Italia, una rincorsa ancora incompiuta verso la neutralità climatica

Maggio 21, 2025 - 15:40
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Italia, una rincorsa ancora incompiuta verso la neutralità climatica
comunità energetiche rinnovabili

Un report della Rome Business School confronta Italia, Spagna, Francia e Germania sul cammino della transizione e dell’efficienza energetica, fotografando per il nostro Paese un sistema ancora fossil-dipendente, costoso e strutturalmente vulnerabile

Nel quadrante mediterraneo della transizione energetica europea, l’Italia si distingue più per ritardi e contraddizioni che per slanci virtuosi. Lo certifica, con dovizia di dati e analisi comparativa, il report 2025 Energia e Transizione in Italia e in Europa, a cura della Rome Business School (che potete consultare online).

Il documento tratteggia un Paese ancora ostaggio del gas naturale e del petrolio, con un sistema energetico che, a dispetto degli obiettivi climatici, resta fortemente esposto alle dinamiche speculative e geopolitiche dei mercati globali.

Un primato scomodo per l’Italia: l’elettricità più cara d’Europa

Nel primo quadrimestre del 2025 il prezzo medio dell’energia elettrica in Italia ha toccato quota 136,2 €/MWh: il valore più elevato tra i grandi Paesi dell’Unione europea, ben al di sopra dei 112,5 €/MWh della Germania, dei 94,5 €/MWh della Francia e degli 80,9 €/MWh della Spagna.

Il differenziale rispetto a quest’ultima è del +68%, penalizzando fortemente la competitività industriale e il potere d’acquisto delle famiglie italiane.

Questa distorsione è imputabile all’elevata incidenza del gas naturale nella formazione del prezzo marginale, secondo il meccanismo europeo del System Marginal Price. In Italia, nel 2023, il gas ha coperto ancora il 45% della produzione elettrica, rendendo strutturale la vulnerabilità del mercato nazionale alle fluttuazioni del gas fossile.

Nel 2023, il 72% del mix energetico italiano risultava ancora composto da fonti fossili: il petrolio, in crescita, ha raggiunto il 36,7%, mentre il gas ha rappresentato il 35,4% del totale.

Le rinnovabili, nonostante le ambizioni, hanno segnato un modesto +0,9 punti percentuali rispetto al 2021, fermandosi al 20,5%. Un dato che, pur rappresentando la quota più alta tra le potenze europee, segnala la lentezza strutturale dell’incremento.

Nel biennio 2021-2023, il calo del gas (-5,1 punti percentuali) è stato infatti compensato più dall’aumento del petrolio (+3,6 p.p.) che da una reale accelerazione delle fonti pulite. Il risultato è una transizione energetica ancora incompleta, priva di un salto qualitativo nel paradigma produttivo.

Emissioni inquinanti: calano, ma più lentamente dei nostri vicini

L’Italia ha ridotto le emissioni di gas serra del 35% rispetto al 2005, ma il ritmo di riduzione si sta rallentando. Secondo il Centro Europa Ricerche, nel 2024 il calo stimato sarà del -3%, in netta flessione rispetto al -6,4% del 2023.

I settori energia, manifattura e costruzioni restano i principali responsabili delle emissioni italiane (34,7%), seguiti dai trasporti (28,2%) e dagli usi civili (tra il 16% e il 18%).

In termini di intensità emissiva per unità di Pil, l’Italia si colloca su livelli ancora elevati (0,19 mtCO2eq/mld €), rispetto a Francia (0,14), Germania (0,18) e Spagna (0,20). L’efficienza energetica – intesa come energia consumata per euro prodotto – resta dunque un nervo scoperto della politica industriale nazionale.

Nel 2023 l’Italia ha importato il 74,8% dell’energia consumata, confermandosi la più dipendente tra le grandi economie europee. In confronto, la Spagna si è attestata al 68%, la Germania al 66% e la Francia, forte del nucleare, si è fermata al 45%.

Nonostante un calo dei consumi del 25% rispetto al 2005, l’autosufficienza energetica resta lontana. La produzione interna da rinnovabili – circa 10 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (mtep) – copre appena il 44% della generazione elettrica.

Inoltre, l’Italia registra un incremento della quota petrolifera, mentre altri Paesi accelerano sulle rinnovabili. La Germania ha visto un incremento medio annuo dell’8,4% nella produzione elettrica green tra 2005 e 2023; l’Italia si è fermata al 5%.

Tecnologie abilitanti: corsa a ostacoli

Sul piano delle tecnologie emergenti – fotovoltaico, eolico, batterie, pompe di calore, elettrolizzatori e mobilità elettrica – l’Italia partecipa ma non guida. Il target nazionale sull’idrogeno verde prevede 5 GW di elettrolizzatori al 2030, contro i 10 GW della Germania, i 6,5 GW della Francia e gli ambiziosi 27 GW della Spagna.

Anche sul fronte della mobilità elettrica, il ritardo è evidente: nel 2023, le immatricolazioni di auto elettriche in Italia si sono fermate sotto il 10%, mentre in Germania e Francia hanno superato il 15%.

A ciò si aggiunge una forte dipendenza da tecnologie e componentistica estere: la Cina controlla tra l’85% e il 98% della produzione globale nei settori chiave dell’energia pulita. L’Unione europea ha reagito con il Net-Zero Industry Act e il Critical Raw Materials Act, ma l’Italia è ancora lontana da una capacità produttiva autonoma significativa.

Come sottolineato nel report, il problema non è solo cambiare fonti energetiche, ma ripensare l’intera scala dei consumi. L’efficienza e la sobrietà energetica diventano così strumenti indispensabili per ridurre in modo strutturale le emissioni, diminuire la dipendenza da fonti fossili e rafforzare la sicurezza energetica nazionale.

Il nodo centrale della transizione resta quindi culturale e sistemico: occorre una riduzione assoluta dei volumi energetici utilizzati a parità di Pil, non un mero rimpiazzo tra fonti. L’energia si conferma asse strategico per la sovranità, la competitività e la resilienza dei sistemi produttivi.

L’Italia, a differenza di Francia, Germania e Spagna, non ha ancora saputo adottare una governance industriale integrata, capace di coordinare incentivi, investimenti e pianificazione a lungo termine.

Il rischio, evidenziano gli autori del report, è che la transizione diventi una trappola: sostenere i costi senza raccogliere i benefici. Servono scelte coraggiose, pianificazione strategica e riforme strutturali per evitare che la decarbonizzazione resti una promessa più che una traiettoria concreta.

In gioco non c’è solo la neutralità climatica al 2050, ma la stessa tenuta economica e industriale del Paese. Se non si corre ora, l’Italia rischia di restare indietro, pagando il prezzo più alto – in termini economici, ambientali e geopolitici – del nuovo ordine energetico europeo.

Crediti immagine: Depositphotos

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