Argentina. L’ombra della sorveglianza sul dissenso interno

di Giuseppe Gagliano –
Dal gennaio 2025 un’ombra inquietante si è allungata sull’Argentina di Javier Milei. Una direttiva segreta della Segreteria di Stato per l’Intelligence (SIDE), rivelata dal quotidiano La Nacion, ha messo in luce un piano ambizioso e controverso: identificare, monitorare e analizzare le attività di giornalisti, economisti, accademici e gruppi sociali vulnerabili, considerati una potenziale minaccia per la “fiducia pubblica” nelle istituzioni. Questo documento, firmato dal direttore generale delle Operazioni, Diego Kravetz, alias “Mr. 8”, e supervisionato dal capo del SIDE, Sergio Neiffert, con il contributo del consigliere presidenziale Santiago Caputo, segna una svolta preoccupante nella gestione dell’intelligence argentina. In un paese già polarizzato, il piano solleva interrogativi sulla libertà di espressione e sul confine tra sicurezza nazionale e repressione del dissenso.
Il cuore della direttiva è il nuovo Piano Nazionale di Intelligence, un documento di 170 pagine che ridefinisce le priorità della sicurezza argentina. Secondo le fonti di La Nacion, il piano individua come potenziali rischi soggetti capaci di “manipolare l’opinione pubblica”, “diffondere disinformazione” o “indebolire la legittimità delle autorità democratiche”. L’attenzione si concentra su “attori non statali”, un termine vago che, secondo indiscrezioni, potrebbe includere movimenti sociali, ONG, mense popolari e gruppi attivi nei quartieri più poveri, descritti come vulnerabili alla “radicalizzazione”. Nessuna definizione precisa di questi termini è stata fornita, alimentando il timore che il governo stia creando un pretesto per sorvegliare chiunque possa criticare l’amministrazione Milei.
Il linguaggio del piano riflette l’ossessione del presidente per la “battaglia culturale per il controllo della narrazione”, un concetto che permea la retorica di La Libertad Avanza, il suo movimento politico. In un paese segnato da crisi economiche croniche e tensioni sociali, l’idea di monitorare chi potrebbe “erodere la fiducia” nelle istituzioni suona come un tentativo di soffocare il dissenso prima ancora che si manifesti. La direttiva, inviata a una dozzina di dipartimenti del SIDE, sembra voler trasformare l’intelligence in uno strumento di controllo interno, un’arma per neutralizzare non solo minacce reali, ma anche voci critiche.
Le rivelazioni de La Nacion non sono passate inosservate, e il prezzo pagato dal giornalismo investigativo è stato immediato. Hugo Alconada Mon, vicedirettore del quotidiano e autore dell’inchiesta, è stato vittima di un attacco digitale coordinato il 25 maggio 2025. Alle 20:57 ora locale, un messaggio falso da “WhatsApp Business”, proveniente da un numero registrato a New York, ha tentato di compromettere il suo account. A questo sono seguiti messaggi minatori da numeri sconosciuti, collegati a località argentine come 9 de Julio, Las Breñas e Buenos Aires. La dinamica richiama altri casi di intimidazione contro figure critiche verso il governo, tra cui la deputata Constanza Moragues, l’attivista Mila Zurbiggen, l’imprenditore Edgardo Alessio e l’astrologa Ayelen Romano, tutti bersagli di molestie virtuali e diffusione di dati personali sensibili.
Questi attacchi non sono isolati, ma sembrano parte di una strategia più ampia per silenziare chi osa sfidare l’amministrazione Milei. La reazione del governo non ha fatto che alimentare i sospetti: l’Ufficio del Presidente ha confermato l’esistenza del Piano Nazionale, ma ha liquidato le accuse di sorveglianza politica come “versioni giornalistiche prive di fondamento”. Milei stesso, con il suo stile incendiario, ha attaccato il giornalismo, definendo il 90% dei media “il più grande creatore di fake news nella storia dell’umanità”. Una retorica che, lungi dal rassicurare, sembra voler delegittimare chiunque metta in discussione le scelte dell’esecutivo.
Il Piano Nazionale di Intelligence non si limita a questioni interne. In linea con l’orientamento geopolitico dell’amministrazione Milei, il documento rafforza i legami con Stati Uniti e Israele, due partner strategici per Buenos Aires. Gli Stati Uniti, in particolare, sono visti come un alleato chiave per contrastare l’influenza cinese in America Latina, mentre la collaborazione con Israele si concentra su tecnologie di sorveglianza e sicurezza, un settore in cui Tel Aviv eccelle. Tuttavia, il piano mantiene una posizione ambigua nei confronti del Regno Unito, soprattutto per quanto riguarda le Isole Falkland (Malvinas) e la proiezione strategica in Antartide, un nodo che riflette le tensioni storiche mai sopite.
Questa postura geopolitica si intreccia con la sorveglianza interna. L’enfasi sulla “battaglia culturale” e il monitoraggio di gruppi vulnerabili suggeriscono che il governo tema non solo minacce esterne, ma anche un’opposizione interna capace di sfruttare le difficoltà economiche dell’Argentina – inflazione galoppante, disoccupazione e aumento della povertà – per mobilitare la società. In un paese dove le proteste sociali sono una tradizione radicata, l’idea di etichettare i movimenti popolari come “radicalizzati” rischia di inasprire ulteriormente le divisioni.
Le rivelazioni sul Piano Nazionale di Intelligence arrivano in un momento delicato per l’Argentina. L’amministrazione Milei, salita al potere nel 2023 con promesse di riforme radicali e un’agenda libertaria, si trova ad affrontare una crisi economica che non accenna a placarsi. Le misure di austerity, la deregolamentazione e la svalutazione del peso hanno alimentato il malcontento, spingendo movimenti sociali e sindacati a organizzare proteste sempre più frequenti. In questo contesto, la decisione di ampliare la sorveglianza interna solleva interrogativi sulla direzione della democrazia argentina.
Il monitoraggio di giornalisti, accademici e gruppi vulnerabili non è una novità in America Latina, dove regimi autoritari hanno spesso usato l’intelligence per reprimere il dissenso. Ma in un paese che si considera una democrazia consolidata, tali pratiche rappresentano un campanello d’allarme. La vaghezza del linguaggio usato nel piano, “attori non statali”, “radicalizzazione”, lascia spazio a interpretazioni arbitrarie, rischiando di colpire chiunque critichi il governo, dai media indipendenti alle ONG che operano nei quartieri più poveri.
L’Argentina di Milei si trova a un bivio. Da un lato, il governo cerca di consolidare il potere in un contesto di crisi, utilizzando l’intelligence per controllare la narrazione e prevenire disordini. Dall’altro, queste misure rischiano di alienare ampi settori della società, alimentando la sfiducia nelle istituzioni che il piano dichiara di voler proteggere. Gli attacchi digitali contro Alconada Mon e altri critici del governo sono un segnale preoccupante: non solo il dissenso è sotto osservazione, ma chi lo esprime può diventare un bersaglio.
In un mondo in cui la sorveglianza tecnologica è sempre più sofisticata, l’Argentina non è sola nel confrontarsi con queste tensioni. Ma la combinazione di un governo polarizzante, una crisi economica profonda e un apparato di intelligence sempre più invasivo crea un cocktail pericoloso. La “battaglia culturale” di Milei potrebbe trasformarsi in una guerra contro la libertà di espressione, con conseguenze che andranno ben oltre i confini di Buenos Aires. Resta da vedere se il paese riuscirà a preservare il suo fragile equilibrio democratico o se l’ombra della sorveglianza finirà per oscurare le sue istituzioni.
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