Un meteorite chiamato femminismo, e il dinosauro che si credeva il re del mondo

L’incontro con la donna femminista produce nell’uomo una scissione. Davanti alle azioni con cui la donna si trasforma in soggetto, l’uomo si divide in due: un reazionario e un rivoluzionario. Il motivo è semplice. L’animale che tiene in casa ha cominciato a parlare. Si è smarcato dai suoi ruoli immemoriali, ha sciolto il grembiule, l’ha lanciato nel lavandino, è uscito cantando in un viale pieno di altre donne che sfilavano in strada, le braccia al cielo… Hanno attaccato i palazzi del potere e rivendicato le posizioni che spettano loro per merito… Una regista ha ripreso la scena, una piattaforma ha pubblicizzato il film con un algoritmo. L’uomo è decaduto in due nuclei che si contendono la sua energia. Il nucleo reazionario è eccitato, sopraffatto, indignato: finora, l’unico motivo per cui aveva accettato di sottomettersi a una gerarchia di uomini – quella catena che unisce i grandi capi ai sottoccupati – è che in cambio gli garantiva il possesso di una donna da tenere in casa. Cosa sarà dello sfortunato lavoratore che oggi, tornando a casa, non troverà la sua fedele servitrice? Come potrà tornare al lavoro la mattina dopo?
Non varrà più la pena. Ha già dovuto accettare troppe umiliazioni. Fin da piccolo l’hanno trattato come il re del mondo, gli hanno detto che il mondo gli apparteneva, solo per poi ficcarlo in quella interminabile gerarchia di uomini dove si fa degradare da quelli sopra e teme quelli sotto. Il gioco si reggeva perché poteva dominare in casa. Sei il re del mondo – nel tuo tinello. Lì comandi, lì pretendi, lì condanni e assolvi. Ora che la donna esce di casa ed entra nel suo mondo, l’uomo si ribella, si ubriaca e mena più di prima, porta la moglie e l’amante e la ex nel vicolo dietro la stazione e le accoltella, poi elegge aspiranti dittatori, li invita ai suoi podcast a parlare di sport. Sperando di recuperare un minimo di senso e di controllo.
Ma non c’è solo il reazionario che prova a resistere. C’è l’altra metà dell’uomo, il nucleo rivoluzionario che è felice di vedere la cucina vuota. Lui vede all’orizzonte la fine di una routine millenaria che, onestamente, ha sempre trovato angosciante. Fin dall’affermazione della famiglia nucleare, l’uomo si era ritrovato a vivere separato dai suoi amici, costretto alla solitudine in una dimora dove nessuno era suo pari: né i figli né la donna. L’uomo provava una indicibile solitudine. Dividere il letto con una donna lo costringeva a domarla; ma così si ritrovava a dover domare anche sé stesso, costringendosi a una vita di regolette quotidiane indegne di lui. Cresciuto dalla madre, quasi sempre ignorato dal padre, l’uomo sposandosi decideva di prendere una donna per farsi curare e per farle crescere i figli.
Ma il suo regno privato si rivelava sempre una prigione. La donna aveva imparato subito a farlo sentire un bambino. Lui non le attribuiva intelligenza, lei sapeva come metterselo in tasca. Non importa quanto lui la picchiasse, quanto la convincesse della sua inferiorità perché era lui a uscire la mattina e andare al lavoro, lei si inventava cento trucchi per consolidare un potere sulla casa. Così, dopo aver subìto tutto il giorno dai suoi superiori, dopo aver rintuzzato gli assalti dei suoi inferiori, arrivata la sera il re del mondo si ritrovava a subire anche nel suo castello.
Per questa ragione, l’uomo che incontra la donna femminista segretamente si emoziona all’idea che stiano saltando le regole. Gli piace osservare la donna che ha conosciuto la gioia di stare nel mondo ed è stufa di attaccarsi al potere del letto matrimoniale e del fornello e della lavatrice e del bagnetto ai figli. La donna che lo lascia a sé stesso. E questa metà dell’uomo scisso e radioattivo dice: menomale, finalmente sono libero. Non ne potevo più. Fatemi fare altro. Si chiede addirittura: chissà cos’è che voglio. Cosa penso davvero di me. Quest’uomo si dice: voglio imparare a conoscermi, a volermi bene, voglio passare del tempo con me. Si scopre a dire queste parole arcane ed è stupefatto, è frastornato. La donna femminista è Shiva, distrugge la vita degli uomini che le capitano sotto. Con le sue richieste, le sue fughe, le sue cucine abbandonate, le sue intemerate, le sue sparizioni, le sue sorellanze, lei è l’evento tossico aereo, è la bomba, è l’igiene dei popoli. La donna femminista è come Gesù, è venuta a portare la spada, non la pace.
Non so dire se le ragioni della donna femminista abbiano una verità oggettiva indiscutibile. Voglio parlare dell’impatto del meteorite, capire cosa resta da fare ai dinosauri. L’impatto della donna femminista biforca lo spaziotempo di un uomo in due universi paralleli. L’uomo non lo sa, ma è costretto a vivere in entrambi. L’uomo che, come me, divide la casa con la donna femminista, si ritrova dissociato: una parte di lui, la parte reazionaria, odia la donna femminista e alzando il ditino segnala le contraddizioni in cui la lotta la fa cadere: questa donna è convinta di amarci, quando sembra tanto chiaramente non avere più bisogno di noi e della struttura moribonda della coppia; l’altra parte si innamora di quella distruzione creativa, e con un misto di curiosità e amor proprio ne approfitta per liberarsi, per provare un’emozione, coltivare legami più forti e più vari, per uscire dal rosario di moglie, amante, lavoro, partita di calcio che gli era stato imposto dall’invisibile gerarchia maschile, dall’esercito in cui è stato inquadrato fin dal fiocco azzurro appuntato con lo scotch sul portone del palazzo il giorno della sua nascita.
La tragedia dell’uomo contemporaneo è che prova a convincersi di non essere diviso in due, di non essere radioattivo. Il meteorite caduto sul suo mondo ha originato due mondi inconciliabili. L’uomo va in shock, rimuove la consapevolezza del colpo e della scissione. Ecco la via d’uscita: identificarsi con uno soltanto dei due omìni dimidiati prodotti dal big bang femminista. Secondo il contesto culturale in cui vive sceglie di seguire una delle due identità e di nascondere l’altra a sé stesso e agli altri.
C’è chi sceglie l’identità di paladino della tradizione e accusa la donna di essere colpevole della «decadenza» del presente, della perdita di ogni «riferimento», del «clima di conflitto perenne». C’è chi sceglie l’identità di uomo «decostruito», «alleato» delle femministe, «simp» cioè simpatizzante, che accoglie l’esplosione con la tranquillità di quello che aveva previsto tutto, che prende in mano la propria decostruzione, che è capace di cedere gli spazi chiesti dalle donne andando oltre ogni conflitto d’interesse, oltre ogni possibile competizione con lei per le risorse sempre scarse della vita – a partire dalle più scarse di tutte, il tempo e il denaro – e sviluppa un nuovo personaggio tenero, conciliante, perfino obbediente.
Un dolce capibara incapace di fare del male. Un meme col musetto all’insù. Un falso. Il capibara dice «andrà tutto bene» per rassicurare lei, per rassicurare sé stesso, per rassicurare i mercati che il mondo non si fermerà; basterà aggiustarlo in corsa, e tutto resterà come prima. Il reazionario nasconde a sé stesso di essere anche un rivoluzionario; il rivoluzionario nasconde il reazionario interiore così che la donna femminista non arrivi mai a stanarlo; entrambi i tipi vanno avanti a difendere la loro posizione, come soldati in una guerra di logoramento. Solo riunendo le due identità e i due universi si può guardare avanti. Il reazionario senza il capibara si condanna a vivere in una riserva. Il capibara senza il reazionario non ha il sismografo per leggere cosa sta succedendo.
Il reazionario ha dalla sua l’aver capito la portata distruttiva dell’esplosione femminista e dice al capibara: forse non ti stai rendendo conto di cosa è successo. Adesso dovremo dividere con loro tutto ciò che era nostro. Il capibara sa che l’esplosione femminista è una ripartenza. Vivrai felice, senza castighi, proverai emozioni che nemmeno ti sogni. Entrambe le mezze identità hanno argomenti solidi, ma entrambe si negano una verità complessiva troppo violenta per la psicologia maschile: il futuro sarà qualcosa che al momento non possiamo immaginare. Di conseguenza, non possiamo controllarlo.
Tratto da La voce del padrone di Francesco Pacifico, Add Editore, 152 pp, 18€
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