Le tensioni sul petrolio accrescono l’interesse dei broker per la Libia
L’escalation militare tra Iran e Israele riaccende le speculazioni internazionali sul futuro della produzione e del commercio petrolifero in Medio Oriente e Nord Africa, con riflessi diretti sulla Libia. Secondo quanto appreso da “Agenzia Nova” da fonti del settore energetico, negli ultimi giorni diversi broker petroliferi internazionali si sarebbero informati per valutare la possibilità di acquistare direttamente il greggio estratto e commercializzato dalla compagnia privata libica Arkenu, attiva soprattutto nella Libia occidentale e orientale in concessioni formalmente assegnate alla compagnia statale Arabian Gulf Oil Company (Agoco), ma di fatto gestite secondo accordi politici paralleli. Tali carichi, infatti, potrebbero essere soggetti a sanzioni da parte delle Nazioni Unite.
Tale attenzione si inserisce in un contesto di generale incertezza legata all’andamento del prezzo del petrolio, tornato a salire dopo l’inizio delle ostilità dirette tra Israele e Iran. Gli investitori temono che il conflitto possa sfociare in un’interruzione delle forniture regionali, specie in caso di eventuale chiusura dello strategico Stretto di Hormuz, minacciato da alcune personalità legate alla Repubblica islamica iraniana. In questo scenario, il greggio “dolce” libico – in particolare quello prodotto nei giacimenti orientali e occidentali lontani dalle rotte iraniane – torna a essere considerato un’opzione di valore per diversificare le forniture. Lunedì scorso, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec) ha pubblicato il suo ultimo rapporto mensile, mantenendo sostanzialmente invariate le previsioni di crescita della domanda globale per il 2025 e il 2026, con una crescita di “soli” 1,3 milioni di barili al giorno. Una valutazione che, sebbene non faccia diretto riferimento alle tensioni tra Teheran e Tel Aviv, appare ottimistica nel contesto geopolitico attuale.
Dallo scorso fine settimana, con il lancio di missili da parte di Israele contro infrastrutture militari iraniane, le quotazioni del greggio sono aumentate, superando i 75 dollari al barile. Tuttavia, secondo diversi analisti, tra cui il capo degli investimenti di Saxo Markets, Charo Chanana, il potenziale di crescita dei prezzi rimane legato all’evoluzione del conflitto. In caso di interruzioni gravi alla catena di approvvigionamento – ad esempio per effetto di un blocco dello Stretto di Hormuz – i prezzi potrebbero salire ben oltre i 100 dollari. Al contrario, un incremento dell’offerta da parte di Paesi Opec+ potrebbe limitarne l’impatto. In questo scenario, la Libia, Paese membro dell’Opec ma con uno status speciale dovuto all’instabilità interna, è tornata sotto osservazione. La produzione nazionale è salita leggermente negli ultimi giorni, secondo i dati della compagnia statale National Oil Corporation (Noc), raggiungendo quota 1 milione e 373 mila barili al giorno. Ma è proprio sul canale di commercializzazione del greggio che si concentrano le maggiori attenzioni.
La società Arkenu, protagonista di un crescente interesse internazionale, è un attore relativamente nuovo nella scena petrolifera libica. Non possiede giacimenti propri, ma ha ottenuto, a partire dal 2023, diritti di sollevamento (ovvero quote di prelievo ed esportazione) da campi gestiti da Agoco, tra cui i noti Sarir e Messla, e soprattutto dal giacimento NC-4 “Al Taharah” nel bacino del Ghadames, nella Libia sud-occidentale, circa 250 chilometri a sud di Tripoli. Secondo documenti visionati da “Agenzia Nova”, nel maggio scorso Agoco ha richiesto formalmente alla Noc di autorizzare Arkenu a sollevare 600 mila barili dal campo NC-4, in virtù di un contratto di condivisione della produzione stipulato con la società svizzera Bares Holding, considerata il braccio commerciale di Arkenu. Si tratterebbe della metà della produzione mensile stimata per il sito, con operazioni di esportazione gestite autonomamente, al di fuori del circuito ufficiale controllato dalla Banca centrale libica di Tripoli.
La vicenda è rilevante non solo per il volume delle transazioni, ma per le implicazioni politiche. Arkenu è ritenuta vicina ai vertici dell’Esercito nazionale libico (Enl) del generale Khalifa Haftar, che controlla de facto l’est e parte del sud del Paese. Il petrolio “Arkenu” è stato caricato da terminal controllati dall’Enl e venduto a compagnie estere, tra cui il colosso cinese Unipec (ramo commerciale della Sinopec) e, in almeno un caso, alla statunitense ExxonMobil, con consegne documentate in Italia e Regno Unito. Secondo un rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni Unite pubblicato nel dicembre 2024, Arkenu rappresenterebbe un meccanismo per eludere i controlli sulla destinazione dei proventi del petrolio, attraverso l’uso di conti esteri negli Emirati Arabi Uniti e in Svizzera, e senza passare per il circuito ufficiale della Libyan Foreign Bank.
Le operazioni di Arkenu hanno suscitato forti reazioni in ambito politico libico, soprattutto da parte di esponenti del Governo di unità nazionale (Gun) con sede a Tripoli. Un blocco di membri dell’Alto consiglio di Stato ha denunciato la società come “strumento di saccheggio della ricchezza nazionale” e ne ha chiesto il perseguimento penale. Tuttavia, al momento, Arkenu non risulta essere soggetta ad alcuna sanzione da parte delle Nazioni Unite o dell’Unione europea. L’interesse di diversi broker per i carichi Arkenu negli ultimi giorni dimostra che, nonostante la controversa legittimità dell’operatore, esiste un mercato per il greggio libico al di fuori dei canali della National Oil Corporation.
L’emergere di Arkenu come attore indipendente nel panorama petrolifero libico solleva interrogativi sulla tenuta del quadro istituzionale del Paese. In un contesto segnato da forti divisioni politiche e dalla mancanza di un bilancio statale unificato, la possibilità per soggetti locali di aggirare la supervisione della Noc e della Banca centrale potrebbe aprire la strada a ulteriori frammentazioni. Il dibattito è reso ancora più urgente dal fatto che la Noc è attualmente guidata da un presidente ad interim – Masoud Suleiman – ritenuto vicino al generale Haftar e, secondo alcuni osservatori, starebbe ulteriormente facilitando l’ingresso di Arkenu nel sistema petrolifero come parte di un compromesso politico. Nel frattempo, la questione del controllo delle risorse resta centrale per la stabilizzazione della Libia. Le Nazioni Unite hanno più volte sottolineato l’importanza di preservare l’integrità della Noc come ente unificato e neutrale, ma episodi come quelli legati ad Arkenu mettono alla prova tale principio.
Leggi anche altre notizie su Nova News
Clicca qui e ricevi gli aggiornamenti su WhatsApp
Seguici sui canali social di Nova News su Twitter, LinkedIn, Instagram, Telegram
L'articolo Le tensioni sul petrolio accrescono l’interesse dei broker per la Libia proviene da Agenzia Nova.
Qual è la tua reazione?
Mi piace
0
Antipatico
0
Lo amo
0
Comico
0
Furioso
0
Triste
0
Wow
0




