Cuore, GISE: possibile ridurre del 25% ricoveri cardiovascolari con continuità assistenziale e aggiornamento reti di emergenza
La Società di cardiologia interventistica stima in 4 miliardi di euro i possibili risparmi per la sanità pubblica con le misure proposte, dall’uso della telemedicina all’utilizzo sistematico dei dati di esito clinico, che ridurrebbero i ricoveri cardiovascolari. Per il GISE fondamentale ridurre le disparità tra le regioni non è più solo un obiettivo teorico, ma una vera e propria esigenza clinica
Ogni anno in Italia circa un milione di persone viene ricoverata in ospedale per problemi legati al cuore e ai vasi sanguigni. Tuttavia, si stima che il 25% di questi ricoveri, cioè circa 250mila, potrebbero essere evitati attraverso una gestione più efficace sul territorio e una continuità assistenziale più accurata dopo la fase acuta della malattia. Questa strategia permetterebbe di ridurre sensibilmente il numero di ospedalizzazioni e, di conseguenza, anche i costi sanitari.
Le tre linee di intervento promosse da GISE
A promuovere queste idee è il GISE, la Società scientifica di riferimento per la cardiologia interventistica. La loro proposta si basa su tre linee di azione principali. La prima riguarda il rafforzamento e l’aggiornamento delle reti di emergenza dedicate alle patologie acute, come infarti e altre emergenze cardiovascolari, che attualmente sono fondamentali per ridurre i decessi e le disabilità. La seconda mira a garantire una continuità assistenziale ai pazienti che hanno subito interventi cardiovascolari, attraverso l’uso di tecnologie di telemedicina e di programmi di follow-up strutturati, per monitorare a lungo termine la loro condizione. La terza linea prevede l’utilizzo sistematico dei dati di esito clinico e dei registri nazionali, al fine di indirizzare meglio le risorse, migliorare l’organizzazione e investire nelle tecnologie più efficaci.
Potenziali risparmi per 4 miliardi di euro con riduzione ricoveri cardiovascolari
Il costo annuale dei ricoveri per malattie cardiovascolari si aggira intorno ai 16 miliardi di euro. Secondo il GISE, con interventi più mirati e tempestivi, si potrebbero risparmiare circa 4 miliardi di euro all’anno, soprattutto riducendo i ricoveri per scompenso cardiaco e fibrillazione atriale. È quindi fondamentale migliorare l’organizzazione, in particolare nel settore delle procedure interventistiche, dove l’Italia vanta alcune eccellenze, ma l’accesso alle cure salvavita può variare molto da regione a regione.
Le malattie cardiovascolari sono ancora la prima causa di morte in Italia, rappresentando oltre il 30% dei decessi. Oltre al peso umano, queste patologie comportano un elevato costo economico, stimato in circa 20 miliardi di euro all’anno, considerando sia i costi sanitari che la perdita di produttività. Inoltre, circa il 41% della popolazione adulta tra i 18 e i 69 anni presenta almeno tre fattori di rischio cardiovascolare, come ipertensione, diabete e obesità.
Negli ultimi vent’anni, la cardiologia interventistica italiana ha dimostrato che intervenire tempestivamente può fare la differenza tra vita e morte. Le reti di emergenza per il trattamento dell’infarto miocardico acuto più grave, chiamato STEMI, hanno contribuito a ridurre mortalità e invalidità in molte parti del Paese.
Estendere reti di emergenza ad altri ambiti cardiovascolari
Ora, secondo il presidente del GISE, Alfredo Marchese, è necessario fare un passo avanti: estendere queste reti di emergenza anche ad altre emergenze cardiovascolari, come lo shock cardiogeno, l’embolia polmonare o la dissezione aortica, che attualmente sono trattate solo in alcune regioni.
L’aumento dei pazienti cronici
Un’altra sfida riguarda l’aumento dei pazienti cronici e l’età crescente di chi si rivolge ai pronto soccorso con patologie avanzate. Per affrontare questa realtà, si propone di rafforzare a livello nazionale le reti interventistiche, standardizzando i tempi di intervento, creando criteri di accesso uniformi, garantendo la disponibilità di équipe specializzate 24 ore su 24 e integrando le attività con i servizi di emergenza come il 118. Ridurre le disparità tra le regioni non è più solo un obiettivo teorico, ma una vera e propria esigenza clinica.
Infine, il presidente Marchese evidenzia che il successo di un intervento non dipende solo dalla qualità della procedura tecnica, ma anche dalla gestione post-operatoria. Molti pazienti vengono ricoverati di nuovo nel breve periodo, spesso a causa di un follow-up insufficiente o di una mancanza di coordinamento tra ospedale, medici di famiglia, medici territoriali e farmacie. Per questo, si suggerisce l’adozione di Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) nazionali, che prevedano anche l’uso di telemonitoraggio, controlli programmati e linee guida condivise per la gestione del rischio. Inoltre, si mette a disposizione dell’intera comunità medica l’esperienza maturata con i registri di esito clinico, strumenti fondamentali per valutare i risultati delle cure, indirizzare gli investimenti e garantire a tutti i cittadini un’assistenza di qualità e più equa.
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