I bambini rapiti in nome della fede, e la ferita mai chiusa della Chiesa

Dicembre 19, 2025 - 15:00
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I bambini rapiti in nome della fede, e la ferita mai chiusa della Chiesa

È un libro necessario e scomodo “Bambini rapiti, bambini contesi. Battesimi forzati e fratellanza umana” (Guerini e Associati), curato dalle professoresse Elisa Bianchi ed Elèna Mortara. Necessario perché riporta alla luce una pagina rimossa della storia europea e cattolica. Scomodo perché dimostra che quella pagina non è del tutto chiusa.

Il volume raccoglie saggi di storici, intellettuali e uomini di fede che attraversano un arco temporale lungo e oscuro: dall’Inquisizione spagnola alla segregazione degli ebrei nei ghetti imposti dalla Chiesa di Roma, fino al secondo dopoguerra e al dramma dei bambini ebrei sopravvissuti alla Shoah, nascosti in conventi o presso famiglie cattoliche e mai restituiti ai parenti scampati allo sterminio. Bambini sottratti non solo alle famiglie, ma alla possibilità di tornare liberamente alla propria identità religiosa.

L’attualità del libro è resa esplicita dall’appello che Elèna Mortara rivolge direttamente al Pontefice: abrogare dal Diritto Canonico il canone 868, comma 2, che ancora oggi consente il battesimo lecito di un bambino in pericolo di morte «anche contro la volontà dei genitori», siano essi cattolici o no. Una norma che, letta oggi, resta difficile da giustificare sul piano dei diritti fondamentali.

Per Mortara la questione non è solo accademica. È personale e storica insieme. È pronipote di Edgardo Mortara, il bambino ebreo rapito a Bologna il 23 giugno 1858 dalle guardie pontificie e trasferito per ordine di Pio IX nella Casa dei Catecumeni di Roma. Un sequestro legalizzato dal potere temporale dei Papi e trasformato in simbolo internazionale di abuso religioso e politico. Una vicenda che Marco Bellocchio ha raccontato con rigore e forza civile nel film “Rapito”.

Il caso Mortara esplose quando il potere temporale stava già avviandosi al tramonto, ma non era ancora disposto a cedere. E non fu un’eccezione. Come ricorda la storica Marina Caffiero nel volume, tra il 1614 e il 1797 nelle Case dei Catecumeni furono battezzati forzatamente 1.958 ebrei e 1.086 bambini musulmani. Numeri che raccontano un sistema, non deviazioni occasionali.

Ancora più inquietanti sono i dati emersi nel secondo dopoguerra. Nel 1945 Gerhart Riegner, segretario del Congresso Mondiale Ebraico, incontrò a Roma l’allora Sostituto della Segreteria di Stato vaticana, monsignor Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI. Riegner parlò di un milione di bambini ebrei polacchi da ritrovare, dispersi tra famiglie e istituti cattolici che li avevano “protetti” durante la guerra. Ne furono rintracciati solo 3.468. In Ungheria, su 100.000 bambini attesi, soltanto otto tornarono alle famiglie.

Numeri ai quali, come ricorda monsignor Pierfrancesco Fumagalli, emerito dell’Ambrosiana di Milano, Montini stesso faticò a credere. Ma proprio quella incredulità segnò uno dei nodi mai davvero sciolti nel rapporto tra Chiesa di Roma ed ebraismo: il confine tra protezione e appropriazione, tra salvezza e violenza simbolica.

Emblematica, in questo senso, la vicenda dei fratelli Finaly in Francia, restituiti alla famiglia solo nel 1953 dopo un estenuante contenzioso legale. Una storia che lo storico David Kertzer, presente nel volume, ha ricostruito in profondità nei suoi lavori sull’archivio vaticano e sulle responsabilità istituzionali della Chiesa.

Per dimensioni e logica, questi casi risuonano oggi con un’eco inquietante. È impossibile non pensare ai bambini ucraini deportati dalla Russia durante la guerra di aggressione ancora in corso. Se nel passato lo scopo dichiarato era “salvare” le anime dal peccato originale attraverso il battesimo, oggi la violenza assume la forma della russificazione forzata: sradicare i minori dal contesto familiare e culturale per cancellare l’identità ucraina. Cambiano le giustificazioni, resta l’idea che un potere superiore possa decidere chi un bambino debba essere.

Il saggio curato da Bianchi e Mortara è denso e rigoroso. Si apre con l’introduzione storica della professoressa Bianchi e include gli interventi del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, le analisi teologiche del professor Matthew Tapie (Saint Leo University, Florida), i contributi di studiosi come Roberto Benedetti e Cristiana Cianitto sul diritto ecclesiastico, il quadro psicologico tracciato da Paolo Inghilleri e le tabelle dettagliate dello storico Claudio Procaccia, che restituiscono numeri e dinamiche del fenomeno con chiarezza documentale.

Il nodo resta delicato e ancora irrisolto. Ma l’appello di Elèna Mortara, formulato in nome della fratellanza umana e del rispetto tra le fedi, pone una domanda che non può più essere elusa: può la Chiesa continuare a difendere una norma che legittima la violazione del legame primario tra genitori e figli? Ora la parola passa a Papa Leone XIV.

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Redazione Redazione Eventi e News