Schlein non può fare battaglia sul Salvini filo Mosca, perché lo è anche Conte

C’è un vicepremier che ama ripetere la propaganda di Mosca, anche mentre la Russia minaccia il nostro paese e tutta l’Europa. In qualunque democrazia normale, l’opposizione con il suo principale partito ne chiederebbe le dimissioni seduta stante. In Italia no. Per una ragione semplice, persino imbarazzante: l’alleato che il Partito democratico continua testardamente a inseguire, il Movimento Cinque Stelle, la pensa esattamente come quel vicepremier. Cioè, come Matteo Salvini.
Tu guarda in che pasticcio si trova, e non da oggi, il partito di Elly Schlein: potrebbe scatenare l’inferno e invece si ritrova imbambolato a solidarizzare con l’Ucraina, ma sparando supercazzole sul riarmo, le stesse di Giuseppe Conte, con il risultato che sulla politica estera, cioè il capitolo più importante di tutti, il campo largo è sempre fermo al palo, non credibile agli occhi degli italiani e del mondo intero. Di fatto Giuseppe Conte imbriglia le opposizioni e Giorgia Meloni ringrazia sentitamente, perché così può coprire le magagne del governo.
Ed è paradossale, da teatro dell’assurdo, che il caso Salvini esploda non per la protesta del Pd, che fischietta e guarda altrove, ma per le parole di un altro leghista, cioè il presidente della Camera Lorenzo Fontana, che ieri ha preso nettamente le distanze dalla Russia, «un paese che ha fallito completamente questa guerra con l’Ucraina». Parole ben diverse da quelle di Salvini, per il quale «se Hitler e Napoleone non sono riusciti a mettere in ginocchio Mosca con le loro campagne in Russia, è improbabile che Kaja Kallas, Emmanuel Macron, Keir Starmer e Friedrich Merz abbiano successo», frase condivisa da Maria Zacharova, cioè da Vladimir Putin.
È difficile non ipotizzare che la terza carica dello Stato non sia in qualche modo influenzata dalla prima carica, cioè dal presidente della Repubblica, che da mesi è impegnato a fare valere le ragioni della Resistenza ucraina, da ultimo con il bellissimo discorso di due giorni fa davanti agli ambasciatori, esternando concetti che Sergio Mattarella avrà ripetuto ieri durante il tradizionale pranzo con la premier alla vigilia del Consiglio europeo. Anche per sincerarsi che Meloni, oggi in Parlamento, non defletta da una linea pro-Kyjiv, seppure tentennante com’è lei in tutta questa vicenda, basti pensare al voto che l’Italia, insieme a Malta e Bulgaria, ha espresso per frenare lo sblocco degli asset russi.
Oggi alle Camere andrà in scena la solita farsa – dispiace parlare così del Parlamento – con una maggioranza fintamente unita e un’opposizione realmente divisa in quattro pezzi e perciò inabile a muovere una seria battaglia politica. Un vicepremier non ha la stessa posizione dell’altro vicepremier e della presidente del Consiglio – ha ragione Romano Prodi – e la segretaria del Pd non ha la stessa linea del capo del Movimento Cinque Stelle: se non è una farsa questa.
A complicare il rapporto tra i due principali partiti dell’opposizione ci si è messo anche il voto a Bruxelles con il quale l’Europarlamento ha revocato l’immunità per la deputata Pd Alessandra Moretti, ma non per Elisabetta Gualmini, anche con i voti giustizialisti dei contiani. Si tratta di un pezzo della famigerata inchiesta cosiddetta del “Qatargate”, che dopo tre anni non ha partorito nulla, ma ha già rovinato diversa gente. Fango sulla politica: e il ventilatore di Conte è sempre acceso.
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