Diventare preti in un mondo che cambia

Giugno 17, 2025 - 13:00
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Diventare preti in un mondo che cambia

Una “cavalcata” attraverso cinquant’anni di storia fino ai giorni nostri. A fare da filo conduttore le riflessioni di sacerdoti di diverse epoche di ordinazione. A tema la figura del prete e il suo ministero nella loro evoluzione nel corso dell’ultimo mezzo secolo. Questo è stato il forum andato in onda in diretta mercoledì 11 giugno su Radio Marconi. A rispondere alle domande di Fabio Brenna e Annamaria Braccini, l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, che sabato 7 giugno ha ricordato il 50° della sua ordinazione presbiterale. Con lui don Paolo Alliata, prete da 25 anni (ordinato nel 2000), oggi membro della diaconia della Comunità pastorale San Paolo VI a Milano, rettore del Liceo Montini, saggista e scrittore. E don Riccardo Cagliani, prete da 5 anni (ordinato nel 2020), attualmente vicario di Pastorale giovanile presso la Comunità pastorale Madonna delle Grazie di Vighizzolo di Cantù (Co). Li vediamo insieme nella foto sopra.
Ecco un ampio resoconto del loro dialogo.

 

Nel contesto del vostro periodo, come vi è venuto in mente di diventare preti? Lei, Eccellenza, venne ordinato nel 1975, ma la vocazione arrivò un po’ prima…
Vocazione è una parola un po’ difficile per me. Preferirei descrivere la mia storia anzitutto come il desiderio adolescenziale di fare le cose che fanno i preti, di essere in questo servizio, in questo modo di vivere.
Il secondo passaggio è stata la conversione. Nel percorso seminaristico ho capito che, se volevo fare il prete, non dovevo farlo per accontentare un mio desiderio, ma per imitare Gesù: essere un servo come Lui, amare come Lui.
Il terzo passaggio è stata la destinazione, quando i vari Vescovi mi hanno dato un ambito di ministero.
Quindi fare il prete a me è venuto in mente per una attrattiva un po’ idealistica. E continua a venirmi in mente ogni giorno: fare il prete per la gioia di essere coerente con l’amicizia di Gesù.

E invece per lei, don Paolo, da dove è venuto questo desiderio di darsi al Signore?
Io ho avuto la fortuna di incontrare un prete significativo sul mio cammino a scuola. È stato un punto di riferimento, mi ha accompagnato alla fede.
A un certo punto, il 20 maggio 1990, al Sacro Monte di Varese, durante una confessione scoppiai a piangere. Ero in quinta superiore, un adolescente in ricerca, ed ero reduce da tanti mesi di sofferenza e di buio. Quel giorno, in quella confessione, avvertii la cura di questo prete che mi accompagnava, la sua disponibilità ad aiutarmi a trovare il mio sentiero.
Tre mesi dopo, sempre al Sacro Monte, questo stesso prete mi domandò: «Ascolta, Paolo, dopo questi tre mesi di cammino, vedendo il tuo amore per la preghiera, non hai mai pensato di entrare nella vita del prete?». Io non ci avevo minimamente pensato. A quella domanda ci voleva coraggio per dire sì, ma ci voleva coraggio anche per dire no, perché erano stati mesi incandescenti, di tanta gioia, di tanta luce. Da lì è partito il cammino: mi sono guardato attorno, ho pensato alla vita monastica, ai francescani, ai gesuiti… E poi ecco la Diocesi.

Don Riccardo, che significato ha avuto la sua vocazione?
La mia storia vocazionale nasce dal mio oratorio di Verderio. Il mio parroco, don Luigi – peraltro compagno di classe dell’Arcivescovo -, mi affascinava per il suo stile di vita, per come si rapportava con la gente. Lì è nato il desiderio di imitarlo e di seguirlo.
La decisione di entrare in Seminario è maturata nel corso della GmG del 2011 a Madrid, durante l’adorazione eucaristica con Benedetto XVI. In quel momento ho sentito forte il desiderio di donarmi al Signore e di entrare in Seminario. Ad affascinarmi, dunque, sono stati dei preti, persone che avevano già donato la loro vita al Signore.

Eccellenza, che cosa significava diventare prete nel 1975?
Quando siamo diventati preti eravamo guardati con sospetto. Il Sessantotto e gli anni seguenti avevano creato una sorta di insofferenza verso le istituzioni; anche il prete veniva considerato un uomo dell’istituzione, quindi antipatico, come era antipatica e sospetta la Chiesa.
Anche la gente che frequentava la parrocchia avvertiva questa inquietudine, questo disagio… Però attendeva il prete, gli faceva festa quando arrivava, e quindi questa accoglienza era gratificante. Erano gli anni del terrorismo, con il “precetto” che bisognava essere “di sinistra”: questo creava disagio nell’esercizio del ministero del prete in una società travagliata da tanti problemi, ma anche operosa e capace di produrre futuro. La contraddizione di quegli anni ha segnato anche la diversità del modo con cui noi siamo entrati nel ministero.

Don Paolo, lei diventa sacerdote nel 2000, al cambio del millennio. Da quale clima si sentiva circondato?
Arrivavamo da tanti anni di ministero del cardinale Martini, con dinamiche e riscontri diversi anche nella società civile rispetto al 1975. Credo che mediamente noi siamo stati tutti accolti positivamente nelle parrocchie: io almeno sono sempre stato fortunato in questo senso.
Nella prima parrocchia, quella del Rosario, i miei predecessori avevano lavorato sempre benissimo. Subentravo a un confratello che invece aveva fatto un po’ di fatica, quindi c’era grande attesa per chi sarebbe arrivato. Ho imparato tanto dalle persone, dalle suore che mi hanno voluto molto bene, dai laici: soprattutto ho avuto la possibilità di collaborare tanto con loro. Sono stati anni ricchi, in cui mi sono plasmato e di cui sono molto grato.

Don Riccardo, nel 2020, con il Covid di mezzo, che cosa significava diventare prete?
La nostra ordinazione, in settembre, è avvenuta in piena pandemia, in un tempo di incertezza e di chiusure, in ambito non solo sociale, ma anche ecclesiale. Guardavamo con curiosità all’intraprendenza di molti preti, che cercavano in tutti i modi di arrivare alla gente, malgrado la difficoltà a partecipare ai sacramenti, alla catechesi, alle attività pastorali. È stato un inizio in salita, faticoso, perché uscivamo dal Seminario desiderosi di fare e invece ci siamo trovati una chiusura imposta, che nessuno aveva cercato.

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