“Contro Netanyahu sì, contro Putin e Hamas no: visione manichea”, Paolo Flores sfata un mito della sinistra

Ottobre 13, 2025 - 07:00
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“Contro Netanyahu sì, contro Putin e Hamas no: visione manichea”, Paolo Flores sfata un mito della sinistra

Contro Netanyahu sì, contro Putin e Hamas no: una catastrofe etica” sentenzia con amarezza Paolo Flores d’Arcais su Micromega.

La risposta che Flores si dà è una nuova conferma della sua onestà intellettuale e della sua indipendenza da discipline ideologiche:

“La profonda incoerenza della sinistra è dovuta alla visione omogenea e manichea dell’Occidente come Male assoluto”.

E vero che la maggior attenzione ai fatti dí Palestina è naturale data la vicinanza storica, culturale e religiosa di quella terra: altrimenti “saremmo quotidianamente angosciati per le stragi che infestano il Sudan, il Congo e chissà quali altre terre, che percepiamo solo come lontanissimo altrove”.

L’Ucraina però è più prossima a noi della Palestina. Perché allora non suscita empatia?

Meglio Netanyahu di Putin

“Contro Netanyahu sì, contro Putin e Hamas no: visione manichea”, Paolo Flores sfata un mito della sinistra, nella foto putin e trump
“Contro Netanyahu sì, contro Putin e Hamas no: visione manichea”, Paolo Flores sfata un mito della sinistra -Blitzquotidiano.it (foto ANSA)

Perché l’Ucraina è percepita come Occidente e l’Occidente è il colonialismo e dunque l’Occidente è il Male. E Putin è magari compreso come nuovo imperialismo, ma al massimo quello in Ucraina sarà un conflitto fra il Male di Putin e il Male dell’Occidente.
Occidente è Israele, e i gazawi trucidati sono la critica in atto dell’Occidente. Ecco perchè chi sente ingiusto l’Occidente, con lo smisurato crescere della forbice tra ricchezza e povertà, e vorrebbe ribellarsi e vive l’impotenza di una situazione politica che non sembra offrire alternative, si riconosce nell’oppressione di Gaza e non in quella dell’Ucraina invasa da Putin. Vive il gazawi come prossimo e non l’ucraino, membro anch’esso di quell’Occidente che il manifestante detesta.

Questa situazione emotiva di massa è un garbuglio di paradossi, ma “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”. Eppure il “cuore” deve essere sbrogliato, se vogliamo che entri in sinergia con la ragione, anziché in suo disfacimento.

Primo paradosso: chi detesta l’Occidente è parte dell’Occidente, dunque pragmaticamente già vive la verità dell’Occidente che pure rimuove: l’Occidente non esiste. Non esiste come entità omogenea, come possibile identità. La sua identità è il conflitto, spesso un conflitto a morte. Occidente è la Comune di Parigi e Occidente sono le truppe di Thiers che sotto l’occhio benevolo delle truppe prussiane la massacrano nella semaine sanglante. Occidente è il reseau Jeanson che aiuta il Fronte di liberazione algerino, e i parà di Massu che ne torturano i militanti, e il torturato Henri Alleg direttore di Alger Républicain…

Insomma: è perfettamente insensato essere contro l’Occidente, si può solo scegliere quale Occidente. Universo conflittuale ma non manicheo. È Occidente Antonio Gramsci ed è Occidente Benito Mussolini che lo farà morire in carcere, è Occidente il socialdemocratico Giacomo Matteotti trucidato dagli scherani di Mussolini, e i comunisti che bolleranno i socialdemocratici come socialfascisti, e i socialdemocratici tedeschi Ebert e Nolte che faranno assassinare Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht… L’Occidente è insomma universo di conflitti, intrecci, complessità, sfumature, contraddizioni.

Occidente uguale colonialismo

L’Occidente diventa invece rotondo mondo omogeneo, identità di mero e onnipervasivo colonialismo, nella semplificazione degli studenti pro-pal che occupano le università. Sullo sfondo, l’ideologia del pensiero decoloniale, che cancella la storia e azzera il passato sui valori del presente, e allora in Voltaire non vede l’illuminista di “écrasez l’infame!” o del Trattato sulla tolleranza ma l’antisemita, e in Thomas Jefferson non più l’estensore della Dichiarazione d’Indipendenza, documento inaugurale della moderna democrazia, il terzo presidente degli Stati Uniti, che fissa la rigorosa laicità dello Stato (tradita dai successori) nella lettera alla Danbury Baptist Association del 1802 (wall of separation), ma niente altro che un proprietario di schiavi.

Il rifiuto di considerare la realtà in tutto il suo carattere caleidoscopico porta infine alla cecità della più colpevole ideologia: Rima Hassan, deputata europea di Mélenchon e autorevolissima navigante della Flotilla, proclama un giorno sì e l’altro pure che Hamas non è un’organizzazione terroristica islamista, che al potere lapida le adultere, impicca gli omosessuali, annienta col colpo alla nuca i dissidenti politici, ma una forma di resistenza al genocidio israeliano del popolo palestinese.

E da noi si rincorrono di città in città i peana di massa per Francesca Albanese, che si adonta se il sindaco di Reggio Emilia accenna en passant alla necessità che Hamas liberi gli ostaggi. E nessuno a sinistra ricorda per lutto i due anni dall’orrendo pogrom del 7 ottobre 2023, 1.200 cittadini israeliani scannati dai commando di Hamas, molte donne preventivamente stuprate.

Non ci si rende conto che si entra così nella (in)cultura della rimozione che diventa normalità esistenziale, del falso che scompare come falso e diventa “fatto alternativo” (Kellyanne Conway, consigliera di Trump, 22 gennaio 2017). Ma senza questa differenza, anzi senza questa opposizione tra verità e menzogna, non esiste più un mondo comune ma il pluriverso delle “bolle” tra loro incomunicanti, se non per identità/ostilità, latenti di guerra civile.

Riscaldano il cuore i milioni di italiani scesi in piazza per Gaza. Ma quel sentimento si intreccia inestricabilmente all’amarezza: quanti di questo mare di cittadini, giustamente indignati contro il mostruoso massacro organizzato da Netanyahu, scenderebbero in piazza per denunciare e combattere un altro massacro, altrettanto mostruoso, per numeri perfino più grande: quello dell’esercito di Putin contro i cittadini della democrazia ucraina?

(Quasi) nessuno.

Di questa assurdità logica, di questa catastrofe etica, bisogna capire il perché, per dissolverlo in un ritorno di ragione e di coerenza di massa.

Tra orrori si esita a dirne uno peggiore dell’altro, perché l’altro non appaia rimpicciolito. Se l’invasione dell’Ucraina è più grave di quella di Gaza qualcuno ridimensionerà, magari inconsapevolmente, gli orrori di Gaza, e se la strage permanente di Gaza è più grave della macelleria del 7 ottobre 2023 perpetrata da Hamas tra i giovani festanti al raduno musicale e i kibbutzim di Israele qualcuno ridimensionerà, alcuni inconsapevolmente ma altri intenzionalmente, l’orrore di quel fanatismo islamico di stupratori e tagliagole, e allora, essendo più grave di tutte le stragi degli anni di piombo in Italia consumate da fascisti e servizi, la Banca dell’Agricoltura e la Stazione di Bologna finiscono per diventare poco più che nulla e svanire dall’indignazione collettiva.

Ogni orrore resta un orrore, invece. E nessun orrore più grande, per numeri e per altro, deve poterlo rimpicciolire nelle nostre coscienze. Ma gli elementi che rendono l’uno più grave di un altro non vanno sottaciuti. Gaza e l’Ucraina, allora.

I numeri, in primo luogo: gli ucraini morti per i crimini di Putin sono più volte i gazawi morti per i crimini di Netanyahu. In entrambi i casi la volontà che muove l’invasione è la cancellazione di un popolo in quanto popolo.

Ma inizialmente l’invasione di Gaza può presentarsi come risposta necessaria (dunque a suo modo “legittima”) alla strage di Hamas del 7 ottobre. L’invasione dell’Ucraina non ha invece nessuna “giustificazione” possibile, deriva dall’ideologia putiniana del Russkij mir – ovunque si parli russo quello è territorio russo – che la Russia ha il diritto/dovere di annettersi. Infine, asimmetria ancora più di peso: a rappresentare politicamente le vittime di questi due orrori in Ucraina sono le istanze democraticamente elette, parlamento e presidente, a Gaza sono i terroristi di Hamas, il male del male, che lapidano adultere, impiccano omosessuali e puniscono ogni dissenso politico con un colpo alla nuca.

Eppure: benché la mostruosità di Putin sia del tutto paragonabile alla mostruosità di Netanyahu, l’oppressione dell’Ucraina non provoca indignazione. Malgrado le rilevanti differenze, che dovrebbero far raddoppiare sdegno, impegno, discesa in piazza contro Putin a quanti sacrosantamente lo hanno fatto contro Netanyahu, il diritto dei cittadini ucraini non fa breccia nella maggior parte degli apparati sinaptico-emotivi dei cittadini italiani che vorrebbero “un altro mondo possibile”.

Lascia indifferenti. Peccato mortale per un democratico.

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