Salute mentale: dall’Italia a Parigi la sfida di Elisa Fazzi, Presidente SINPIA

Un riconoscimento che guarda al futuro dell’infanzia. La professoressa Elisa Fazzi, ordinario di Neuropsichiatria Infantile all’Università degli Studi di Brescia e direttrice dell’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza degli Spedali Civili di Brescia, è stata recentemente eletta Membro Corrispondente Straniero dell’Académie Nationale de Médecine francese. Un ingresso storico che rafforza il ruolo della neuropsichiatria infantile italiana nel panorama europeo e apre la strada a nuovi scenari di collaborazione scientifica sulla salute mentale.
Abbiamo incontrato la professoressa Fazzi per capire il valore di questo traguardo, e soprattutto cosa porterà del “modello Italia” in Europa.
Professoressa Fazzi, si aspettava questa nomina?
«A dire il vero, no. Non ho chiesto io di entrare nell’Accademia: mi è stato proposto di presentare il curriculum, dopodiché sono stata eletta a voto segreto. È stato un invito inaspettato, che ho accolto con entusiasmo. È arrivato in una fase matura della mia carriera accademica e come direttore di struttura complessa. Quindi lo considero un riconoscimento del lavoro svolto finora, ma anche un’occasione per mettere a confronto la nostra esperienza italiana con altre realtà europee».
Quale sarà il suo ruolo nell’Accademia francese?
«Parteciperò ai lavori della IV Divisione, dedicata alla sanità pubblica, nella sezione “medicina e società”. L’auspicio, condiviso anche dalla prof.ssa Catherine Barthélemy, past President dell’Accademia e pioniera della ricerca sull’autismo, è quello di avviare un network europeo sul neurosviluppo e sulla salute mentale in età evolutiva. Temi centrali, oggi più che mai, sia in Italia che in Europa».
Quali novità porterà dalla sua esperienza italiana?
«L’Italia, nel campo della neuropsichiatria infantile, ha un modello unico: mantiene integrata la componente neurologica e quella psichiatrica nei bambini, cosa che in molti altri paesi è invece frammentata. Questo approccio globale consente una comprensione più completa del bambino, della famiglia e del sintomo, considerandone l’impatto su tutta la vita del minore. Un modello che oggi, grazie anche ai progressi delle neuroscienze, sta ottenendo una validazione scientifica importante».
È quindi un modello esportabile?
«Direi che incuriosisce, e forse è anche invidiato. Lavoriamo con umiltà, ma credo che l’approccio italiano possa diventare una guida. Io stessa ho una formazione in parte francese e questo mi ha permesso di instaurare legami e di essere più conosciuta anche oltre confine. Questa elezione può rappresentare un’opportunità non solo per me, ma SINPIA (Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza), per Brescia e per tutto il nostro Paese».
Guardando all’attualità: quali sono oggi le emergenze in neuropsichiatria infantile?
«La sfida principale è rappresentata dai disturbi del neurosviluppo. Non parliamo solo di autismo, ma anche di ADHD, disabilità complesse, disturbi dell’apprendimento, disturbi motori. Tutte queste condizioni hanno origini precoci e una base multifattoriale: genetica, ambientale, epigenetica. Hanno un andamento cronico che evolve nel tempo. La nostra prospettiva è quella di riconoscerli e trattarli precocemente, perché spesso si manifestano con segnali trasversali come disturbi del sonno o disregolazione emotiva, già nei primi anni di vita».
E per quanto riguarda l’adolescenza, soprattutto dopo il Covid?
«Abbiamo assistito a un’esplosione di psicopatologie: disturbi del comportamento alimentare, autolesionismo, tentativi di suicidio. Spesso, alla base, c’è un disturbo del neurosviluppo non riconosciuto in tempo. È per questo che la prevenzione nei primi anni di vita è fondamentale: intervenire precocemente può cambiare radicalmente il decorso di queste patologie».
Le nuove tecnologie: alleate o nemiche della salute mentale?
«Dipende. L’intelligenza artificiale, ad esempio, è già uno strumento che stiamo sperimentando in diversi progetti europei per supportare interventi precoci anche da remoto, tramite piattaforme accessibili a famiglie e adolescenti. I social media, invece, sono un’arma a doppio taglio. Non possiamo ignorarli o demonizzarli, ma dobbiamo educare all’uso critico. È fondamentale il ruolo di genitori e educatori nel guidare i ragazzi: spiegarne i rischi, ma anche valorizzare le potenzialità creative e relazionali».
Un messaggio per chi lavora ogni giorno con bambini e adolescenti?
«Non possiamo affrontare il futuro senza una visione integrata. Serve una rete tra professionisti, famiglie, istituzioni. L’Europa può e deve diventare un terreno fertile per questa alleanza. E il modello italiano ha tanto da offrire: nella competenza, nella passione, nella capacità di vedere il bambino nella sua interezza».
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