La siccità in Sicilia è il risultato di venticinque anni di fallimenti amministrativi certificati

Non se lo ricorda quasi nessuno, da queste parti, il generale Roberto Jucci. Uomo delle istituzioni, come si dice in questi casi, l’alto ufficiale – comandante dell’Arma dei carabinieri e capo del Servizio segreto militare – accettò, nel 2000, un incarico singolare: commissario straordinario per l’emergenza idrica in Sicilia. Come con la mafia, la politica fece quello che fa quando è disperata: si affida ai generali, ai prefetti, con la speranza che l’ordine e la disciplina militare abbiano la meglio sul caos. Jucci restò in carica due anni. Il tempo di vedere il passaggio dalla lira all’euro, diciamo. E fare poco altro.
Oggi Jucci è quasi centenario. Eppure il suo nome ritorna. Nell’ultima relazione della Corte dei Conti sullo stato della lotta alla siccità in Sicilia si parla di lui, si ricorda la sua breve esperienza e una relazione finale che indicava già problemi e soluzioni, ma che non è stata mai attuata. Quando i magistrati contabili hanno cominciato a mettere ordine, dal 2000 a oggi, preso atto della relazione di Jucci, si sono rivolti alla Regione per chiedere: dal 2001 in poi cosa avete fatto?
La prima risposta è sorprendente: «il Dipartimento Acqua e Rifiuti dell’Assessorato dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità ha informato dell’impossibilità, allo stato, di procedere ad inviare la documentazione attinente al periodo emergenziale 2002 – 2006, poiché questa sarebbe deteriorata a seguito di un allagamento dell’archivio nel quale erano custoditi tali documenti. Non è stato quindi finora possibile acquisire l’evidenza istruttoria del contenuto e delle relazioni conclusive, né della provvista finanziaria e della relativa rendicontazione, con riferimento alle emergenze che si sono succedute dal 2002 al 2006…». In pratica, la documentazione sull’emergenza idrica si è persa… per un allagamento degli uffici.
Basta già questo episodio, da solo, a raccontare come è stata gestita l’emergenza idrica in Sicilia in questi anni. Il sistema idrico dell’isola non è semplicemente fermo: è peggiorato negli ultimi venticinque anni. La fotografia arriva dalla Sezione di controllo della Corte dei Conti per la Regione Siciliana. Il referto sulla gestione dello stato di emergenza è un atto d’accusa che profuma di rassegnazione. Oltre trecento pagine che mettono in fila omissioni, ritardi, opere incompiute, responsabilità rimpallate e una frammentazione amministrativa diventata sistema.
Secondo i magistrati contabili, tutto ciò che Jucci aveva segnalato nel 2000 – dalla necessità di completare le grandi dighe come Pietrarossa e Blufi, fino alla riduzione drastica delle perdite nelle reti – è rimasto lettera morta. Anzi, il referto parla apertamente di «palesi peggioramenti complessivamente gravanti sul sistema idrico». In pratica, un quarto di secolo trascorso a guardare il cielo, aspettando che la pioggia risolvesse l’incapacità dei palazzi.
Il cuore del problema è strutturale. La Corte certifica una gestione inefficiente e frammentata, con competenze disperse tra Regione, Consorzi di bonifica, gestori del servizio idrico, enti locali e strutture emergenziali che si sovrappongono senza coordinamento reale. Una confusione che ha prodotto effetti devastanti soprattutto sugli invasi artificiali: bacini progressivamente interrati per la mancata gestione dei sedimenti trasportati dalle piene, con una perdita stimata di circa 150 milioni di metri cubi di capacità. In alcuni casi l’intasamento è quasi totale, rendendo inutilizzabile gran parte dell’invaso, mentre gli interventi di dragaggio, seppur programmati da anni, restano sulla carta.
C’è poi il capitolo delle opere incompiute. La diga di Trinità, a Castelvetrano, è l’esempio simbolo di una Sicilia che spreca risorse e tempo: limiti di invaso non rispettati, interventi mai completati, un’infrastruttura strategica ridotta a problema giudiziario e tecnico. Stessa sorte per la diga di Blufi, nel Palermitano, dove lavori avviati e mai conclusi hanno prodotto solo spesa pubblica senza beneficio reale. Opere considerate «prioritarie e non procrastinabili» già vent’anni fa, e che oggi restano incompiute.
Per misurare il disastro, la Corte ha utilizzato anche gli indicatori BESt, il sistema di valutazione del Benessere Equo e Sostenibile. Un acronimo che suona quasi beffardo se applicato alla Sicilia. I dati analizzano qualità della vita, equità nella distribuzione delle risorse e sostenibilità futura. Il risultato è impietoso: la Sicilia occupa il penultimo posto in Italia per benessere relativo. Le rilevanti dotazioni idriche dell’isola, che dovrebbero essere un presidio basilare per la dignità della persona e per lo sviluppo economico, sono amministrate in una situazione definita di «grave e consolidata incapacità sistemica».
Le perdite lungo le reti idriche sono un altro buco nero. In alcune aree dell’isola si supera il 50 per cento dell’acqua immessa in rete che non arriva ai rubinetti: si perde tra tubature obsolete, allacci abusivi, mancata manutenzione. A queste si sommano perdite amministrative, legate a inefficienze di gestione, contenziosi e mancata fatturazione. Un disastro nel disastro, mentre agricoltura e zootecnia – settori già messi in ginocchio dalla siccità – restano senza risposte strutturali.
Particolarmente severi sono i rilievi sui Consorzi di bonifica. La Corte parla di «croniche difficoltà finanziarie e gravi carenze gestionali», di un sistema che assorbe risorse pubbliche senza riuscire a garantire servizi efficienti. In alcuni casi i magistrati contabili sottolineano l’assenza di documentazione tecnica adeguata a giustificare le spese sostenute, mentre in altri emergono utilizzi distorti o inefficienti dei fondi disponibili.
Quella che emerge è la cronaca di un naufragio terrestre. Una Sicilia assetata nonostante l’acqua, prigioniera di un sistema che alterna emergenza permanente e ordinaria inefficienza. Tavoli tecnici, commissariamenti, decreti speciali: il referto non concede sconti e certifica una bocciatura su tutta la linea. La città simbolo è Agrigento, capitale italiana della cultura 2025 (coraggio, sta finendo), ma anche capitale dell’acqua che manca, che arriva a turno, una volta a settimana, per un paio d’ore; delle autobotti che costano 100 euro a viaggio; degli anziani con i bidoni che girano la città in cerca di fontanelle; delle cisterne che ormai sono elementi del paesaggio urbano, che delineano, placidi, sui tetti, il profilo della città.
Alla relazione della Corte dei Conti ha replicato la Regione. «Accogliamo con attenzione le osservazioni della Corte dei Conti che richiamano criticità strutturali maturate in oltre vent’anni e un quadro normativo che, in alcuni casi, ha generato una frammentazione delle competenze», ha dichiarato il presidente della Regione, Renato Schifani. «Su questi aspetti la Regione resta aperta a suggerimenti utili a migliorare l’azione amministrativa».
Schifani rivendica l’azione del suo governo: «Da quasi due anni – dice – siamo impegnati sia nella gestione dell’emergenza idrica sia in un piano ordinario di interventi infrastrutturali, finalizzato alla riforma del settore e all’accelerazione della manutenzione di dighe e adduttori». Secondo il presidente, per l’emergenza sono state attivate risorse per oltre 200 milioni di euro, tra fondi regionali e nazionali, con un incremento stimato del 30 per cento della dotazione idrica nelle aree colpite.
Il governatore richiama anche il capitolo dissalatori: «Abbiamo già attivato tre dissalatori pienamente operativi e ne abbiamo programmati altri due a Palermo». E annuncia un rafforzamento amministrativo: «Stiamo potenziando il dipartimento Acqua e rifiuti e avviando una riorganizzazione della governance del sistema, con l’obiettivo di superare frammentazione e ritardi storici e garantire risposte strutturali e durature ai cittadini siciliani».
La Corte dei Conti, però, resta lì. Con le sue trecento pagine. E con una conclusione che pesa come una condanna: senza una rottura reale con il passato, senza opere completate, senza una governance unitaria e responsabile, l’emergenza idrica in Sicilia resterà esattamente ciò che è stata negli ultimi venticinque anni. Permanente. In Sicilia, la crisi idrica va oltre la semplice siccità: è la conseguenza diretta di una gestione disastrosa protratta per decenni, manifestata da dighe mai ultimate, reti idriche piene di perdite, consorzi di bonifica sotto amministrazione straordinaria e infrastrutture idriche lasciate all’abbandono.
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