Land Fund case Londra: il piano Khan tra ambizione e critiche

Agosto 7, 2025 - 00:00
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Land Fund case Londra: il piano Khan tra ambizione e critiche

Affrontare la crisi abitativa della capitale britannica è da anni una delle sfide più complesse per le autorità locali. A Londra, dove il prezzo medio di una casa continua a salire e l’accesso all’affitto resta difficile per buona parte della popolazione, ogni passo avanti nella costruzione di nuove abitazioni diventa notizia. Il recente annuncio del sindaco Sadiq Khan, che ha dichiarato di aver superato con cinque anni d’anticipo l’obiettivo di 8.000 nuove abitazioni avviate grazie al Land Fund, ha riacceso il dibattito su quanto si stia realmente facendo per affrontare una delle più gravi emergenze sociali della città.

Un traguardo anticipato ma sotto la lente della critica

Il fulcro dell’annuncio riguarda il superamento del target di 8.000 nuove case avviate attraverso il Land Fund istituito da City Hall. Secondo quanto riportato dalla BBC, le 8.283 unità avviate entro marzo 2025 rappresentano un traguardo centrato con cinque anni d’anticipo rispetto alla scadenza originaria del 2030. Per il sindaco Khan si tratta della prova che Londra sta affrontando “a testa alta” l’annoso problema della mancanza di alloggi, grazie a una strategia di investimento e flessibilità finanziaria supportata dal governo centrale. Il fondo, del valore di oltre 736 milioni di sterline, è stato attivato nel 2017 e riceve un importante contributo pubblico di 486 milioni di sterline dal Ministero dell’Housing, delle Comunità e del Governo Locale. Questo strumento ha consentito, tra le altre operazioni, di finanziare quasi 1.000 alloggi nell’ex carcere di Holloway grazie a una collaborazione con Peabody Trust, di acquisire terreni ospedalieri dismessi in Enfield e Haringey capaci di accogliere fino a 1.000 nuove unità, e di sostenere operazioni build-to-rent in cooperazione con City & Docklands.

Tuttavia, nonostante l’apparente successo, non sono mancate le voci critiche. I City Hall Conservatives, per voce di Lord Bailey, hanno denunciato la natura “ingannevole” dell’annuncio, definendolo un tentativo di “smoke and mirrors” – ovvero, una manovra per distrarre l’opinione pubblica dai veri numeri dell’emergenza abitativa. Secondo Bailey, il governo stesso ha fissato per Londra un obiettivo di 88.000 nuove abitazioni all’anno, una cifra che rende i numeri celebrati da Khan irrilevanti nel quadro complessivo. A fronte di questa cifra, sottolineano i conservatori, l’attuale amministrazione avrebbe completato appena l’1/8 del target annuo, con un tasso di completamento reale del 2.5% rispetto agli alloggi promessi, nonostante l’immissione di quasi 9 miliardi di sterline da parte dello Stato. Una critica ricorrente riguarda infatti l’uso del termine “housing starts”: iniziare un progetto edilizio non equivale a offrire una casa pronta da abitare. In questo senso, i dati riferiti ai cantieri avviati rischiano di restituire un’immagine più rosea di quella effettiva.

Un contesto mutato e un futuro ancora da costruire

Un’altra chiave di lettura dell’intera vicenda riguarda il contesto politico ed economico in cui questi dati si inseriscono. Nel maggio 2025, lo stesso sindaco e il governo hanno congiuntamente annunciato una riduzione di oltre 6.000 unità nel programma per le “affordable homes” valido per il periodo 2021–2026. Il piano, che inizialmente prevedeva tra 23.900 e 27.100 abitazioni da avviare, è stato ridimensionato a un target compreso tra 17.800 e 19.000, con un taglio netto del 22%. Questo ridimensionamento ha inevitabilmente riacceso il dibattito sulla sostenibilità degli obiettivi, sulla loro effettiva realizzazione e sulla coerenza tra la pianificazione e la capacità esecutiva.

In questo scenario, Khan ha ribadito il proprio impegno, sottolineando la volontà di collaborare con il governo centrale per istituire un nuovo City Hall Developer Investment Fund, finalizzato a “sbloccare ulteriori abitazioni” sul territorio londinese. Il vice primo ministro e segretario per l’Housing, Angela Rayner, ha confermato l’apertura al dialogo, dichiarando che la crisi abitativa ha colpito in particolare i giovani, ostacolandone l’accesso alla proprietà. Secondo Rayner, il governo lavorerà “mano nella mano” con il sindaco per contribuire a raggiungere il nuovo obiettivo nazionale: 1,5 milioni di case in tutto il Paese.

Ma cosa si intende esattamente per “affordable homes”? Nel contesto londinese, questa espressione racchiude un ventaglio di soluzioni che comprendono abitazioni a canone sociale, co-housing, case a prezzo calmierato e soluzioni intermedie pensate per chi non ha i requisiti per un alloggio popolare ma non può permettersi l’acquisto sul mercato privato. La discrepanza tra i numeri dichiarati e quelli percepiti come utili per risolvere l’emergenza abitativa realeè uno dei nodi centrali della discussione pubblica. Per alcuni analisti, servirebbe un approccio ancora più strutturato che vada oltre le operazioni spot o i progetti isolati.

Chi può davvero beneficiare del piano case di City Hall

A livello pratico, la distribuzione geografica degli interventi e la tipologia di abitazioni realizzate rendono il dibattito ancora più articolato. Secondo i dati forniti da City Hall, gran parte degli investimenti del Land Fund si è concentrata in aree di rigenerazione urbana come Islington, Enfield, Haringey e alcune zone esterne del borough di Newham, dove i costi del terreno sono relativamente più contenuti e l’impatto sociale degli interventi è maggiore. Tuttavia, molti residenti delle aree centrali – dove la domanda abitativa è più acuta – continuano a sentirsi esclusi da queste dinamiche. L’accesso alle case a prezzo calmierato, inoltre, è spesso vincolato a criteri di residenza, reddito o tipologia familiare, il che genera ulteriore frustrazione in una città dove anche una camera singola in zona 2 può superare i 1.200 sterline al mese.

Inoltre, nonostante gli sforzi per incrementare la percentuale di case destinate al social rent, molti dei progetti approvati puntano su formule intermedie come il shared ownership – una proprietà parziale con mutuo proporzionale – che, seppur utile in teoria, resta difficilmente accessibile per chi ha contratti precari o non dispone di un sostegno familiare. Anche il settore dei cosiddetti build-to-rent, ovvero appartamenti progettati esclusivamente per l’affitto a lungo termine, solleva perplessità: pur garantendo un’offerta più stabile sul mercato, non sempre rientra nei parametri di affordability richiesti dalle famiglie più vulnerabili.

Infine, la questione dell’housing a Londra non può essere separata dal contesto più ampio della gentrificazione. Ogni intervento urbanistico, anche se mirato all’inclusione, rischia di trasformare quartieri popolari in aree residenziali di lusso, con conseguente aumento degli affitti e migrazione forzata dei residenti storici. Gli osservatori più critici invitano a tenere alta l’attenzione sulla destinazione d’uso effettiva delle nuove costruzioni: se destinate ad investitori privati o a cittadini britannici di fascia media, l’impatto sociale delle politiche abitative resterà limitato.

Una crisi che dura da decenni: breve storia dell’emergenza abitativa londinese

Per comprendere fino in fondo il valore – e i limiti – delle iniziative promosse da City Hall, è utile fare un passo indietro e analizzare come si è evoluta la crisi abitativa londinese. Londra è da tempo una delle città più costose d’Europa in termini di costi abitativi. Già dagli anni ‘90, con la progressiva riduzione del patrimonio immobiliare pubblico e la svendita del council housing a privati, si sono creati vuoti difficili da colmare. Il fenomeno della “Right to Buy”, introdotto dal governo Thatcher, ha segnato una svolta nel mercato immobiliare britannico, permettendo a milioni di inquilini pubblici di acquistare la propria casa, ma senza prevedere un piano di ricostruzione o reintegro degli alloggi venduti. Questo ha portato, negli anni successivi, a una carenza cronica di case sociali.

Nel corso degli anni 2000, Londra ha vissuto un vero e proprio boom edilizio, ma la stragrande maggioranza delle nuove costruzioni era rivolta a un mercato altospendente, composto da investitori esteri, lavoratori del settore finanziario o acquirenti internazionali. Alcuni rapporti, come quelli del Centre for London, hanno sottolineato come meno del 20% delle nuove case costruite tra il 2010 e il 2020 fossero realmente accessibili per una famiglia media londinese. A peggiorare la situazione si sono aggiunti fenomeni come gli empty homes (case nuove lasciate vuote da acquirenti stranieri) e l’aumento del buy-to-let come forma di investimento speculativo.

Negli ultimi anni, il tema dell’housing è diventato centrale nel dibattito politico locale e nazionale, con proteste, petizioni e campagne promosse da organizzazioni come Shelter UK e Generation Rent, che denunciano la scarsa equità sociale nel mercato immobiliare. Il Land Fund di Sadiq Khan si inserisce in questo contesto come un tentativo concreto di recuperare aree dismesse o sottoutilizzate, mettendole a disposizione per progetti edilizi più sostenibili e accessibili.

Cosa cambia per gli italiani che vivono a Londra

La comunità italiana nel Regno Unito, che rappresenta una delle realtà migratorie più numerose, è da tempo coinvolta – direttamente o indirettamente – in questa crisi. Per molti giovani professionisti italiani trasferitisi a Londra dopo il 2008, trovare una casa a prezzi ragionevoli in quartieri ben collegati è diventata una sfida sempre più ardua. La pandemia ha temporaneamente abbassato i canoni d’affitto, ma dal 2022 in poi i prezzi sono tornati a salire, superando in molti casi i livelli pre-Covid.

I nuovi progetti supportati dal Land Fund, soprattutto quelli realizzati in collaborazione con enti come Peabody o Notting Hill Genesis, possono rappresentare un’opportunità per chi desidera stabilirsi a lungo termine nel Regno Unito. Tuttavia, accedere a queste abitazioni non è semplice: è spesso necessario iscriversi a portali come Homes for Londoners e soddisfare requisiti legati al reddito, alla durata della permanenza nel Regno Unito e al tipo di lavoro svolto.

Per i giovani italiani che si trovano in UK con contratti a termine, stage o part-time, il mercato resta fortemente sbilanciato. Anche per chi guadagna 30.000 sterline all’anno, l’acquisto di una casa resta fuori portata se non si ha accesso a formule di shared ownership o Help to Buy, ormai ridimensionato in quasi tutta l’Inghilterra. Il sito del Mayor of London offre una sezione dedicata con informazioni pratiche, criteri di selezione e bandi aggiornati per accedere alle nuove abitazioni finanziate con fondi pubblici o misti.

Prospettive future: sostenibilità, densità e inclusività

Guardando al futuro, è evidente che il successo del Land Fund e di strumenti simili dipenderà dalla capacità della politica di coniugare sviluppo edilizio e sostenibilità urbana. L’amministrazione Khan ha più volte dichiarato la propria intenzione di puntare su progetti a basso impatto ambientale, con certificazioni green, spazi condivisi, servizi pubblici accessibili e trasporti integrati. I nuovi quartieri nati da questi progetti dovranno evitare l’errore del passato: costruire case che restano vuote, oppure inaccessibili alla popolazione residente.

Una delle proposte più recenti riguarda la creazione di un London Developer Investment Fund, un fondo misto pubblico-privato in grado di attrarre capitali esteri ma vincolato alla realizzazione di progetti di edilizia popolare. Iniziative simili sono già state sperimentate in altre città europee, come Vienna, dove oltre il 60% degli abitanti vive in alloggi a prezzo calmierato, o Barcellona, che ha introdotto un registro per il monitoraggio delle seconde case inutilizzate.

Inoltre, il dibattito attorno alla densificazione urbana – cioè la possibilità di costruire più abitazioni in aree già urbanizzate – è destinato a diventare sempre più centrale. Secondo lo Urban Design Group, Londra ha ampie possibilità di sviluppo senza dover espandere i suoi confini: riutilizzare aree dismesse, tetti, parcheggi sotterranei e spazi vuoti tra gli edifici può rappresentare una soluzione più efficace ed ecologica rispetto all’espansione orizzontale.

Infine, sarà fondamentale monitorare la qualità effettiva degli alloggi costruiti, evitando che la corsa ai numeri si traduca in unità abitative poco dignitose o scarsamente isolate. Le politiche abitative non devono solo rispondere alla domanda quantitativa, ma promuovere un’idea di città più inclusiva, vivibile, equa.

Il ruolo della partecipazione cittadina e della trasparenza istituzionale

Uno dei temi emersi con maggiore forza negli ultimi anni è il rapporto tra cittadino e istituzioni nella gestione dell’emergenza abitativa. Se da un lato City Hall e il sindaco Khan hanno moltiplicato gli strumenti di intervento pubblico – come il Land Fund, i bandi per le affordable homes o i nuovi fondi d’investimento – dall’altro resta una crescente richiesta di trasparenza e coinvolgimento diretto delle comunità locali nei processi decisionali.

Organizzazioni di base come London Tenants Federation o Citizens UK sottolineano spesso la necessità di garantire consultazioni vere, che vadano oltre le formalità dei sondaggi pubblici. In molti casi, le nuove costruzioni comportano cambiamenti significativi per i quartieri: aumento del traffico, mutamento del tessuto sociale, pressione sui servizi pubblici. È quindi fondamentale che ogni nuovo progetto finanziato dal Land Fund venga accompagnato da piani di rigenerazione urbana condivisi, che prevedano la creazione di spazi verdi, scuole, ambulatori e trasporti efficienti.

Un altro aspetto centrale riguarda la tracciabilità degli investimenti. Nonostante l’esistenza di report ufficiali e piattaforme informative come quella della Greater London Authority, molti cittadini lamentano la difficoltà nel reperire dati aggiornati, chiari e confrontabili. La possibilità di verificare, per esempio, quante case avviate con fondi pubblici siano effettivamente completate e assegnate, rappresenta un passaggio cruciale per valutare l’efficacia delle politiche abitative.

Il coinvolgimento diretto dei residenti può inoltre contribuire a contrastare la sfiducia nei confronti delle istituzioni e a favorire forme innovative di co-abitazione, community-led housing e housing cooperatives. In tal senso, esempi come quello di London CLT – un modello di proprietà condivisa e partecipata – dimostrano che un’altra via è possibile, in cui cittadini, enti locali e sviluppatori lavorano insieme per creare alloggi sostenibili, accessibili e stabili.

Un equilibrio ancora difficile tra obiettivi sociali e sostenibilità economica

Il Land Fund rappresenta, senza dubbio, uno strumento importante per il rilancio dell’edilizia pubblica a Londra, ma da solo non può risolvere un problema sistemico che affonda le radici in decenni di disinvestimento. Il sindaco Khan ha avuto il merito di introdurre strumenti nuovi, come la possibilità per City Hall di acquisire terreni e intervenire direttamente sul mercato. Tuttavia, l’effettiva capacità di trasformare le iniziative avviate in soluzioni concrete e durature resta, ad oggi, sotto stretta osservazione.

Le sfide principali sono almeno tre: garantire un numero sufficiente di case veramente accessibili, evitare la speculazione privata su terreni pubblici rigenerati e mantenere alti gli standard ambientali e sociali delle nuove costruzioni. A queste si aggiunge la complessità della macchina amministrativa londinese, che coinvolge borough autonomi, operatori privati, enti di housing, comunità locali e investitori internazionali.

Nonostante tutto, il superamento anticipato del target di 8.000 case avviate – per quanto simbolico – resta un segnale positivo, che potrebbe costituire la base per una strategia più ampia e ambiziosa. Il vero banco di prova sarà la trasformazione di questi numeri in abitazioni reali, vissute e stabili, in grado di ridare fiducia a una generazione che troppo spesso ha visto la casa come un sogno irraggiungibile piuttosto che un diritto fondamentale.

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