I personaggi di Toy Story sono sempre stati carichi di citazionismo e nostalgia

Il processo che ha portato alla delineazione della narrazione di Toy Story è stato, come si è visto, lungo e caratterizzato da numerose tappe. Sono i personaggi, in particolare, a subire in corso d’opera cambiamenti sostanziali.
Se da una parte è chiaro fin dal principio l’intento di incentrare la storia su un gruppo di giocattoli, dall’altra la loro caratterizzazione subisce un’evoluzione dovuta a ragioni di ordine iconografico e “merceologico”.
Come si è mostrato, la sostituzione del personaggio di latta Tinny e della sua comprimaria marionetta da ventriloquo da parte di un cowboy di pezza e di un’action figure spaziale di plastica deriva dalla volontà di porre al centro della storia una dialettica tra passato e futuro che assume particolare significato in un anno chiave, quale il 1995, nel quale si celebra tanto l’uscita del primo film in animazione digitale quanto il centenario della prima proiezione pubblica del cinematografo dei fratelli Lumière.
A ciò va aggiunto che Toy Story si rifà a tutti gli effetti a una concezione fortemente aderente alla storia culturale degli Stati Uniti, e in particolar modo legata alla memoria nostalgica della generazione del baby boom – a cui lo stesso Lasseter appartiene – cresciuta grazie alle prosperose condizioni economiche conseguenti al secondo dopoguerra e frequentemente rievocata nel cinema degli anni Ottanta.
Il citazionismo proprio del postmodernismo filmico è una componente che pervade l’intera narrazione attraverso numerosi rimandi che coinvolgono la sceneggiatura, la regia, l’estetica, e che hanno implicazioni specialmente nella caratterizzazione e nella conformazione dei personaggi.
Da questo punto di vista va evidenziato che il film di Lasseter è stato anzitutto accostato ai lungometraggi e cortometraggi di Winnie the Pooh, ispirati ai racconti dello scrittore inglese Alan Alexander Milne e trasposti in film di animazione dalla Disney a partire dal 1977 (Le avventure di Winnie the Pooh, The Many Adventures of Winnie the Pooh, Wolfgang Reitherman, John Lounsbery).
Come in Toy Story, in essi la vicenda ruota attorno alle avventure di un gruppo di pupazzi, l’orsetto di peluche Pooh e i suoi amici del Bosco dei 100 Acri, che prendono vita all’interno del libro presente nella stanza del loro padroncino umano Christopher Robin.
In Toy Story tuttavia è ancora più marcata la dimensione nostalgica che si rifà, come si è anticipato, alla memoria dei “mitici” anni Cinquanta. È soprattutto nella figura di Woody che si incarnano i residui dell’era pre-Sputnik in cui l’identità nazionale americana non era ancora stata messa in crisi dal processo di globalizzazione trans e postnazionale che avrebbe investito la cultura statunitense a partire dagli anni Sessanta.
Il cowboy di pezza è un residuato “vintage” non solo nelle sue fattezze, che rimandano a un’epoca d’oro della storia americana caratterizzata dal mito della frontiera e della fondazione di nuovi insediamenti, ma anche perché è parte di una collezione di giocattoli risalente a un evento mediale degli anni Cinquanta immaginato nel secondo capitolo della saga: la serie televisiva Woody e gli amici del West, la cui produzione, come viene rimarcato dallo stizzito personaggio del cercatore d’oro Stinky Pete, viene bloccata nel 1957 proprio a seguito del lancio dello Sputnik e, quindi, della perdita di interesse per i giocattoli vintage da parte dei bambini a favore di nuovi personaggi legati alla frontiera dello spazio.
Il carattere di reliquia del pupazzo cowboy potrebbe essere ulteriormente confermato dalla teoria di Jon Negroni secondo cui Woody sarebbe appartenuto al padre di Andy, figura aleatoria mai presente in nessun film della saga (Negroni, 2014). Tale ipotesi sarebbe supportata nuovamente nel secondo capitolo di Toy Story nella scena in cui la mamma di Andy si rifiuta di vendere Woody in quanto vecchio giocattolo di famiglia oppure in quella in cui il pupazzo aziona un vecchio giradischi affermando di non vederne uno da anni.
Tratto da “Pixar: Toy Story”, di Christian Uva e Martina Vita, Carocci Editore, pp. 112, 13,50 €
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