Adolescenti adottati presi in carico dal Tribunale: pochi, ma con difficoltà psicologiche e/o familiari



Sono pochi i minori adottati, spesso a più di sei anni al momento dell’adozione, con fattori di rischio legati alla loro storia personale, alla famiglia e a interventi a volte insufficienti da parte dei servizi sociali. Questo dato emerge dalla ricerca «I minori adottati nei procedimenti amministrativi e penali», promossa dal Tribunale per i Minorenni di Milano e affidata al Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e all’Università degli Studi di Milano – Bicocca, che è stata presentata oggi in largo Gemelli a Milano durante il convegno «Il Tribunale per i minorenni incontra gli adolescenti adottati in crisi: i risultati di una ricerca esplorativa».
Dopo i saluti istituzionali di Camillo Regalia, direttore del Centro di Ateneo promotore, e di Roberta Osculati, vice presidente del Consiglio comunale di Milano, hanno introdotto Maria Carla Gatto, presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano, e Marilena Chessa, già giudice dello stesso Tribunale. Sono seguiti due approfondimenti a partire dai dati della ricerca, il primo condotto da Rosa Rosnati, psicologa dell’adozione in Università Cattolica e referente scientifica della ricerca per l’Ateneo, sul tema «Fattori di protezione e di rischio nel percorso adottivo»; il secondo condotto da Maria Elena Magrin, psicologa sociale in Bicocca e referente scientifica per il suo Ateneo, sul tema «Oltre al territorio: la risposta comunitaria».
La ricerca
La ricerca si basa sui fascicoli aperti dal Tribunale ed è volta a ricostruire dall’inizio il percorso adottivo la storia di minori che presentano comportamenti altamente problematici e che richiedono l’intervento non solo dei servizi socio-sanitari ma anche di progetti rieducativi disposti dall’autorità giudiziaria. L’indagine aveva una finalità esplorativa ed è stata promossa e sostenuta dal Tribunale nella persona della presidente Maria Carla Gatto che ha dichiarato: «Sono stati individuati 136 casi inerenti minori adottati sul totale di 2556 fascicoli amministrativi aperti tra il 2015 e il 2018 e chiusi al momento della ricerca. L’incidenza percentuale dei casi in esame appare quindi tutt’altro che elevata, assestandosi al 5,4% di tutti quelli trattati presso il Tribunale nel periodo di riferimento».
I procedimenti amministrativi a oggi analizzati sono 110 e agli stessi, nel 39,1% dei casi (43 ragazzi), risultano associati uno o più fascicoli penali. I fascicoli riguardano in prevalenza maschi, adottati spesso già grandi (più di sei, sette anni), in cui si sommano fattori di rischio legati alla storia del minore, alla famiglia e a interventi a volte “lacunosi” da parte dei servizi sociali. In particolare, il 20% dei minori ha alle spalle una storia di abuso sessuale e il 22,7% di grave trascuratezza.
Nell’89,5% i minori presentano problemi di salute e nel 63.6% una patologia di tipo psichiatrico: tra questi nel campione femminile, si è riscontrata una prevalenza di disturbi di personalità (65,4%), mentre i maschi presentano una più elevata incidenza di disturbi esternalizzanti (56,8%). Di questi, il 49,5% presentava una diagnosi già prima dell’intervento del Tribunale.
Per quanto riguarda le famiglie, si tratta di genitori con elevato livello di istruzione e con un impegno lavorativo full time. L’80,5% sono coppie coniugate: i casi di separazione sono piuttosto contenuti (8,3%) anche se nel 24,7% la relazione di coppia risulta essere conflittuale.
Nel 20% dei casi la relazione del minore con la madre è risultata buona. Più elevata la percentuale dei casi (26,7%) in cui vi è una buona relazione con il padre. Questo dato è in linea con altre ricerche da cui emerge che i padri non di rado siano molto coinvolti e possano costituire una importante risorsa nel percorso adottivo mentre la relazione con la madre risulti essere uno snodo critico.
Rilevante è il dato, sicuramente allarmante, relativo alla presenza di violenza familiare: nel 32,7% dei casi assistiamo a condotte di violenza fisica nella relazione con la madre e nel 17,8% dei casi con il padre. Al momento della segnalazione al Tribunale per i Minorenni i ragazzi hanno un’età media di 16 anni. I fattori maggiormente determinanti l’ingresso nel circuito giudiziario sono l’uso di droghe, le fughe da casa, la violenza familiare, l’abbandono scolastico e la frequentazione di ambienti devianti. Non di rado si registrano tentati suicidi e comportamenti di autolesionismo.
Il percorso di crescita
Sulla base della ricerca sembra che il Tribunale per i Minorenni sia riuscito a incidere positivamente sui percorsi di crescita di questi ragazzi poichè nella maggioranza dei casi, alla chiusura del fascicolo amministrativo, l’esito è stato ritenuto migliorativo nel 47,6% dei casi, stazionario nel 30% e peggiorativo nel 20,4%. Questo significa che le misure adottate dal Tribunale, tramite l’attivazione di progetti sul territorio (22.8%), e l’eventuale inserimento in comunità residenziale, (nel 67,2% de casi, di cui 59,5% di tipo educativo e 40,5% di tipo terapeutico) si traducono in interventi che manifestano una loro efficacia.
«I dati della ricerca evidenziano altresì che il coinvolgimento dei genitori e la loro capacità di collaborare coi servizi e col tribunale costituiscono una rilevante risorsa associata in modo statisticamente significativo a una maggiore probabilità di un esito positivo del percorso svolto in Tribunale», ha dichiarato la professoressa Rosnati.
«Certamente l’alta percentuale di ragazzi con una diagnosi di tipo psichiatrico pone non pochi interrogativi su quali percorsi siano effettivamente efficaci a fronte di una scarsità di risorse specifiche e in particolare di una strutturale carenza di comunità terapeutiche per i minori – ha aggiunto la professoressa Magrin –. Inoltre, rimane aperto l’interrogativo relativamente a quanto gli operatori sappiano cogliere la specificità di cui sono portatori i ragazzi che hanno alle spalle una storia di adozione».
In conclusione, se in generale è riconosciuto il ruolo protettivo dell’inserimento in un contesto familiare sano e stabile come ‘antidoto’ allo sviluppo di problematiche psichiatriche, invece i ragazzi considerati in questa ricerca presentano un’incidenza molto alta di tali disturbi, evidenziando una loro particolare vulnerabilità. Gli interventi precoci attivati nella totalità dei casi non sono riusciti a reindirizzare le traiettorie di vita e questo sollecita l’urgenza di riflettere ulteriormente su diverse possibilità di attuare un’efficace azione preventiva. D’altro canto, pur in storie di vita estremamente complesse, le famiglie continuano, in larga maggioranza, a svolgere un ruolo essenziale come risorsa di resilienza, che merita una attenzione specifica da parte dei soggetti che intervengono negli accidentati percorsi di vita dei minori e dei loro nuclei adottivi. Il Tribunale, dunque, svolge un ruolo di rilievo anche in situazioni tanto drammatiche come quelle considerate in questa ricerca a condizione che si sappia creare una salda alleanza tra servizi e famiglie.
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