La Bce: “La guerra dei dazi spinge ancora di più la Cina nell’eurozona”

Bruxelles – Nel bene e nel male gli Stati Uniti di Donald Trump possono essere davvero l’elemento rivoluzionario del commercio mondiale. L’accordo raggiunto con Ue e Usa, dato il riequilibrio a favore di Washington, può impattare sull’economia e la crescita a dodici stelle. Però queste ultime possono beneficiare dello scontro tra Stati Uniti e Repubblica popolare. Gli analisti della Banca centrale europea iniziano a guardare a tutti gli scenari e, sì, il risultato è che “tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti potrebbero portare più esportazioni cinesi e prezzi più bassi in Europa“.
La politica dell’amministrazione Trump di ‘trattare’ con chiunque a colpi di dazi ha visto nelle relazioni con l’economia asiatica l’escalation culminata con tariffe sul prezzo di vendita delle merci cinesi negli Usa aumentata al 135 per cento. Di fronte a merci divenute più costose per imprese e rivenditori americani, e il conseguente calo della domanda Usa per beni più cari, le esportazioni cinesi potrebbero essere reindirizzate verso l’area dell’euro, sostengono gli esperti della Bce. “In un grave scenario, questa offerta supplementare e i prezzi all’importazione più bassi potrebbero ridurre l’inflazione dell’area dell’euro di ben 0,15 punti percentuali“.
I tecnici della Bce suonano l’allarme: “L’influenza della Cina sull’eurozona aumenta”
Il dirottamento di prodotti ‘made in China’ sarebbe pressoché immediato. Stabilito che gli scambi potrebbero spostarsi in reazione a tariffe statunitensi più elevate, le stime prodotte a Francoforte suggeriscono che l’area dell’euro potrebbe vedere aumentare le importazioni dalla Cina fino al 10 per cento nel 2026. Eurozona sempre più cinese, dunque, ma con il ritorno di un impatto positivo sull’inflazione.
In questo scenario l’eurozona non subirebbe alcun impatto, perché a ben vedere l’eurozona è già cinese, (e oltretutto da un po’): “oltre due quinti di aziende all’interno dell’area dell’euro attualmente importano prodotti dalla Cina”, ricorda la Bce. Questo vale soprattutto per l’abbigliamento e le calzature, così come gli elettrodomestici. Ma più in generale, circa il 75 per cento di tutti i prodotti importati dai grandi Paesi dell’area dell’euro ha già almeno un fornitore cinese. Inoltre, “la composizione delle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti e verso l’area dell’euro è simile, rendendo l’area dell’euro un’alternativa naturale” a quella statunitense. A questi fattori si aggiunge inoltre il deprezzamento del renminbi cinese, rende le merci cinesi più economiche e più attraenti per gli importatori europei. Insomma, la Cina è pronta per entrare ancora di più in Europa, con lo zampino dell’America di Trump.
Il vantaggio stimato dalla Bce sta nel fatto che il riorientamento delle esportazioni cinesi ha “il potenziale” di esercitare una pressione al ribasso sull’inflazione dell’area dell’euro attraverso prezzi all’importazione più bassi. “Ma ci vorrà del tempo perché i prezzi al consumo scendano“, avvertono. Mentre una maggiore offerta dalla Cina può innescare un rapido calo dei prezzi delle importazioni, i prezzi al consumo per i beni industriali non energetici tendono a rispondere più gradualmente.
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