinamento delle acque.
Un ulteriore fenomeno dannoso citato nel documentario è quello dello shark finning. Si tratta di una pratica crudele (e illegale in molti Paesi), in cui si rimuovono le pinne degli squali ancora vivi per poi rigettare il corpo in mare, dove l’animale muore per emorragia, asfissia o predazione.
Lo shark finning è una delle principali minacce per molte specie di squali di medie e grandi dimensioni ed è alimentata dalla domanda (soprattutto asiatica) di zuppa di pinne di squalo.
Effetti a cascata
Che sia volontaria o meno, l’uccisione di quantitativi elevati di squali e razze ha conseguenze dirette non solo sulla conservazione delle singole specie, ma anche sulla biodiversità in generale.
Questi animali infatti hanno un ruolo chiave nell’equilibrio delle reti trofiche marine, perché essendo efficienti predatori regolano la numerosità delle forme di vita di cui si nutrono, prevenendo la sovrappopolazione ed uccidendo individui malati.
Le varietà di dimensioni inferiori, in particolare – proprio come il gattuccio, il palombo o lo spinarolo – vivendo a contatto con i fondali controllano le popolazioni di invertebrati e piccoli pesci.
Non solo: la sola presenza o assenza degli squali può cambiare il comportamento delle loro prede, che in condizioni normali per proteggersi dai predatori adottano strategie di difesa e modificano spostamenti e percorsi.
Lo scopo di Shark preyed è proprio rendere tutti questi concetti patrimonio comune, attraverso immagini suggestive, contributi scientifici e testimonianze, come quelle del documentarista Mike Bolton e di Andrea Crosta, fondatore di Earth League International.
“Con un terzo delle specie di squali a rischio estinzione – spiegano i fratelli Spinelli – Shark Preyed porta alla luce un’emergenza ambientale ignorata. Non è solo un’inchiesta, ma un viaggio di consapevolezza per rivelare la verità sugli squali e sulla loro fondamentale importanza per la salute degli oceani“.
I due fratelli hanno già collaborato a progetti comuni, come Missione Euridice e Io, Tevere, entrambi disponibili su Prime Video. Andrea è biologo marino e ricercatore presso la Fondazione dell’Oceanografico di Valencia, mentre Marco è documentarista, fotografo e divulgatore ambientale.
Crediti immagine: Depositphotos
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