Faggin (Smact): “L’AI? Non è una corsa sprint, ma una maratona”

Giugno 30, 2025 - 17:30
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Faggin (Smact): “L’AI? Non è una corsa sprint, ma una maratona”

AI NELL’INDUSTRIA

Faggin (Smact): “L’AI? Non è una corsa sprint, ma una maratona”



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Secondo Matteo Faggin, Direttore del Competence Center SMACT, l’adozione dell’AI è una corsa lunga che richiede strategia e pazienza. Ogni azienda, con le sue unicità, deve costruire un percorso su misura, partendo da una solida cultura del dato. Casi concreti, dalla computer vision per la logistica al digital twin per la manutenzione, dimostrano che la tecnologia è efficace solo se applicata per risolvere problemi specifici, migliorando processi e qualità del lavoro

Pubblicato il 30 giu 2025



IoT e GenAI

L’intelligenza artificiale non è una soluzione a scaffale che si acquista e si installa, né una “bacchetta magica” in grado di risolvere istantaneamente problemi complessi. È piuttosto un percorso di lungo periodo, una “maratona” che le imprese devono affrontare con strategia, consapevolezza e “passo costante”, senza lasciarsi travolgere dalla fretta di implementare una tecnologia solo perché di tendenza. È questa la visione espressa da Matteo Faggin, direttore generale del Competence Center SMACT, nel corso di una tavola rotonda dedicata all’impatto dell’AI su industria e società tenutasi in occasione del Made in Italy Innovation Forum organizzato dal MICS. Un approccio, quello di Faggin, che invita alla riflessione e sposta l’attenzione dalla tecnologia in sé ai processi e alle specificità di ogni singola azienda.

Ogni azienda una storia a sé

Per spiegare il suo punto di vista, Faggin ricorre a una suggestiva citazione letteraria tratta dall’incipit di “Anna Karenina” di Tolstoj: “Ogni famiglia felice è felice allo stesso modo, ogni famiglia infelice è infelice in modo diverso”. Le aziende e i luoghi di lavoro, secondo il direttore di SMACT, assomigliano a queste famiglie infelici: ognuna è piena di problemi e peculiarità che la rendono unica. Questa diversità rappresenta una delle grandi fortune del tessuto produttivo italiano. Faggin, operando nel Triveneto, osserva quotidianamente come aziende concorrenti, nate magari da uno stesso ceppo e situate sulla medesima strada, sviluppino nel tempo processi, culture e problematiche profondamente differenti.

Questa eterogeneità, che potrebbe apparire come un limite, è in realtà una barriera protettiva. Se tutte le imprese fossero identiche, un grande operatore tecnologico globale potrebbe facilmente sviluppare una soluzione standardizzata e spazzare via la concorrenza in poco tempo. La specificità di ogni realtà produttiva impedisce che questo accada e apre spazi enormi per soluzioni personalizzate. È qui che nasce l’opportunità, e la necessità, di un approccio sartoriale all’innovazione. In questo scenario, i centri di competenza come SMACT agiscono da mediatori e facilitatori, aiutando le imprese a diagnosticare i propri problemi specifici, a identificare le soluzioni tecnologiche più adeguate e a trovare i partner giusti per costruirle.

Matteo Faggin, General Manager di Smact

L’approccio strategico: una maratona, non uno sprint

L’idea che l’adozione dell’intelligenza artificiale sia una maratona e non uno sprint discende direttamente dalla constatazione precedente. La tentazione di cedere alle sirene del mercato, che promettono soluzioni miracolose capaci di trasformare un’azienda in poche settimane, è forte. Ma l’esperienza dimostra che un’innovazione così pervasiva non può essere imposta dall’esterno, ma deve essere coltivata dall’interno. Richiede fatica, studio e la volontà di entrare nel merito dei singoli problemi.

Partire con il passo giusto, senza bruciare tutte le energie all’inizio, è fondamentale. Significa investire preliminarmente sulla cultura del dato, sulla sensorizzazione dei processi (laddove manchi) e sulla formazione delle persone. Un’azienda che si affretta a implementare un algoritmo di AI, senza avere una solida base di dati di qualità o senza aver compreso a fondo quali processi intende migliorare, rischia non solo di sprecare risorse, ma anche di generare frustrazione e sfiducia verso l’innovazione. L’obiettivo non deve essere quello di “adottare l’AI” come fine ultimo, ma di farsi trovare pronti e strutturati per i cicli di innovazione futuri, costruendo fondamenta solide che permettano di integrare le nuove tecnologie in modo organico ed efficace.

Dalla teoria alla pratica: il valore della computer vision

Per rendere concreto il suo ragionamento, Faggin ha illustrato un caso reale seguito da SMACT, quello di un distributore di bevande del Veneto. Il problema dell’azienda era semplice ma dalle conseguenze… costose: ogni errore nella composizione di un ordine per un cliente del settore horeca comportava la necessità di un secondo viaggio per consegnare la merce mancante, con un evidente spreco di tempo e denaro. Inizialmente il controllo veniva effettuato da un impiegato che spuntava manualmente la merce caricata. Successivamente, per migliorare le condizioni di lavoro dell’addetto, sono state installate delle telecamere, consentendo all’operatore di effettuare il controllo dall’ufficio. Questa soluzione, però, si è rivelata presto a sua volta “alienante”, costringendo la persona a visionare circa 5.000 fotografie al giorno.

È qui che l’intelligenza artificiale ha offerto una soluzione di valore. In collaborazione con SMACT, l’azienda ha implementato un algoritmo di computer vision addestrato a riconoscere i prodotti e a verificare in automatico la correttezza del carico. Il risultato è stato un triplice beneficio: l’imprenditore ha ottenuto un processo più efficiente e una maggiore qualità del servizio; il cliente ha ricevuto ordini sempre corretti; e l’impiegato è stato liberato da un compito ripetitivo e a basso valore aggiunto, potendo essere destinato ad attività più qualificanti. Questo esempio dimostra come l’AI, se applicata con intelligenza, non serva a sostituire l’uomo, ma a potenziarne le capacità, eliminando le mansioni più usuranti.

Oltre la produzione: l’evoluzione del digital twin

Un altro ambito tecnologico in cui l’approccio strategico si rivela vincente è quello del digital twin. Anche in questo caso la percezione iniziale era quella di una tecnologia complessa e costosa, adatta solo a grandi progetti. Faggin ha spiegato come, in realtà, l’evoluzione tecnologica ne stia democratizzando l’accesso. SMACT, grazie alla collaborazione con centri di eccellenza come la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, lavora da tempo su questo fronte, inizialmente per la modellazione e la manutenzione di grandi prodotti, come gli scafi delle navi.

Oggi le applicazioni si stanno estendendo anche agli impianti industriali esistenti. Forme di “gemello digitale” vengono implementate per supportare il retrofit e la sensorizzazione di linee produttive, oppure per gestire in modo predittivo intere flotte di prodotti connessi, come una stufa installata a migliaia di chilometri di distanza.

Anche in questo caso l’ostacolo principale alla sua diffusione non è tanto la soglia di accesso tecnologica, quanto la maturità dell’impresa. L’adozione di un digital twin richiede una visione a lungo termine e, soprattutto, una solida cultura del dato. Senza, anche la più sofisticata delle simulazioni digitali rischia di rimanere un esercizio di stile fine a se stesso.

L'articolo Faggin (Smact): “L’AI? Non è una corsa sprint, ma una maratona” proviene da Innovation Post.

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