Iran. ‘Risponderemo a qualsiasi reimposizione delle sanzioni Onu’

Lug 16, 2025 - 10:30
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Iran. ‘Risponderemo a qualsiasi reimposizione delle sanzioni Onu’

di Giuseppe Gagliano

L’Iran torna al centro del braccio di ferro internazionale. Teheran ha avvertito che reagirà “in modo adeguato e proporzionato” a qualsiasi tentativo delle potenze occidentali di reimporre le sanzioni delle Nazioni Unite al suo programma nucleare. Un avvertimento che rischia di spingere la regione verso una nuova spirale di tensioni, mentre l’Europa e gli Stati Uniti valutano l’attivazione del controverso “meccanismo di snapback”.
Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Esmaeil Baghaei, ha definito la minaccia di utilizzare lo snapback “priva di fondamento giuridico e politico”. Secondo Teheran, le potenze europee, nella fattispecie Gran Bretagna, Germania e Francia, non avrebbero alcun titolo morale o legale per evocare questo strumento, poiché esse stesse avrebbero violato gli obblighi previsti dal Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), l’accordo nucleare firmato nel 2015.
Il meccanismo di snapback consente, in caso di “inadempienza significativa” da parte dell’Iran, di ripristinare automaticamente tutte le sanzioni Onu sospese con l’accordo. Ma per Teheran l’uso di questa clausola rappresenterebbe un pretesto per soffocare economicamente la Repubblica Islamica e indebolire il suo ruolo regionale.
La crisi attuale ha radici profonde. Gli Stati Uniti si erano ritirati unilateralmente dal JCPOA nel maggio 2018 sotto la prima presidenza Donald Trump, definendo l’intesa “debole” e rilanciando una politica di massima pressione contro l’Iran. Ora, tornato alla Casa Bianca nel 2025, Trump ha invitato Teheran a riprendere i negoziati per un “nuovo accordo nucleare” dopo la tregua raggiunta il 24 giugno, che ha posto fine a 12 giorni di guerra aerea tra Iran e Israele.
Da notare che stando a Benjamin Netanyahu e a Donald Trump i siti nucleari iraniani sarebbero stati tutti distrutti, compreso quello sotterraneo di Fordow, e gli scienziati uccisi.
Dietro le quinte però, la strategia di Washington sembra intrecciarsi con quella di Tel Aviv. Il professor Jeffrey D. Sachs, intervistato dal Tehran Times, ha descritto la politica israeliana come una “campagna di cambiamento di regime”, volta a consolidare la supremazia militare di Israele e a prevenire qualsiasi seria competizione nella regione.
Alla domanda se il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, avrebbe incontrato l’inviato speciale americano Steve Witkoff per discutere del nucleare, Baghaei ha risposto che “non è stata fissata alcuna data o luogo” per la ripresa dei colloqui. Una risposta che lascia intendere il livello di gelo tra Washington e Teheran, ma anche la possibilità di un ritorno alla diplomazia in extremis.
Intanto nella regione cresce la tensione. Gli Stati Uniti e Israele accusano l’Iran di perseguire segretamente la costruzione di un’arma nucleare, mentre Teheran continua a negare queste accuse, sostenendo che il suo programma ha scopi esclusivamente civili. Sullo sfondo i Paesi arabi del Golfo osservano con crescente preoccupazione, divisi tra il timore di un Iran nucleare e la paura di un conflitto aperto che destabilizzerebbe l’intera regione.
Il destino dell’accordo nucleare del 2015 appare più incerto che mai. Un ritorno alle sanzioni Onu rischierebbe di spingere Teheran verso una linea ancora più dura, aumentando il rischio di incidenti nel Golfo Persico, nei teatri di guerra come Yemen e Siria, e persino su scala globale attraverso attacchi cyber o azioni asimmetriche.
Per l’occidente il dilemma è strategico: continuare a fare pressione per contenere l’Iran o riaprire la via negoziale per evitare un’escalation incontrollabile? Per Teheran, la sfida è esistenziale: cedere a un nuovo compromesso o consolidare la propria autonomia strategica al costo di un isolamento ancora più profondo.

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Redazione Redazione Eventi e News