Il galleggiamento di Meloni che qualcuno ha il coraggio di chiamare centrismo

Verrebbe voglia di dire: giù le mani dalla Democrazia Cristiana. L’Inno alla noia che Giorgia Meloni ha suonato a Rimini non è per nulla il Manifesto del moderatismo, peraltro contraddetto nella pratica dagli impeti anti-leoncavallini, dai generici slogan anni Ottanta contro la droga, dalle persistenti pulsioni contro gli immigrati con corredo di fantasmi da deportare in Albania, dal cinismo su Gaza e, adesso, anche un po’ su Kyjiv.
Ma quale moderatismo, quale centrismo, quale Balena bianca. A parte che la Democrazia Cristiana doveva fare i conti con Palmiro Togliatti e non con Elly Schlein, con Bettino Craxi e non con Giuseppe Conte, con Ugo La Malfa e non con Angelo Bonelli. E con Luciano Lama e Pierre Carniti, non con Maurizio Landini e Daniela Fumarola. Non è poco.
Ma il punto è che la Democrazia Cristiana faceva le cose – lo vediamo meglio oggi, decenni dopo la sua fine – bene, male, lentamente, tutto quel che si vuole: ma le cose le faceva. Persino i dorotei, i più pigri, i più antimoderni, facevano le autostrade.
Meloni, in tre anni – su questo ha buon gioco Elly Schlein a polemizzare – che ha fatto? Quali istanze ha tutelato, quali ingiustizie ha sanato, quali riforme strutturali ha varato, quale impulso alla produttività ha dato, soprattutto quale idea di Italia ha prospettato?
La gara a suonare il piffero ha portato diversi osservatori a inneggiare alla centralità della premier, che è un dato oggettivo, elettorale, confondendo la centralità con il centrismo, che è invece una prassi mirante a comporre interessi diversi in nome del bene del Paese e non di una governabilità fine a se stessa. E confondendo, di nuovo, la vaghezza con il moderatismo.
Certo, la presidente del Consiglio prova a spurgarsi dalle scorie di un passato che resta conficcato nella sua mente – ed è inutile che si lamenti quando glielo si ricorda: quella parolina, antifascista, proprio non riesce a dirla – e parla un linguaggio consono alla sua funzione. Ma chi si aspettava che facesse il saluto romano, via. Il minimo sindacale, per un presidente del Consiglio, è che possano votarla tutti: ci mancherebbe pure.
Piuttosto, la premier approfitta, con furbizia, certo, di un posizionamento politico oggettivo. Però non bisogna essere Camillo Benso, conte di Cavour, per mettersi lì, nel mezzo del gioco, nel momento in cui la sinistra grillizzata tende all’estremismo parolaio e, dall’altra parte, Matteo Salvini gioca al piccolo Viktor Orbán: che ci vuole, in un contesto così, a fare la parte della mamma dell’Italietta 2.0, a sventolare i vecchi merletti del senso comune ripetendo alle varie platee che incontra esattamente ciò che quelle platee vogliono sentire da lei?
È sufficiente un minimo di professionismo politico e un’alta considerazione di sé per guadagnarsi le famose standing ovation di platee amiche e/o addomesticate. Davanti ai ciellini cita Joseph Ratzinger (papa Benedetto XVI), forse davanti a Sant’Egidio ricorderebbe papa Francesco (Jorge Mario Bergoglio), e chissà se sta comprendendo il senso del pontificato di Robert Prevost.
È difficile stabilire con precisione in questo contesto quanto sia brava lei e quanto siano incapaci gli altri, talché, alla fine, la sensazione – anzi la realtà – è che in campo giochi solo questa donna venuta dal sottosuolo della politica e oggi travestitasi da statista.
Il piano casa per le giovani coppie? Le opposizioni dicono che non se ne farà niente, ma meglio sarebbe stato se avessero presentato loro, per prime, un progetto serio, anticipandola: e così su tutto.
La situazione è tale per cui il centrosinistra o parla un linguaggio estremistico o non parla proprio e, in entrambi i casi, è tutta acqua al mulino del governo, come ha spiegato un affranto Romano Prodi.
Lei, la premier, non prova mai a determinare il corso delle cose, aspetta di vedere come vanno, e anche in questo caso non ci vuole molta sagacia a mettersi dietro Donald Trump seguendolo nel suo pazzotico zigzagare. E vedremo presto, se vincerà Marine Le Pen in Francia, se Meloni non si metterà in una scia di destra-destra, giacché è arduo immaginare il lepenismo ammantato di liberalismo.
Giorgia Meloni è così: segue la corrente, non ostacola gli eventi, ci surfeggia sopra, al massimo mette la sua firma ingraziandosi i poteri forti e i corpi intermedi in cerca di autore. Così, alla fine, è facile intonare un Inno alla noia e andare avanti senza ostacoli per una donna venuta dal nulla che deve molto, o tutto, alle circostanze, ai ghiribizzi della storia.
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