Tutto il cibo con cui Dickens ha disegnato il Natale

Dicembre 22, 2025 - 09:09
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Tutto il cibo con cui Dickens ha disegnato il Natale

«Quando si furono un po’ seccati della moscacieca, si fece un altro gran chiasso allo snapdragon, e quando le dita vi si furono abbruciate abbastanza, e tutti i chicchi d’uva furono portati via, si posero a sedere a una cena sostanziosa, mentre sulla gran fiammata del camino stava sospeso un enorme calderone, nel quale le mele cotte cigolavano e gorgogliavano con un suono pieno di allegria assolutamente irresistibile. “Questo – disse il signor Pickwick guardandosi intorno – questo sì che significa star bene”. “Sempre il medesimo costume – rispose Wardle –. Tutti, la sera di Natale, sediamo, come vedete ora, alla stessa tavola, servi e padroni; e aspettiamo qui che l’orologio batta le dodici per annunziarci il Natale”».

Il calore del fuoco, la dolcezza della frutta, il piacere di stare insieme, l’attesa del momento magico che arriva con lo scoccare della mezzanotte: ci sono in questo brano del “Circolo Pickwick” tutti gli elementi della tradizione inglese, in cui si mescolano suggestioni celtiche, cultura cristiana e atmosfere vittoriane.

Ci sono tutti i tratti con cui l’uomo «che ha inventato il Natale», come è stato definito lo scrittore, ha disegnato il fascino sognante della Notte Santa. Charles Dickens ha saputo imprimere nella fantasia dei lettori di allora e di oggi un modo unico di vivere le feste, in cui il bere e il mangiare hanno un ruolo di primo piano.  In questa scena anche il gioco ha una valenza gastronomica: lo snapdragon di cui si parla consisteva nel prendere con le mani le uvette immerse nel brandy fiammeggiante. Una gara davvero pericolosa, in cui le scottature non erano rare.

Immagini di convivialità che tornano in un ritrovo invernale in “David Copperfield”, quando le anime sono scaldate dal ponce: «Non avevo visto mai nessuno così felice tra la fragranza delle bucce di limone e lo zucchero, fra l’odore del rum ardente e il fumo dell’acqua bollente, come il signor Micawber in quel pomeriggio. Era una meraviglia vedergli il viso irradiarsi e sorriderci da una sottile nuvola di quei vapori delicati, nell’atto ch’egli agitava, e mescolava, e assaporava, e aveva l’aria di fare, non il ponce, ma una fortuna per tutta la sua famiglia».

E le bevande (alcoliche) aiutano a far festa anche nella più celebre delle novelle natalizie. In “Canto di Natale” nei festeggiamenti un violinista strimpella «accordi che paion dolori di stomaco», le belle donzelle rubano i cuori dei giovanotti, la signora grassa e ridanciana, la cameriera, il lattaio e il panettiere danzano e si divertono tra i pasticcini, la carne arrosto, le focaccine e la birra: «e il violinista immerge la faccia rubiconda in un boccale di birra, preparato a posta. Ma, sdegnando il riposo, subito riattacca gli accordi». Come se fosse il boccale a dargli la carica.

E nella più famosa delle novelle natalizie la scena forse più golosamente famosa è l’entrata in scena del secondo dei tre Spiriti che visitano il vecchio Scrooge, allegro gigante disteso su un monte di cose buone da mangiare: «Ammontati per terra, quasi a formare una specie di trono, vedevansi tacchini, forme di cacio, caccia, polli, gran tocchi di carne rifredda, porcellini di latte, lunghe ghirlande di salsicce, focacce e pasticcini, barili di ostriche, castagne bruciate, mele rubiconde, arance succose, pere melate, ciambelle immani, tazzoni di ponce bollente, che annebbiavano la camera col loro delizioso vapore. Adagiavasi su cotesto giaciglio un allegro Gigante, magnifico all’aspetto, il quale brandiva con la destra una torcia fiammante, quasi a foggia di un corno di Abbondanza».

E quanti di questi cibi sono ancora parte dei nostri pranzi di Natale? Dal pollame alle salsicce, dal formaggio alle ostriche: quello che conta è comunque l’abbondanza, vero segno di festa allora come oggi. Insieme ovviamente all’allegria. Esiste qualcosa di più natalizio della descrizione del Natale nella povera casa dei Cratchit: «Tanto fu il trambusto che ne seguì da far pensare che un’oca fosse il più raro fra i volatili, un fenomeno pennuto, al cui confronto un cigno nero era la bestia più naturale di questo mondo: e davvero in quella casa c’era da credere che così fosse. La signora Cratchit fece friggere il succo, già preparato in una padellina; Pietro, con vigore incredibile, si diè a schiacciare le patate; la signorina Belinda inzuccherò il contorno di mele; Marta strofinò le scodelle; Bob si fece seder vicino Tiny Tim a un cantuccio della tavola; i due piccoli Cratchit disposero le sedie per tutti, non dimenticando sé stessi, e piantatisi di guardia ai posti loro si cacciarono i cucchiai in bocca per non gridar prima del tempo di voler l’oca. Alla fine, messi i piatti, fu detto il benedicite. Successe un momento di silenzio profondo, mentre la signora Cratchit, guardando lungo il filo del coltello, si preparò a trafiggere la bestia. Ma quando il coltello fu immerso, quando sboccò dalla ferita il ripieno tanto aspettato, un mormorio di allegrezza si levò tutt’intorno alla tavola, e lo stesso Tiny Tim, messo su dai due piccoli Cratchit, si diè a battere sulla tovaglia col manico del coltello e fece sentire un suo debole evviva! Un’oca simile non s’era mai data. Disse Bob che, secondo lui, un’oca di quella fatta non era stata cucinata mai. La sua tenerezza, il profumo, la grassezza, il buon mercato furono oggetto dell’ammirazione universale. Col rinforzo del contorno di mele e delle patate, il pranzo era sufficiente».

Non è tanto l’oca a colorare il quadro di un Natale buono, quanto il modo in cui tutti si danno da fare intorno a essa. E dopo l’oca, è il momento del budino, quel pudding che è sinonimo di Natale inglese: «La signora Cratchit uscì sola – tanto era nervosa da non voler testimoni – per prendere il bodino e portarlo in tavola. E se il bodino non era a tempo di cottura! e se si rompeva nel voltarlo! e se qualcuno, di sopra al muro del cortile, se l’avesse rubato mentre di qua si facea tanta festa all’oca! I due piccoli Cratchit si fecero lividi a quest’ultima supposizione. Ogni sorta di orrori furono immaginati. Olà! questo sì ch’è fumo! il bodino è fuori della casseruola. Che odor di bucato! È il tovagliolo che lo involge. Un certo odore che è tutt’insieme di trattoria e del pasticciere accanto e della lavandaia che sta a uscio e bottega! Questo poi era il bodino. In meno di niente, ecco entrare la signora Cratchit, accesa in volto, ma ridente e gloriosa, col bodino in trionfo, simile a una palla di cannone chiazzata, liscia, compatta, ardendo in un quarto di quartuccio d’acquavite in fiamme, e con in cima bene infisso l’agrifoglio di Natale».

Solo un quarto di quartuccio di acquavite, ma una fiamma gioiosa e la felicità di condividere il dolce e il Natale con chi si ama. E in fondo quello che lascia la pagina di Dickens è una immensa dolcezza, un senso di pace, una voglia di stare insieme che per tutti noi è l’essenza del Natale. Basta leggere le ultime righe del racconto per capirlo: dopo la “conversione” di Scrooge, «di lui fu sempre detto che non c’era uomo al mondo che sapesse così bene festeggiare il Natale. Così lo stesso si dica di noi, di tutti noi e di ciascuno! E così, come Tiny Tim diceva: “Dio ci protegga tutti e ci benedica”».

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