Bizzarri a teatro, l’erede Sozzani, e il dramma di avere troppi amici (che come tutti gli amici sono reticenti)

Tutti gli articoli su “Non hanno un dubbio” dicono che Luca Bizzarri faceva (fa) il podcast “Non hanno un amico”, poi ne ha fatto uno spettacolo teatrale (due: questo con la variazione di titolo è il secondo), un libro, un programma televisivo. In realtà si è limitato a vendere i diritti televisivi del monologo teatrale, ma ora non pretenderemo che chi scrive sui giornali sappia di cosa parla.
In realtà non serve un biografo di Bizzarri per ricordarsi che prima di tutto venne Twitter, social sul quale Bizzarri perde una quantità imbarazzante di tempo (inserite qui il vostro «da che pulpito»), e sul quale a un certo punto si è messo a commentare certe uscite poco opportune dei politici con la frase «non hanno un amico», e da lì si è convinto d’aver inventato uno stilema, si è innamorato della sua intuizione, e ha deciso di farne un titolo (conosco questa sindrome – ce l’ho anch’io, in misura ben più grave: nessuno s’innamora delle proprie intuizioni con la voluttà con cui lo faccio io).
È quindi facile datare l’inizio del podcast (2022), meno stabilire quando Bizzarri avesse iniziato a usare la frase, che è anche la data intorno alla quale io inizio a dirgli che è un’obiezione sbagliata (non mi ha ascoltato: su questa cosa che le persone di successo non ascoltino mai i miei consigli dovrei farmi delle domande).
Sbagliata perché, ripeto qui quel che ho già detto a lui un milione di volte, gli amici non sono quella gente che ti dice che sbagli, se non in un’idea dell’amicizia da sceneggiato televisivo. Chiunque abbia un’idea empirica dell’amicizia, e non una che si è fatto vedendo “Friends” o “Sex and the city”, sa che gli amici magari ti fanno un prestito se sei nei guai, ma di sicuro non si complicano inutilmente la vita dicendoti che stai facendo una cazzata.
Di recente Francesco Carrozzini, che potrà anche scoprire la cura per il cancro ma resterà sempre il figlio di Franca Sozzani, ha detto a Business of Fashion che la madre, visto il primo montaggio del suo documentario su di lei (“Franca: Chaos and Creation”), gli aveva detto che era «la cosa più mediocre che abbia mai visto» e che mancava d’un punto di vista.
Non mi soffermerò sull’interessante possibilità che «mediocre» abbia un superlativo assoluto, ma su come prosegue Carrozzini in quell’intervista (che naturalmente è un podcast, perché i figli di chi si occupa di moda – Carrozzini – e gli attori – Bizzarri – si accorgono prima degli intellettuali che la gente di suo non legge più un cazzo e che l’unica possibilità che hai di non passare inosservato è dirle, alla gente, «tu dormi tranquilla e asciutta ché le fiabe della buonanotte te le leggo io»).
Prosegue l’erede Sozzani: «In una normale relazione tra madre e figlio, quell’osservazione sarebbe stata straziante. Nella nostra no, perché noi ci trattavamo l’un l’altra come amici». Il mondo non lo capisce chi è pagato per farlo, figuriamoci se posso aspettarmi che lo capisca uno che lavora con le immagini, e quindi va bene così, anche che Carrozzini abbia capito il cazzo per l’equinozio rispetto alle umane relazioni.
Un genitore è forse l’unica persona che ti possa dire «guarda che questo documentario che hai montato fa schifo». Un coniuge non te lo dice perché poi sa che la paga con emicranie da copule e lavastoviglie non svuotate. Uno con cui lavori non te lo dice: se è il tuo produttore perché teme la suscettibilità dell’artista, e se è uno che lavora per te perché teme che verrà licenziato. Un amico non te lo dice, perché sa che servirà solo a farti commentare, con altri amici, che è invidioso del tuo successo e altre panzane rassicuranti che l’umanità si racconta rispetto ai detrattori.
Un genitore è l’unica persona che abbia la libertà di movimento di dirti che il tuo lavoro fa schifo, e le ragioni per cui non lo fa possono essere di due molto diversi ordini. Una è che il genitore non abbia gli strumenti per capirlo: se tua madre fa la casalinga, la ballerina, la dentista, il tuo documentario lo guarderà con sguardo dilettantesco, potrà dire al massimo se le piace come spettatrice, ma manco saprà cosa sia un montaggio. L’altra ragione è il vero dramma di quest’epoca.
La più terribile ragione per cui una madre non dice al figlio «ma che è ’sta porcheria» è proprio quella che Carrozzini fraintende: che considera il figlio un amico. E, come si fa tra amici, gli mente diplomaticamente. Gli mente perché non vuole ci siano imbarazzi alla prossima cena tra amici. Gli mente perché se quello mi mette il muso poi io con chi gioco a padel. Gli mente perché oh, son mica tua mamma, se non lo capisci da solo.
Quindi, quando ho letto la trascrizione dell’intervista di Carrozzini (il podcast era di trentasette minuti: non sapete quanto invidio voi sfaccendati che avete trentasette minuti da dedicare alle fiabe della buonanotte), ho pensato: beato lui, ultimo al mondo ad aver avuto una madre disposta a far la madre, mica come le madri di geni incompresi e infallibili da cui siamo circondate in questo secolo.
Tutto questo per dire che stasera lo spettacolo di Bizzarri è a Bologna, e io vilmente ho deciso di scriverne prima di vederlo, così posso accampare un impegno per non andarci, o comunque evitare di recensirlo con la scusa «eh ma ne ho appena scritto», e non fare né ciò che fanno gli amici nel fantasioso mondo di Bizzarri – dire «eh, questo mio amico ha fatto una cosa così così, lo dico senza diplomazie perché è questo che fanno gli amici» – né ciò che fanno nel mondo reale: dire «è amico mio, quindi è un capolavoro». (Questo è il punto in cui Bizzarri pensa: stronza, come ti permetti di escludere che il tuo sincero e autentico parere sia che è un capolavoro, io che ti ho pure messo da parte un biglietto omaggio, rinunciando al prezioso guadagno di qualche euro – Bizzarri è di Genova).
Mi sento furbissima, ad aver escogitato questa scappatoia perfetta in cui, qualunque domanda mi facciano su “Non hanno un dubbio” – qualunque domanda mi facciano altri, ché Bizzarri è sufficientemente sveglio da non chiedermi mai cosa pensi delle sue opere e omissioni – io potrò rispondere: son mica la sua mamma. (Ma lo so che lo spettacolo sarà bellissimo, specie la parte arrubbata a una elzevirista di mia conoscenza sull’umanità rovinata dal tempo che le ha liberato l’invenzione della lavatrice).
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