La battaglia contro la pena di morte vuol dire battersi per i diritti umani

Dicembre 12, 2025 - 01:30
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La battaglia contro la pena di morte vuol dire battersi per i diritti umani

La giornata mondiale per i diritti umani è stata istituita il 10 dicembre del 1950 per commemorare l’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani avvenuta due anni prima, il 10 dicembre del 1948, da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Fu una delle prime giornate mondiali a essere istituita.

All’epoca ne esistevano solo un paio. Oggi il calendario offre l’occasione di commemorare quasi ogni giorno, insieme ad almeno un santo, anche una ricorrenza mondiale. Sono profondamente convinta che la proliferazione eccessiva, vale per i beni di consumo come anche per le giornate mondiali, rischia di vanificarne il valore e il significato. Eppure, nella ricerca costante che faccio per distinguere ciò che è superfluo da ciò che è necessario, ritengo che quella del 10 dicembre sia una commemorazione necessaria. È necessaria perché la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è la madre del nostro contemporaneo essere comunità, dove ciascuno è portatore di diritti umani, come diritti naturali storicamente acquisiti, che lo Stato deve rispettare per costruire pace e giustizia, prevenendo i conflitti. È necessaria perché la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è la madre del nostro contemporaneo essere comunità, dove ciascuno è portatore di diritti umani, come diritti naturali storicamente acquisiti, che lo Stato deve rispettare per costruire pace e giustizia, prevenendo i conflitti. È il baluardo contro i totalitarismi di cui la violazione sistematica dei diritti umani è componente statutaria.

In questa giornata, Nessuno tocchi Caino ritiene rilevante dire che in Iran si sono compiute almeno 1.878 esecuzioni da inizio anno.E non lo potevi dire nella giornata mondiale della pena di morte?” mi diranno in molti. No, l’ho voluto dire nella giornata mondiale dei diritti umani, perché come riconosce la Risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali approvata dall’ONU, storico successo di Nessuno tocchi Caino, “la moratoria sull’uso della pena di morte contribuisce al rispetto della dignità umana e al rafforzamento e al progressivo sviluppo dei diritti umani”. Quello che accade in Iran è l’emblema di come la battaglia contro la pena di morte riguardi in realtà l’affermazione dello Stato di Diritto e dei diritti umani nel loro complesso. Perché 1.878 esecuzioni significa che un regime, in evidente difficoltà, si scaglia contro la sua popolazione con una forza repressiva e oppressiva tale da impiccarne, facendo la media di questi 313 giorni del 2025, 6 al giorno.

Qui non stiamo parlando di pena di morte. Stiamo parlando di un regime che si regge sulla violenza, che annienta il nemico infliggendo pene senza limite, punizioni senza senso. Un regime che considera il corpo dei cittadini, non solo dei reclusi, come un terreno di dominio assoluto. Una pratica vergognosa al punto che solo un’esigua minoranza delle esecuzioni, siamo al di sotto del 10%, è resa pubblica dai mezzi di informazione ufficiali. L’Iran, che batte ormai da anni la Cina per esecuzioni in rapporto alla popolazione, è lì, lì per batterla anche in numeri assoluti. Circa il 49% delle esecuzioni riguarda reati legati alla droga. Sono quei reati, per lo più senza vittima e per i quali c’è un consenso internazionale all’interdizione dell’uso della pena di morte. Al pari di quanto convenuto per i minorenni. Ma anche in questo caso, senza però che questo abbia impedito al regime di giustiziarne almeno 7 dall’inizio dell’anno. Ci sono poi le esecuzioni per omicidio che arrivano a circa il 45% del numero totale. Per il resto le impiccagioni avvengono per lo più per motivi politici: 22 quelle compiute per capi d’accusa afferenti a queste attività; 12 invece quelle avvenute in pubblico; 58 le donne giustiziate.

In Iran non ci sono solo le esecuzioni capitali ed è la ragione per cui lo scorso 19 novembre il terzo comitato dell’Assemblea Generale dell’ONU ha denunciato detenzioni arbitrarie, discriminazioni contro minoranze etniche e religiose (in particolare menzionando appartenenti a comunità come quella dei Bahá’í) e persecuzioni cieche e bieche nei confronti delle donne. Le donne in un regime misogino come quello dei Mullah sono la materia prediletta per il sacrificio all’altare dell’ideologia. Sono il nemico che può essere spogliato di ogni suo diritto. È anche per questo che le donne, da Masha Amini per arrivare alle 2.000 maratonete senza velo che hanno corso a Kish, riescono anche solo con una chioma di capelli a sfidare la teocrazia sul fluttuante terreno del velo. E riescono a farlo arrivando fino a noi. Le donne iraniane riescono a commuoverci, a farci gioire e a coinvolgerci nella lotta nonviolenta di liberazione.

Tale è l’energia positiva che ci trasmettono le donne iraniane capaci di far infuriare i Mullah con i loro ciuffi neri che avvolgono il volto. Donne, corpi e capelli capaci di disinnescare il tetro e totalizzante potere dei Mullah. Perché la nonviolenza offre uno spazio d’azione, forse l’unico, quando il terrore viene usato per controllare, reprimere e prevenire ogni dissenso dolosamente operando per logorare ogni forma di resistenza, ogni anelito di libertà. Ogni martedì conduco uno sciopero della fame a sostegno di quello dei detenuti iraniani che danno corpo alla campagna “martedì contro le esecuzioni”. Ieri è stato il 98° martedì in cui l’azione nonviolenta è stata condotta arrivando, nel tempo, a estendersi a 55 carceri del Paese. Ecco, io voglio dire oggi che di fronte a questa lotta silenziosa e difficile dobbiamo commuoverci, gioire e sostenerla tanto quanto abbiamo fatto pochi giorni fa per le donne iraniane che hanno corso la maratona senza il velo.

Perché il silenzio dei mezzi di informazione sulle esecuzioni in Iran non fa che incoraggiare il regime a proseguire nella mattanza. Perché la nostra indifferenza ci rende complici. Perché i Governi, a partire da quelli che hanno relazioni diplomatiche con l’Iran hanno il dovere di denunciare quello che sta accadendo e chiedere di fermare le esecuzioni proprio in memoria della Dichiarazione Universale dei diritti umani che oggi diventa azione.

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia