Trump esulta via social per un accordo con la Cina, ma sui dazi fa di nuovo la figura del “Taco”

Donald Trump s’infuria se gli si dà del «Taco», che non è solo la tortilla messicana, ma l’acronimo con cui da qualche settimana viene bollato il presidente Usa, visto che «fa continuamente marcia indietro»: «Trump Always Chickens Out». Ma anche sulla vicenda dei dazi imposti – a parole – alla Cina a suon di percentuali ben superiori al 100%, la figura che ha fatto è questa.
Nei giorni scorsi sono stati avviati a Londra i negoziati tra gli emissari della Casa Bianca e il braccio destro di Xi Jinping, He Lifeng. Tema principale dei colloqui le reciproche restrizioni all’export di chip, da una parte, e minerali critici, dall’altra, e soprattutto i dazi annunciati dal presidente statunitense ormai più di due mesi fa e poi congelati, rinviati e ripresi a fasi alterne. Quelli nei confronti della Cina sono schizzati a maggio anche al 145% e Pechino ha risposto con uno stop all’esportazione negli Stati Uniti di magneti e terre rare, materiali fondamentali per i settori tecnologico, automobilistico, aerospaziale e della difesa.
E così ieri è arrivato l’annuncio di Trump attraverso la piattaforma social di sua proprietà: Truth. Ecco cosa ha scritto il presidente Usa, tutto in caratteri maiuscoli e con abbondanza di punti esclamativi: «Il nostro accordo con la Cina è concluso, previa approvazione finale da parte mia e del presidente Xi. I magneti e le terre rare necessarie saranno forniti dalla Cina. Allo stesso modo, forniremo alla Cina quanto concordato, compresa la possibilità per gli studenti cinesi di utilizzare i nostri college e le nostre università (cosa che mi è sempre piaciuta!). Per noi il totale delle tariffe sarà del 55%, per la Cina del 10%. Le relazioni sono eccellenti! Grazie per la vostra attenzione riguardo questo problema!».
Cosa significa? Che dopo tanti roboanti annunci, i dazi restano ai livelli attuali. Non solo. Il tycoon parla di tariffe al 55% per non far apparire la marcia indietro in tutta la sua portata, ma quella scritta via Truth non è la verità: semplicemente, è una percentuale non corretta. La percentuale vera è del 30%, ed è quella stabilita durante un vertice svolto a maggio a Ginevra. E se Trump ha indicato la cifra del 55%, che non risultava a nessuno dei negoziatori o ad altro personale diplomatico coinvolto, poco dopo dallo staff della Casa Bianca è partita la seguente spiegazione: il dato indicato dal presidente include le tariffe imposte nel secondo mandato (appunto, del 30%) e quelle del 25% imposte nel primo mandato, anni fa.
Tra l’altro, viene il sospetto che quel 55% citato da Trump abbia fatto irritare non poco il presidente cinese Xi Jinping. Altrimenti, difficilmente si spiegherebbe il fatto che poche ore dopo quel post su Truth, il presidente Usa ha sentito la necessità di riattaccarsi alla piattaforma social e scrivere un altro breve testo. Questo, con ancora più abbondanza di punti esclamativi: «A completamento di quanto riguardante la Cina, il Presidente XI e io lavoreremo a stretto contatto per aprire la Cina al commercio americano. Sarebbe una grande vittoria per entrambi i Paesi!!!».
Per la cronaca: se un accordo è stato effettivamente siglato, è stato fatto non da chi di dovere, considerato che ancora non è pervenuta né la firma di Trump né tantomeno quella di Xi Jinping. Il quale sa che su terre rare e minerali critici può ancora giocare a lungo un ruolo indisturbato da protagonista a livello mondiale.
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