Cosa rallenta l’uso dell’intelligenza artificiale nella diagnosi delle malattie

Una domanda mi girava in testa da un po’: ma con quello che oggi la tecnologia digitale e l’intelligenza artificiale sono in grado di fare, com’è possibile che le diagnosi di varie malattie e la lotta contro il cancro non ne beneficino in modo spettacolare? Ha risposto, in parte, un articolo pubblicato sulla Mit Technology Review lo scorso gennaio. Primo: manca un numero di dati sufficientemente grande per «allenare» l’intelligenza artificiale.
«Meno del dieci per cento delle pratiche di patologia negli Stati Uniti sono digitalizzate», afferma Andrew Norgan, patologo e direttore medico della piattaforma di patologia digitale della Mayo Clinic di Rochester nel Minnesota – da anni al primo posto nella classifica, stilata da Newsweek, dei migliori ospedali al mondo e uno dei più importanti centri di ricerca medica. Dal 2022 la Mayo Clinic ha cominciato quindi a digitalizzare tutte le proprie pratiche patologiche risalenti a decenni prima (avendo in archivio circa dodici milioni di diapositive) con il consenso dei pazienti ai fini della ricerca.
Secondo: i campioni di tessuto delle biopsie sono minuscoli, spesso solo un paio di millimetri di diametro, vengono posizionati su vetrini, analizzati al microscopio e poi memorizzati in enormi registri senza mai essere documentati digitalmente.
La soluzione è stata la realizzazione di un robot, fatto costruire all’uopo, in grado di scattare foto ad alta risoluzione dei tessuti, capace di «lavorare» circa un milione di campioni al mese (l’immagine digitale di un campione contiene più di quattordici miliardi di pixel). Il team di ricerca è stato così in grado di raccogliere un milione e duecentomila campioni di tessuto di alta qualità (provenienti da quattrocentonovantamila casi) che sono stati utilizzati per addestrare il modello di AI «Atlas».
«Atlas ha battuto i modelli rivali in sei test su nove. Ha ottenuto il suo punteggio più alto nella categorizzazione del tessuto colon-retto canceroso, raggiungendo la stessa conclusione dei patologi umani il novantasette virgola uno per cento delle volte». Ma alla Mayo hanno le idee chiare: c’è ancora tanta strada da fare.
Sebbene le pratiche europee tendano a essere più digitalizzate e ci siano studi in corso per facilitare la creazione di set di dati condivisi di campioni di tessuto sui quali i modelli di intelligenza artificiale potrebbero allenarsi, siamo solo all’inizio.
«Senza diversi set di dati, i modelli di intelligenza artificiale lottano per identificare l’ampia gamma di anomalie, che i patologi umani hanno imparato a interpretare. Ciò include le malattie rare», afferma Maximilian Alber, cofondatore e CTO di Aignostics, la società di intelligenza artificiale che collabora con Mayo sul progetto Atlas.
Il potenziale dell’intelligenza artificiale su enormi set di dati è enorme. «Mayo Clinic sta attivamente tracciando la nuova frontiera dell’assistenza predittiva e personalizzata», dice Jim Rogers, CEO di Mayo Clinic Digital Pathology, ma le grandi quantità di dati generate dai sistemi sanitari rimangono in gran parte negli archivi fisici, o sono inutilizzabili a causa di formati incoerenti e sistemi digitali incompatibili.
Nel giugno scorso l’amministratore delegato di Microsoft AI Mustafa Suleyman (cofondatore di Deep Mind) ha presentato i dettagli di un sistema di intelligenza artificiale che funzionerebbe meglio dei medici umani in diagnosi di salute complesse, creando un «percorso verso la superintelligenza medica».
L’attuale sistema, abbinato al modello avanzato di intelligenza artificiale o3 di OpenAI, ha «risolto» più di otto dei dieci casi di studio appositamente scelti per la sfida diagnostica. «È abbastanza chiaro che siamo sulla strada giusta perché questi sistemi diventino quasi privi di errori nei prossimi cinque–dieci anni. Sarà un peso enorme tolto dalle spalle dei sistemi sanitari di tutto il mondo», ha detto Suleyman. A onor del vero sia Mayo sia Microsoft dichiarano che il medico non verrà sostituito ma dovrà imparare a utilizzare tali strumenti.
Un esempio virtuoso ci viene dall’Inghilterra, che nel lontano 2006 lanciò il progetto «UK Biobank», uno sforzo sostenuto dal governo inglese per costruire una base dati sulla salute di oltre centomila volontari che hanno acconsentito al monitoraggio a lungo termine dei loro registri sanitari. Una enorme mole di dati basati su una piattaforma digitale sul cloud, utilizzata da più di ventunomila ricercatori in sessanta Paesi, che al momento ha generato più di sedicimila pubblicazioni scientifiche.
Sorprendentemente, il progresso di tutto ciò non è in primis una questione di costi. Il rapporto Going digital for non communicable diseases: the case for action, pubblicato congiuntamente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’International Telecommunication Union (Itu), presentato nel settembre dello scorso anno durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, mette in evidenza come spendere zero virgola ventiquattro dollari per paziente all’anno nella digitalizzazione dei dati sanitari possa salvare più di due milioni di vite da malattie non trasmissibili nel prossimo decennio.
Al terzo posto – last but not least – la questione di quali parametri di riferimento siano più importanti per un modello di intelligenza artificiale per individuare il cancro. Questione assai tecnica sulla quale mi limito a segnalare che i ricercatori dell’Atlas hanno testato il loro modello nel difficile ambito dei benchmark molecolari.
Nell’interessante rapporto Scaling Integrated Digital Health, realizzato da Mit Technology Review Insights (sponsorizzato dalla casa farmaceutica Roche), pubblicato soltanto il mese scorso, si legge a firma di Corinne Dive-Reclus, responsabile della Roche Digital Diagnostics: «Questo approccio data-driven può contribuire a migliorare l’accuratezza diagnostica e a garantire che i piani di trattamento siano allineati alle più recenti linee guida cliniche, con l’obiettivo di migliorare i risultati per i pazienti e l’aderenza alle pratiche basate sull’evidenza». Speriamo sia più di una speranza.
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