Libano. In barba al cessate-il-fuoco, Israele continua a bombardare il sud

Giugno 29, 2025 - 18:30
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Libano. In barba al cessate-il-fuoco, Israele continua a bombardare il sud

di Giuseppe Gagliano

Nel sud del Liban, la tregua firmata il 27 novembre 2024 tra Israele e Hezbollah sembra ormai poco più che una riga di inchiostro sbiadita sulla carta. Il 27 giugno nuovi bombardamenti israeliani hanno colpito duramente le aree di Nabatieh, Kfar Tibnit Heights e Nabatieh Fawqa. Una donna è morta, venti persone sono rimaste ferite. Il Ministero della Salute libanese aggiorna il bilancio: tredici i feriti solo nell’attacco all’appartamento di Nabatieh. Intanto, un drone ha sganciato una bomba sonora accanto a due pickup che stavano semplicemente caricando rottami di ferro nella città meridionale di Ramya.
Non è un’eccezione. Poco dopo la mezzanotte, l’artiglieria israeliana ha ripreso a martellare il quartiere di Shawat, ad Aita al-Shaab. Anche lì i droni hanno colpito. L’esercito israeliano ha rivendicato i raid: secondo il portavoce Avichay Adraee, Hezbollah stava cercando di ricostruire una struttura sotterranea precedentemente distrutta dalle forze israeliane nella zona del Monte Shqif. La versione ufficiale non cambia: si tratta di “azioni preventive” contro milizie armate. Ma il risultato è lo stesso, ogni volta: vittime civili, sfollamenti, distruzione.
È ormai evidente che per Tel Aviv il cessate-il-fuoco non è vincolante. Dal 27 novembre, data della sospensione ufficiale dei combattimenti, gli attacchi israeliani non si sono mai davvero fermati. Il 26 giugno, l’esercito ha annunciato l’uccisione di due miliziani Radwan e di un membro dell’unità di ricognizione di Hezbollah. L’eliminazione selettiva prosegue, nonostante i proclami diplomatici.
Tutto ciò avviene in un contesto in cui Hezbollah, dopo aver subito colpi devastanti alla sua catena di comando – inclusa la morte, confermata da Israele, del leader Hassan Nasrallah nel settembre 2024 – è oggi sotto fortissime pressioni interne. La richiesta di disarmo cresce anche tra le fila politiche libanesi. Il leader druso Walid Jumblatt ha dichiarato esplicitamente che nessun partito, libanese o straniero, dovrebbe possedere armi fuori dal controllo dello Stato. Lo ha detto chiaramente al presidente Joseph Aoun, facendo riferimento a milizie attive perfino nel suo villaggio natale, Mukhtara.
Ma lo Stato libanese, frammentato, indebolito e in costante crisi, è incapace di esercitare la sua sovranità effettiva. L’esercizio della forza resta nelle mani di chi la possiede: Israele da un lato, Hezbollah dall’altro.
Sul fronte internazionale intanto si accumulano altre contraddizioni. Il segretario Generale dell’ONU, António Guterres, ha espresso una critica netta all’operazione umanitaria statunitense a Gaza, definendola “intrinsecamente pericolosa”. Non si tratta solo di logistica mal gestita: “Sta uccidendo persone”, ha affermato, parlando apertamente del fallimento della cosiddetta Gaza Humanitarian Foundation, che Israele e Washington vorrebbero imporre come unico canale per gli aiuti. Le Nazioni Unite si oppongono: ne contestano la neutralità e denunciano la militarizzazione degli aiuti.
In questo scenario, la guerra silenziosa al Libano appare come un prolungamento della dottrina del “conflitto controllato”, dove ogni tregua serve più a guadagnare tempo che a fermare il sangue. Israele, supportato dalla retorica statunitense della “legittima difesa preventiva”, continua a colpire, mentre Hezbollah, nonostante le perdite, mantiene una presenza radicata nei territori meridionali.
La tragedia libanese non è marginale. È il campo di battaglia di un equilibrio regionale sempre più fragile. Se Hezbollah non ha più la forza di lanciare una guerra su vasta scala, Israele non sembra intenzionato ad accettare la stabilità come orizzonte. Ogni incursione, ogni bomba sganciata su civili, ogni raid su strutture semi-abbandonate contribuisce a tenere aperta la ferita. Una guerra senza dichiarazione, ma con effetti devastanti. Una tregua che, di fatto, nessuno ha mai rispettato.
Il sud del Libano continua così a bruciare, lentamente, in un silenzio che sa di cinismo strategico e di impotenza diplomatica. La domanda, come sempre, non è se la guerra riprenderà. È se in realtà sia mai finita.

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Redazione Redazione Eventi e News