Trump sta facendo la guerra anche alla Cia (Mosca e Pechino brindano)

Agosto 23, 2025 - 06:00
 0
Trump sta facendo la guerra anche alla Cia (Mosca e Pechino brindano)

A Mosca e a Pechino non hanno dovuto muovere un dito: ci ha pensato Donald Trump. È stato il presidente americano in persona a smantellare l’apparato di intelligence del suo Paese, quello che per decenni ha garantito agli Stati Uniti il vantaggio strategico nelle guerre fredde e calde del mondo. Con un decreto, Trump ha epurato trentasette tra i funzionari più esperti della Cia e della Nsa, togliendo loro le autorizzazioni di sicurezza che permettono di accedere alle informazioni riservate. Sono gli stessi uomini e donne che avevano documentato l’ingerenza russa nelle elezioni del 2016 e che da allora vivono sotto il sospetto presidenziale di tradimento. In un colpo solo, l’America ha perso la memoria storica della sua intelligence su Mosca, la sua avanguardia tecnologica sulla crittografia e l’intelligenza artificiale, e la capacità di coordinare gli allarmi contro la disinformazione straniera. 

Il lavoro di chi opera nei servizi segreti americani si basa su un presupposto essenziale: avere accesso alle informazioni riservate. Senza l’autorizzazione di sicurezza, nessun analista, agente o dirigente può leggere documenti classificati, partecipare a riunioni strategiche o svolgere compiti operativi. Perdere questa clearance significa uscire di fatto dalla professione e bruciare ogni prospettiva futura. «È la fine della carriera», ha spiegato Larry Pfeiffer, già alto funzionario della Cia, intervistato dall’Economist. «Persino il personale delle pulizie deve avere un’autorizzazione di sicurezza».

Tra i colpiti c’è Vinh Nguyen, uno dei matematici più brillanti del sistema, capo dei programmi di intelligenza artificiale e quantum computing alla Nsa. In un interessante approfondimento del New York Times i suoi ex colleghi hanno ribadito che «non c’è alcuna evidenza che abbia gestito male dati classificati o politicizzato le analisi». Il generale William Hartman, direttore ad interim della Nsa, aveva tentato di fermarne il licenziamento chiedendo prove di eventuali colpe. Non ne ha ricevute. Nguyen era considerato cruciale per mantenere il passo con la Cina sul terreno delle tecnologie emergenti.

La purga non è limitata agli scienziati. A essere colpita è stata anche una veterana della Cia, il cui nome non è stato divulgato, con più di vent’anni di carriera, responsabile per Russia ed Eurasia, che aveva coordinato la stesura del rapporto sull’ingerenza russa del 2016. Con lei sono caduti in disgrazia Shelby Pierson e altri analisti che avevano contribuito al dossier. Non un dettaglio da sottovalutare: quel rapporto resta la spina nel fianco di Trump, che lo ha sempre definito una montatura.

Tulsi Gabbard, oggi direttrice dell’intelligence nazionale, non si è limitata a firmare le revoche. Ha annunciato il dimezzamento dell’Office of the Director of National Intelligence, l’ufficio che coordina le diciotto agenzie creato dopo l’attentato dell’11 settembre 2001, accusato dai trumpiani di essere un covo del deep state. Gabbard ha inoltre disposto la chiusura del Foreign Malign Influence Center, nato per monitorare e contrastare le campagne di disinformazione russe, cinesi e iraniane. Secondo diversi parlamentari democratici, tra cui Jim Himes, si tratta di una scelta che lascia campo libero proprio agli avversari più attivi nello spazio informativo.

Il metodo è altrettanto significativo del merito. Secondo l’Economist, molti dei nomi inclusi nella lista dei presunti traditori erano comparsi pochi giorni prima su un elenco diffuso da Laura Loomer, militante della destra radicale. Alcuni sembrano essere stati presi di mira solo per dichiarazioni critiche verso il presidente o per legami, anche remoti, con il dossier del 2016.

Ieri il Pentagono ha destituito il capo della Defense Intelligence Agency, poche settimane dopo che l’agenzia aveva redatto un rapporto preliminare che contraddiceva l’affermazione del presidente Trump secondo cui i siti nucleari iraniani erano stati «annientati» dagli attacchi militari statunitensi.

Il generale dell’Aeronautica Jeffrey Kruse è l’ultimo alto funzionario del Pentagono, e il secondo massimo responsabile dell’intelligence militare, a essere rimosso dall’inizio del nuovo mandato di Trump.

Non si tratta solo di epurazioni. La stessa amministrazione ha scelto di rendere pubblici documenti interni altamente sensibili. A luglio il direttore della Cia John Ratcliffe ha pubblicato un riesame del rapporto del 2016, comprensivo di citazioni da fonti e intercettazioni russe, contro il parere dei funzionari dell’agenzia. È stato un gesto interpretato come parte della campagna per delegittimare le conclusioni sul sostegno di Mosca a Trump. In parallelo, Gabbard ha reso nota una vecchia revisione parlamentare dello stesso dossier, cofirmata da Kash Patel, il direttore dell’Fbi che proprio ieri ha ordinato un’irruzione dai contorni politici opachi nella casa di John Bolton, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale del primo mandato di Trump, oggi feroce critico della Casa Bianca.

Il clima che si respira tra i funzionari è fatto di paura e sfiducia. «Chi vorrà più rischiare, lavorare su temi controversi, dire la verità ai vertici, se in gioco ci sono il futuro professionale e il sostentamento della famiglia?», ha riferito all’Economist un insider rimasto volutamente anonimo. I segnali arrivano anche dai partner e alleati: Mark Warner, senatore democratico e membro della commissione intelligence, ha rivelato che perfino colleghi repubblicani gli hanno chiesto in privato di denunciare pubblicamente le epurazioni. «Ho avuto alleati del gruppo Five Eyes che mi hanno chiesto: che cosa sta succedendo in America?», ha raccontato.

La denuncia più accorata arriva da William J. Burns, già ambasciatore e direttore della Cia, che in una lunga lettera pubblicata sull’Atlantic ha definito le epurazioni «una campagna di ritorsione, volta a spezzare persone e istituzioni seminando paura e sfiducia». E ha avvertito: «Il rischio è che i servitori dello Stato diventino robot politicizzati, incapaci di offrire pareri indipendenti». Punire il dissenso significa privarsi della capacità di correggere errori e valutare scenari alternativi, esattamente ciò che è accaduto alla Russia di Putin prima dell’invasione dell’Ucraina.

L’America si trova dunque a trattare con Putin per la guerra in Ucraina senza le sue figure più esperte e a competere con la Cina senza i suoi cervelli tecnologici. Trump affida le decisioni a pochi fedelissimi, come l’immobiliarista Steve Witkoff nominato inviato speciale, convinto che il rapporto personale con il leader del Cremlino basti a garantire un accordo. Ma per ogni analista cacciato si perdono anni di conoscenze, reti di informatori, capacità di previsione. E a Mosca e Pechino si festeggia come non mai.

L'articolo Trump sta facendo la guerra anche alla Cia (Mosca e Pechino brindano) proviene da Linkiesta.it.

Qual è la tua reazione?

Mi piace Mi piace 0
Antipatico Antipatico 0
Lo amo Lo amo 0
Comico Comico 0
Furioso Furioso 0
Triste Triste 0
Wow Wow 0
Redazione Redazione Eventi e News