La cucina italiana che piace agli altri

A pochi giorni dal riconoscimento della cucina italiana come Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità, arriva una fotografia utile per capire cosa, davvero, resta impresso dell’Italia a tavola negli occhi dei turisti stranieri. A scattarla è Roberta Garibaldi, presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico, nel report “La cucina italiana: evoluzione degli acquisti, cambiamento dei consumi e nuovi modelli di socialità”, che indaga percezioni, associazioni mentali e geografie del gusto nei principali mercati esteri.
Il primo dato è una conferma. La cucina italiana, fuori dai confini nazionali, continua a essere fortemente polarizzata attorno a due icone globali: pizza e pasta. Ma l’intensità di questa associazione cambia molto da Paese a Paese. La pasta è particolarmente riconoscibile in Svizzera, Austria e Francia, mentre la pizza domina soprattutto in Francia, Austria e Svizzera, con percentuali più contenute nel Regno Unito e negli Stati Uniti.
Scendendo nel dettaglio delle singole preparazioni, emergono differenze interessanti. Gli spaghetti sono il formato più citato in Austria, le lasagne in Svizzera e nel Regno Unito, la carbonara trova una forte identificazione soprattutto in Svizzera, mentre la bolognese – filtrata dalla tradizione italo-americana – mantiene una certa visibilità nei mercati anglosassoni. Il risotto risulta più familiare nei Paesi confinanti, come Svizzera e Francia, mentre tra i dolci si confermano due classici trasversali come tiramisù e gelato.
Da questi dati prende forma un mosaico di percezioni nazionali. I Paesi di lingua tedesca tendono a fissare l’immagine della cucina italiana sulle icone più tradizionali. Regno Unito e Stati Uniti restituiscono una visione più standardizzata, spesso mediata dalla ristorazione italo-americana. La Francia, invece, mostra un approccio più gastronomico, attento alla varietà dei piatti e al loro valore culturale.
Non è solo una questione di piatti. Oltre il 90 per cento degli intervistati in Austria, Francia e Svizzera associa almeno un aggettivo positivo alla cucina italiana. Gli austriaci parlano di bontà e tradizione, i francesi di autenticità e valore culturale, gli svizzeri di varietà, qualità e naturalità. Un lessico che conferma il ruolo dell’enogastronomia come leva identitaria e strumento di attrattività turistica.
Quando si passa dalle ricette ai luoghi, l’immaginario si restringe. Poche destinazioni catalizzano gran parte della notorietà internazionale. In testa c’è la Toscana, che incarna un’idea di italianità fatta di paesaggio rurale, vino e cucina tradizionale, con picchi di riconoscibilità in Svizzera, Austria e Stati Uniti. Segue Roma, simbolo di storia, convivialità e ospitalità, particolarmente forte in Francia e nel mercato americano. Al terzo posto la Sicilia, che conquista per la forza della sua identità gastronomica e dei suoi prodotti tipici.
Accanto a queste tre colonne dell’immaginario emergono però sfumature nazionali. La Germania guarda alle aree alpine e al Sud Tirolo, dove natura e cucina si intrecciano. La Francia associa in modo netto Napoli alla pizza e riconosce Venezia come destinazione gastronomica. Nel Regno Unito l’immagine resta più ancorata ai grandi classici, mentre la Svizzera dimostra una conoscenza più articolata, includendo anche Piemonte, Puglia e Campania. Tra le mete emergenti, la Puglia si fa spazio nei mercati più curiosi, insieme ai territori del vino del Nord come Langhe e Franciacorta, che parlano a un pubblico già maturo, sensibile al turismo esperienziale.
Il messaggio che emerge dal report è chiaro: l’Italia gastronomica che funziona all’estero non è una somma indistinta di piatti iconici, ma un racconto fatto di stile di vita (vero o presunto, non sta a noi giudicare), territori riconoscibili, produzioni coerenti e identità locali forti. Una pluralità che oggi rappresenta una risorsa strategica per il turismo enogastronomico e una sfida culturale per il modo in cui il Paese sceglie di raccontarsi.
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