Delpini: «L’adolescenza è un tempo adatto per diventare santi»


È un Duomo che parla di gioventù e di santità, che rende grazie per il dono di Carlo Acutis e per la sua canonizzazione, quello che accoglie tanta gente, giunta da diverse zone della Diocesi per la celebrazione presieduta dall’Arcivescovo. Un momento corale di preghiera – in prima fila siede la mamma di Carlo, Antonia Salzano Acutis -, che intende esprimere, appunto, la gratitudine dell’intera Diocesi per la proclamazione della santità del giovane ambrosiano, avvenuta lo scorso 7 settembre a Roma.
La celebrazione
La Messa si svolge in occasione della prima memoria liturgica del nuovo santo, che ricorre il 12 ottobre, anniversario della sua morte, avvenuta nel 2006 nel reparto di ematologia infantile dell’ospedale San Gerardo di Monza – dove Carlo era stato ricoverato qualche giorno prima – e viene concelebrata da 5 vescovi, tra cui alcuni ausiliari ambrosiani, monsignor Giuseppe Merisi, già vescovo di Lodi e monsignor Domenico Sorrentino, arcivescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, che, accompagnato anche da altri sacerdoti, guida una delegazione proveniente da Assisi, luogo caro ad Acutis e dove sono conservate le sue spoglie mortali.
Una sessantina i presbiteri complessivamente concelebranti, con, tra gli altri, i membri del Cem e del Capitolo metropolitano della Cattedrale, il parroco di “Santa Maria Segreta”, la parrocchia di Acutis, don Maurizio Corbetta, padre Alessandro Viano per il “Leone XIII”, l’assistente dell’Ac diocesana don Cristiano Passoni, e il vicario per l’Italia della Prelatura dell’Opus Dei, padre Giovanni Manfrini. Tutti riuniti tra le navate, insieme alle autorità militari e civili, tra cui l’assessore all’edilizia residenziale pubblica del Comune, Fabio Bottero, che indossa la faccia tricolore del sindaco di Milano, e Raffaele Cattaneo, sottosegretario di Regione Lombardia con delega alle Relazioni Internazionali ed Europee (gli stessi esponenti istituzionali che avevano partecipato alla Canonizzazione del 7 settembre a Roma) e il prefetto di Milano, Claudio Sgaraglia. Appena dietro le autorità, docenti e studenti della scuole frequentate da Carlo, le “Marcelline” di piazza Tommaseo alla primaria e le medie e, poi, il “Leone”.
Tutto, insomma, parla, del “Santo della generazione dei millennial”, la cui reliquia viene posta in altare maggiore e davanti alla quale vengono accesi i ceri dai due Arcivescovi all’inizio del Rito, con accanto la sua immagine venerata nella chiesa milanese di Santa Maria Segreta, che l’adolescente frequentava quotidianamente.
Al responsabile del Servizio per le Cause dei Santi, monsignor Ennio Apeciti, che ha condotto in Diocesi la fase del processo di beatificazione, è affidato il saluto iniziale nel quale non manca un pensiero per il recentissimo incendio del monastero della Bernaga, presso cui il Santo ricevette la prima comunione a 7 anni, e per le religiose che avevano testimoniato della grande vivacità del piccolo Carlo, ma anche del suo raccoglimento durante la Messa. «Era un ragazzo che vedeva Dio», conclude Apeciti.
Un chiaro riferimento alla vita di Carlo sono anche le letture, la prima che, secondo la tradizione ambrosiana, presenta l’agiografia del giovane, l’Epistola e il Vangelo di Giovanni al capitolo 15, e l’animazione musicale con i Cori della Comunità pastorale di Cologno Monzese, intitolata a san Carlo Acutis, di Calò (Mb) e il Coro Ensemble Vox Cordis, diretti da Roberto Bacchini, autore dell’“Inno di Acutis”.
La città difficile in cui fiorisce la santità

Dalla «città difficile e problematica, ingiusta e pericolosa, la città ha perso la sua anima», ma nella quale comunque «ha vissuto un ragazzo che ha pregato tutti i giorni il rosario, ha partecipato alla Messa tutti i giorni, ha sostato in chiesa per pregare da solo tutti i giorni», si avvia l’omelia del vescovo Delpini, che aggiunge. «Nella città difficile il Signore continua ad attirare a sé, continua ad aprire autostrade per il cielo, continua a seminare compassione per darsi da fare per i poveri. Si possono dire molte cose della città. Si deve però anche dire che la città è un luogo in cui si può diventare santi».
E così pure per un’età difficile come quella dell’adolescenza che vide la morte di Carlo il 12 ottobre 2006 (era nato a Londra il 3 maggio 1991). «Di ragazzi e ragazze adolescenti si dice che sono fragili, che hanno dentro una rabbia che li rende aggressivi, che usano i social per esprimere odio e volgarità, che soffrono di disturbi alimentari e che hanno bisogno di terapie e accompagnamenti di specialisti, che sono intrattabili, che si rifugiano in pericolose solitudini e in pericolose compagnie». Eppure, «qualche anno fa, in questa città un ragazzo ha vissuto la sua adolescenza come un tempo per impegnare le sue capacità, le sue risorse, il suo tempo per una voglia di fare il bene, per un gusto per i pensieri alti, per un interesse per il mistero che lo segnato fino alla morte. L’adolescenza è un tempo adatto per diventare santi».
La malattia che avvicina al Signore
Infine, la malattia che è «una dura prova, che riempie l’animo di angoscia,», in cui «il malato è tentato di dubitare di Dio, di arrabbiarsi con Dio, di bestemmiare Dio come un enigma ostile, che si accanisce. Nel rendersi conto della gravità della sua malattia, Carlo ha rinnovato la sua fede, ha pensato che la sua vita poteva fare del bene e ha offerto il suo soffrire e morire per il Papa e per la Chiesa. Perciò noi preghiamo san Carlo Acutis e ci lasciamo interrogare da questa vita breve e piena di luce, perché qui e ad Assisi ha rivelato che, nella città, si può diventare santi, che l’adolescenza è un tempo che può far diventare santi, che la malattia può introdurre alla comunione con la santità di Dio».
Parole ripetute da monsignor Sorrentino al termine della celebrazione, ricca ancora di tanti rimandi suggestivi e preziosi, come l’esecuzione dell’Inno dedicato a Carlo, la preghiera di ringraziamento recitata, a cori alternati, dall’intera assemblea e dai due Arcivescovi che si portano davanti alle reliquie.
Il saluto di monsignor Sorrentino

«È stato bello ascoltare parole di invito a una santità possibile anche lì dove la fatica, la sofferenza, il fallimento sono all’ordine del giorno, come nel groviglio della città, nelle fatiche dell’adolescenza, nella lacerazione della morte e della sofferenza acuta», ha, infatti scandito l’arcivescovo di Assisi, parlando «di una grande eredità di grazia per la Chiesa universale».
«Ma è anche bello guardare avanti con lo spirito di Francesco e di Carlo che intonano insieme adesso un triplice cantico», in primis quello delle Creature. «Carlo non ha scritto un Cantico, lo è stato lui stesso, spiegando, in modo particolare ai giovani, che il mondo è bello, da custodire e da guardare con il sorriso sulle labbra. Il secondo cantico è quello dell’Eucaristia e il terzo, il cantico dell’amore vero, concreto che si fa vicino a ogni fratello povero e sofferente». L’augurio per il vescovo Mario è che «in questa città così importante come Milano, siano tanti i giovani che diventano santi, canonizzati o meno».
Infine, a suggellare la celebrazione è il dono, da parte di monsignor Delpini al confratello, di una copia della II edizione del Messale ambrosiano, «perché si possa celebrare la Messa nel nostro Rito nella basilica della Spogliazione, dove arrivano gruppi numerosi di pellegrini che si recano ad Assisi per lasciarsi affascinare da san Carlo Acutis».
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