La falce di luna e il martello
Negli ultimi anni, sia nel Regno Unito che in Francia, si è affermata una forma di alleanza politica fra la sinistra radicale e settori delle comunità musulmane, che ha dato vita al fenomeno dell’islamo-marxismo. Due esempi emblematici sono l’asse Corbyn–Sultana nel Labour britannico e il partito La France insoumise di Jean-Luc Mélenchon.
Nel Regno Unito, Jeremy Corbyn ha guidato il Partito Laburista dal 2015 al 2020 con l’obiettivo di riportarlo alle sue radici socialiste. Durante la sua leadership, ha saputo attrarre una nuova base giovanile e multiculturale, includendo attivamente le comunità musulmane, in particolare quelle urbanizzate e politicamente sensibili alle questioni internazionali come la Palestina o la guerra in Iraq. Zarah Sultana, giovane deputata laburista eletta nel 2019, è uno dei simboli di questo nuovo orientamento. Di origini pakistane e musulmana praticante, ha costruito la sua carriera politica su un’agenda anti-imperialista, antirazzista e fortemente critica verso l’establishment britannico, accusato di discriminazioni sistemiche contro le minoranze.
Questa alleanza gira attorno a tre assi fondamentali: la critica all’interventismo militare occidentale, la denuncia dell’islamofobia istituzionale e la rivendicazione di giustizia sociale. Il linguaggio comune è quello della lotta agli oppressori globali e locali, in cui il musulmano è in condizione di subalternità. Se da un lato ciò ha rafforzato la base militante del Labour nei centri urbani, dall’altro ha sollevato accuse di ambiguità verso posizioni illiberali o reazionarie di certi ambienti islamici. In Francia, il partito La France insoumise di Mélenchon ha seguito un percorso simile, ma in un contesto molto più ostile. La “laïcité” francese, con la sua insistenza sull’universalismo repubblicano, rende l’identità religiosa uno spazio politicamente scivoloso.
Mélenchon ha abilmente adottato un linguaggio attento alle rivendicazioni delle banlieues a maggioranza musulmana, denunciando il razzismo della polizia e la marginalizzazione sociale. Questo connubio fra la religiosità islamica e gli eredi del marxismo può sembrare forzato e addirittura innaturale, quando si pensa alla sharia e ai suoi brutali precetti, più vicini al bieco patriarcato machista e misogino che al Sol dell’avvenire.
Ma c’è qualcosa di sotterraneo che unisce l’ideologia comunista e l’etica islamica e che va ricercato alle radici dell’Islam. L’Islam, come del resto anche il Cristianesimo, nasce come reazione alla corruzione e all’immoralità che dilagava nell’Arabia di Maometto. La setta maomettana nasce come una comunità basata su principi di giustizia, equità e grande sobrietà dei costumi. Una delle cinque regole dell’Islam è la carità ma non come nel Cristianesimo solo un gesto auspicabile di bontà bensì come pilastro fondamentale della fede, articolato in forme precise che si basano su una visione spirituale della ricchezza vista come una responsabilità e non un privilegio.
C’è una carità obbligatoria, la zakāt e una volontaria, la ṣadaqa. C’è il waqf che è la donazione permanente di un bene per scopi caritatevoli dove il capitale principale rimane intatto, mentre gli interessi vengono utilizzati per attività benefiche, come la costruzione di moschee, scuole, ospedali o l’assistenza ai poveri. Infine c’è il qard hasan: un prestito senza interesse con cui si aiuta chi è in difficoltà senza cercare alcun guadagno economico. Nell’Islam la carità è dunque una vera e propria istituzione, strumento di giustizia sociale che riduce le disuguaglianze, aiuta i più deboli e rafforza la comunità. È su questo sistema che si fondano le banche islamiche che hanno finanziato il boom economico turco degli anni Novanta. Islam e marxismo hanno dunque in comune la ricerca di giustizia sociale che in fondo continua ad avere un’origine religiosa perché è nel pensiero protestante, ugualmente ispirato alla frugalità e all’equità, che nasce il marxismo. La vicinanza fra etica protestante e islamica viene anche dal fatto che entrambe le religioni si fondano sull’interpretazione diretta dei testi sacri e quindi sulla responsabilità individuale. Niente di tutto questo nel cattolico che può impunemente vivere nella totale immoralità e poi salvarsi correndo a pentirsi nel confessionale.
In conclusione, l’islamo-marxismo non è un ossimoro politico, ma l’espressione contemporanea di un’alleanza fondata su valori condivisi di giustizia sociale e critica al potere costituito. Seppure le sue componenti appaiano, a prima vista, ideologicamente incompatibili entrambe condividono una matrice etica fondata sulla solidarietà, la responsabilità collettiva e la lotta contro le disuguaglianze. In un’epoca di crescente polarizzazione, questa convergenza tra fede e politica radicale mette in crisi le categorie tradizionali sviluppando una prassi militante che unisce mondi apparentemente lontani nel nome di un nemico comune: l’ingiustizia sistemica.
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