TAOBUK AWARD 2025, PIERFRANCESCO FAVINO: I “CONFINI” SONO SOLO MENTALI
I “confini”. È questo il tema centrale della quindicesima edizione di Taobuk (18-23 giugno), che ha avuto, come di consueto, il suo momento di gala con il Taobuk Award, celebrato al Teatro Antico di Taormina, giorno 22 giugno. A condurre la serata sono stati la presidente e direttora artistica di Taobuk Antonella Ferrara e il celebre volto di RAI 1 Massimiliano Ossini, che hanno interagito con ospiti di grande rilievo del panorama culturale internazionale. Tra loro anche l’attore Pierfrancesco Favino, encomiato con il Taobuk Award per il cinema, consegnatogli da Renato Schifani, Presidente della Regione Siciliana.
Nel corso della serata Favino ha regalato al pubblico taorminese alcuni suoi interessanti pensieri.
Favino, è un attore che ama superare i confini, anche con i dialetti. Soprattutto attraverso interpretazioni di personaggi tra loro molto differenti, come nel caso di Buscetta e Craxi. Come si supera il “confine” con l’altro, fino a farlo rivivere davanti ai nostri occhi?
Io credo fortemente che qualsiasi persona che scelga di fare il mio mestiere, così come ogni artista in genere, lo faccia proprio perché vuole incontrare qualcosa di diverso da sé. Oppure perché vuole, attraverso l’arte, non avere paura di essere qualcosa di diverso da sé. Andare ad investigare anche solo per finzione, per un attimo, la vita di qualcun altro, secondo me è una delle opere più pacifiche che esiste al mondo. Questo perché, una volta che finisci di recitare un ruolo o di dipingere un’immagine o di suonare un pezzo di un grande compositore, torni a casa e ti domandi chi sei tu. Quelle certezze che avevi prima, piano piano, si sciolgono. Quindi entrare nei panni di qualcun altro o, come dicono meglio gli anglosassoni, mettersi le scarpe di un altro e camminare con le sue scarpe, anche solo per un attimo, fa capire che la strada è piena di possibili bivi e che ognuno di quei bivi è una componente fondamentale della vita di noi esseri umani. Per chi fa il mio mestiere, il sapersi mettere in dubbio è una metà e rappresenta l’ampliamento delle proprie possibilità umane e professionali. Sapere che qualcun altro, in qualche parte nel mondo, ha vissuto una vita che io, probabilmente, non vivrò mi serve per capire che uomo potrei e posso diventare. Soprattutto, in questo modo, posso capire che cosa vivono gli altri. Quindi, parlando di confine, il mio mestiere mi consente di comprendere che i confini sono solo mentali e che abbiamo la possibilità, se ci domandiamo pacificamente chi sono gli altri, di non averne paura ma di capirli e comprendere più a fondo noi stessi.
Preferisce interpretare personaggi realmente esistiti o personaggi immaginari?
Sono due cose diversissime. Però hanno in comune il fatto che sono entrambi dei tradimenti, o nei confronti della fantasia dello scrittore che in quel momento ha immaginato qualcosa e poi, purtroppo, viene intrappolata nel corpo dell’interprete e quindi comunque in un confine. Oppure sono una forma di tradimento nei confronti della realtà di qualcuno che è esistito. Ma, comunque, anche per quanto grande o sottile possa essere l’interpretazione, sarà sempre un tradimento. E in quel tradimento, nel caso di personaggi realmente esistiti, non è facile lasciare una grande libertà alla memoria dello spettatore. Penso che, quando si mette in scena qualcuno che è realmente esistito, in realtà, bisogna invece sempre lasciare una porta aperta per la memoria dello spettatore, affinché possa completare il lavoro dell’interpretazione dell’attore.
È una forma di racconto anche questa?
Penso che noi siamo come dei tubi, attraverso cui, più riusciamo a togliere i detriti e riusciamo a far passare libera la storia che qualcuno ha immaginato. Quindi più riusciamo a rendere pura la via attraverso cui passa la storia nel momento in cui arriva alle orecchie e agli occhi degli spettatori e più abbiamo fatto bene il nostro mestiere. Io penso che noi attori siamo dei tramiti.
Il Teatro Antico è un luogo magico, un teatro tra i più belli al mondo. C’è qualcosa che le piacerebbe mettere in scena in questo teatro?
Poco fa, guardavo questo splendido teatro e pensavo alla meraviglia di chi ha pensato che, sopra un monte, guardando il mare, ci fosse la necessità di una popolazione di sedersi, prendere il proprio tempo e decidere di riflettere, guardando la natura intorno a sé, godendo pezzi d’arte unica. È un privilegio enorme essere in questo posto meraviglioso, in questa terra meravigliosa e sapere che , ancora oggi, possiamo godere di tutta questa bellezza. In un luogo come questo, si può elevare a grande arte anche la lettura delle pagine gialle.
Concentrandoci sul cinema, secondo lei, i nostri film vanno protetti rispetto al cinema americano e straniero? Crede che ci sia bisogno di un confine che li difenda?
Io non credo che chi fa questo mestiere pensi che ci sia un confine. Penso che gli artisti siano, prima di tutto, mossi dalla necessità di parlare e quindi dalla necessità di rendere pubblico, anche in maniera impudica, il proprio sogno. Credo che il cinema italiano appartenga, di fatto e non solo per la sua storia precedente ma anche per la sua storia futura, al cinema del mondo. Lo testimonia la presenza del nostro cinema, da sempre, in tantissimi festival internazionali, come gli Oscar. Ma io penso che, fino a quando noi non riconosciamo il valore del nostro cinema a noi stessi, non dimostriamo l’orgoglio per le produzioni e per gli interpreti italiani, sarà molto complicato dal punto di vista del mercato. In Italia sappiamo fare il nostro mestiere. Forse abbiamo bisogno che si creda in questa industria maggiormente. Lo dico in un posto in cui, negli ultimi tempi, sono arrivate molte più persone perché c’è stata una serie (NDR:“The white Lotus”, seconda stagione) che ha avuto un grande successo e che ha fatto da cassa di risonanza della bellezza di questo luogo. Questo testimonia tra l’altro, che il cinema può generare leve economiche anche in altri settori. Io sono orgoglioso di appartenere al cinema italiano che è stato e anche a quello che sarà, a cui mi auguro di poter dare il mio supporto.
di Gianmaria Tesei
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