La ribellione del maestro Pavel alla propaganda russa spacciata per patriottismo

Dicembre 17, 2025 - 06:00
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La ribellione del maestro Pavel alla propaganda russa spacciata per patriottismo

Pavel Talankin ha 33 anni, è un insegnante russo e il protagonista di una vicenda che racconta con nitidezza come il regime putiniano stia plasmando l’immaginario e il futuro delle nuove generazioni. Nato e cresciuto a Karabaš, città degli Urali azzoppata da cinquant’anni di devastazione ambientale, Talankin ha sempre amato lavorare con i bambini. L’invasione dell’Ucraina, però, ha trasformato il suo mestiere in un ingranaggio di propaganda.

A partire dal 2022, su ordine del ministero dell’Istruzione russo, le scuole sono state costrette a organizzare e filmare “lezioni di patriottismo”, dove i ragazzi ascoltano l’inno nazionale, imparano a glorificare la guerra e a interiorizzare una visione del mondo chiusa e ostile verso l’esterno. Talankin, che inizialmente riprende i video per dovere burocratico, si rende presto conto dell’aberrazione di quei materiali: non sono strumenti educativi, ma strumenti di indottrinamento. Decide allora di salvarli accumulandoli su hard disk con l’idea di mostrarli a occhi esterni alla Russia.

Quel materiale diventa il cuore di un documentario, Mr. Nobody against Putin, che viene presentato nei cinema europei e comincia a vincere premi internazionali. Ma con la visibilità arriva la condanna del regime: Talankin capisce di non poter più tornare in patria. I mezzi d’informazione russi lo dipingono come traditore. I colleghi sono invitati a tagliare i contatti con lui. Per alcuni è un eroe, per altri un nemico. La sua storia – quella di un uomo qualunque che ha deciso di sollevare il velo sulla macchina di propaganda statale – non è un caso isolato. È parte di un fenomeno più vasto: la propaganda filorussa non solo informa, ma modella opinioni e atteggiamenti, anche lontano dai confini della Federazione Russa.

In Italia, la vulnerabilità alle narrative putiniane è ampiamente documentata. Sondaggi recenti mostrano come una quota significativa di italiani non attribuisca a Mosca la responsabilità principale della guerra in Ucraina e mantenga un atteggiamento neutrale o addirittura favorevole verso la Russia, più che in altri Paesi europei. Secondo dati Ipsos, nel 2025 oltre la metà degli intervistati non prende posizione tra Russia e Ucraina, mentre il sostegno per Kyjiv è diminuito rispetto al 2022 e una parte degli italiani chiede di interrompere l’invio di armi a favore degli ucraini, con circa l’11 per cento che dichiara supporto a Mosca.

Questa situazione non nasce dal nulla. Organizzazioni identificabili come portatrici di narrativa pro-Cremlino operano in diverse regioni italiane presentandosi sotto etichette culturali o pacifiste ma veicolando messaggi in linea con le politiche di Putin, talvolta negando i crimini russi o promuovendo versioni distorte della guerra.

Lo sforzo propagandistico non si limita alle piazze: contenuti pro-Cremlino continuano a essere diffusi online, aggirando anche le restrizioni europee contro il canale statale RussiaToday tramite Telegram e gruppi che fanno riferimento a sedicenti giornalisti indipendenti. Secondo analisi di monitoraggio, solamente nei primi mesi del 2025 questi contenuti hanno raggiunto quasi due milioni di utenti in Italia.

Che cosa ha a che fare tutto questo con Talankin e con i nostrani sostenitori della propaganda russa? Tutto. Il regime russo non concentra solo armi e truppe sul campo di battaglia: investe risorse nel diffondere l’idea di un mondo in cui l’aggressività imperialista diventa difesa della patria, la censura difesa dell’unità nazionale e l’odio verso l’“altro” – che sia un Paese vicino come l’Ucraina o una comunità culturale diversa – parte del tessuto quotidiano. In classe e fuori, la propaganda plasma il modo in cui i bambini vedono il futuro e come tasselli di società concepiscono identità e conflitto.

La storia di Talankin ci ricorda che la propaganda non è solo disinformazione tecnica: è un’arma politica con effetti reali sulla formazione delle coscienze. E la presenza di narrative filo-russe nel nostro Paese oggi non è un dettaglio marginale: è un segnale che dobbiamo prendere sul serio. Non si tratta di demonizzare opinioni diverse, ma di riconoscere come le narrative di un regime nazionalista e liberticida stiano trovando terreno fertile in una parte dell’opinione pubblica italiana, creando confusione, legittimazione e persino simpatia verso un governo che reprime dissenso e plasma l’educazione statale per fini politici.

Conoscere storie come quella di Pavel Talankin significa capire cosa va messo in discussione: non solo la retorica di un conflitto, ma le strutture ideologiche che rendono possibile accettare o giustificare la repressione e la manipolazione di intere generazioni.

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