EAU. Accordi per difesa e spazio con la Turchia

di Giuseppe Gagliano –
Il Medio Oriente è in piena metamorfosi e la visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan al leader emiratino Mohammed bin Zayed ne è l’ennesima dimostrazione. Due potenze regionali che solo pochi anni fa si fronteggiavano su fronti opposti, dalla crisi siriana al sostegno turco alla Fratellanza Musulmana, oggi cercano un allineamento che va ben oltre le relazioni bilaterali. La firma di sette memorandum d’intesa e un mega-accordo nel settore difesa e spazio, del valore di 50 miliardi di dollari, segna un salto qualitativo in una cooperazione che abbraccia economia, tecnologia militare e ricostruzione post-bellica.
Il cambio di passo arriva in un contesto regionale in evoluzione. La caduta del regime di Bashar al-Assad ha dato alla Turchia l’occasione di consolidare la propria influenza su Damasco, ora guidata dal più accomodante Ahmed al-Sharaa. Ankara punta a legittimare la propria presenza in Siria attraverso un’alleanza con gli Emirati, che, dal canto loro, cercano di rafforzare la presa economica sulla ricostruzione del Paese devastato. La recente firma di un contratto da 800 milioni di dollari tra la Siria e Dubai Ports World per la gestione del porto di Tartus dimostra come Abu Dhabi stia occupando spazi lasciati vuoti dalle potenze occidentali.
Oltre al Medio Oriente, Ankara e Abu Dhabi proiettano la loro influenza nel Caucaso meridionale, tentando di ricomporre il conflitto tra Armenia e Azerbaigian. La diplomazia degli Emirati, che ha ospitato i colloqui tra Pashinyan e Aliyev, e il ruolo di Ankara come garante per Baku, mostrano come l’asse turco-emiratino possa diventare un perno anche per la stabilità eurasiatica.
Questa cooperazione risponde a una logica di “compartimentazione”: le divergenze ideologiche restano, ma non intralciano le sinergie economiche e strategiche. La Turchia, pur non avendo reciso del tutto i legami con la Fratellanza Musulmana e mantenendo un rapporto ambiguo con Hamas, sembra disposta a ridurre i toni per non compromettere le relazioni con Abu Dhabi.
Il commercio bilaterale, già a quota 15 miliardi di dollari nel 2024, punta a raggiungere i 40 miliardi entro il 2028 grazie a un accordo di partenariato economico che riduce i dazi sull’80% delle merci. La cooperazione militare rappresenta la vera novità: velivoli senza pilota, sistemi missilistici e satelliti avanzati diventano simboli di un partenariato che sfida i vecchi equilibri di potere, in un’area dove la presenza russa si è indebolita e quella cinese si fa sempre più assertiva.
La posta in gioco non è solo economica. Per Ankara, questo asse rappresenta la possibilità di uscire dall’isolamento in cui era precipitata dopo il fallito colpo di Stato del 2016 e di rientrare in una rete regionale che comprende anche Arabia Saudita ed Egitto. Per gli Emirati, significa trasformarsi da potenza economica a giocatore politico e militare in grado di influenzare gli scenari regionali e globali.
La costruzione di un partenariato strategico tra Turchia ed Emirati Arabi Uniti è un segnale che le alleanze nel mondo multipolare non sono più dettate da rigide linee ideologiche, ma da un calcolo pragmatico degli interessi. Se questo asse riuscirà a consolidarsi, potrebbe riscrivere gli equilibri nel Mediterraneo orientale, nel Golfo e nel Caucaso, creando un nuovo baricentro di potere capace di dialogare con Mosca, Pechino e Washington allo stesso tempo.
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