Così Gianni Alemanno sta mostrando l’orrore della galera

Una volta, in Sicilia, le vecchie generazioni raccomandavano ai nipoti di non augurare mai a nessuno di finire in carcere, di ammalarsi e di diventare povero. Una raccomandazione che andrebbe rinnovata nel contesto attuale, in particolare verso chi si definisce di sinistra. E non si tratta di distinguere tra radicali e moderati, riformisti e rivoluzionari. La confusione tra la giustizia sociale, ovvero la possibilità per tutti di fruire dei diritti fondamentali, e il giustizialismo, ovvero la regolazione delle questioni sociali a mezzo della risorsa penale, caratterizza tutto lo spettro politico di sinistra.
La vicenda dell’ex-sindaco di Roma Gianni Alemanno, tornato in carcere per scontare il residuo di pena in seguito a irregolarità commesse nel corso della messa in prova, esemplifica questa confusione. Da quando è rientrato in carcere, l’ex primo cittadino di Roma si adopera attivamente per segnalare le disfunzioni e la tragicità del sistema carcerario e della condizione detentiva. Eppure, da sinistra, molte voci si levano a ricordare la matrice politica di Alemanno, le sue posizioni all’insegna di legge e ordine quando era uno degli esponenti di punta del governo, il suo approccio alla sicurezza urbana ai tempi del suo incarico da sindaco di Roma. Concludendo che, in fondo, un po’ di carcere gli fa bene e che è troppo tardi per battersi per i diritti dei detenuti. Posizioni che si nutrono sia dell’antipatia nei confronti del personaggio, sia della necessità di ottenere, in un contesto caratterizzato da un’egemonia di destra, un surrogato di soddisfazioni. Ma che non possono che suscitare più di una perplessità.
Alemanno, al di là della sua appartenenza politica, è un cittadino italiano e, in quanto tale, non solo ha diritto a battersi per i suoi diritti anche in quanto persona detenuta, ma ha bisogno di essere ascoltato, come gli altri 62.000 compagni di sventura. Soprattutto quando le condizioni delle carceri italiane suscitano la preoccupazione degli organismi internazionali e hanno sollecitato il Pontefice precedente e anche quello attuale a prendere posizione. Che a denunciare le condizioni detentive e l’ingiustizia del sistema penale sia uno di destra, tanto meglio: non fa che incrinare le certezze della sua parte e, si sarebbe detto una volta, stimolare le contraddizioni. In carcere, come ricordano ex militanti reclusi, al momento di lottare per i diritti le divisioni politiche saltavano. Sarebbe il caso di mantenere questa trasversalità.
Prendersela con Alemanno non fa che alimentare il vecchio gioco della luna e del dito, in due direzioni. La prima è quella dei conflitti interni all’attuale coalizione. Alemanno è una figura che può risultare carismatica con un certo seguito e il suo stato detentivo sicuramente rappresenta un vantaggio per chi punta a consolidare gli equilibri interni a discapito di eventuali ribaltamenti. Soprattutto, prendersela con Alemanno non fa bene a chi porta avanti la battaglia contro il securitarismo dominante, culminato con la trasformazione del Ddl 1660 in decreto sicurezza. Affermare che la galera serva, anche solo per Alemanno, equivale ad affermare la centralità del sistema penale per regolare i conflitti sociali e politici. Soprattutto, legittima il securitarismo dominante, nella misura in cui la detenzione dell’ex-sindaco di Roma può essere ostentata dalla compagine governativa come la dimostrazione del fatto che la giustizia è davvero imparziale e che la strada di un maggiore punitivismo sia quella giusta. Siamo distanti anni luce da Alemanno. Ma facciamolo tornare in libertà, per dirglielo in un confronto.
*Professore associato in Sociologia della devianza presso l’Università degli Studi di Firenze
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