La difesa dell’Europa ha bisogno anche dallo spazio (e in fretta)

Dicembre 16, 2025 - 08:00
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La difesa dell’Europa ha bisogno anche dallo spazio (e in fretta)

L’Europa sceglie di espandere il proprio impegno nello spazio ridefinendone la strategia: ora in orbita c’è anche la difesa. L’ultimo Consiglio ministeriale dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), tenutosi a Brema in Germania lo scorso novembre, si è concluso con la sottoscrizione di 22,3 miliardi di euro, un contributo che l’agenzia non aveva mai visto prima. Si tratta del budget più alto nella storia dell’Esa, che dalla precedente ministeriale del 2022 ha visto incrementare i contributi dei Paesi membri del diciassette per cento.

A scuotere gli Stati verso un maggiore impegno economico nello spazio per il prossimo triennio è stato l’impegno militare, un tema che fino a ora era rimasto ai margini dell’agenda. Ma l’invasione russa dell’Ucraina e le tensioni geopolitiche attuali hanno costretto i ventitré Paesi membri dell’agenzia a misurarsi con la necessità di costruire una propria autonomia difensiva anche nello spazio. 

È un cambiamento epocale se si pensa che da cinquant’anni l’Esa investe in progetti di cooperazione spaziale a scopi «esclusivamente pacifici». Il mandato dell’istituto spaziale europeo è sempre stato circoscritto a programmi civili di osservazione o esplorazione terrestre, cruciali nella lotta al cambiamento climatico e nell’implementazione dell’infrastruttura satellitare. Ma ora la sua missione si allarga anche al settore della difesa, mantenendo però un approccio preventivo. I ministri degli Stati membri e di quelli associati hanno infatti pattuito la possibilità di sfruttare le applicazioni spaziali a fini di difesa non aggressiva.

Del resto, la guerra si fa anche nello spazio. L’invasione del 2022 in Ucraina è iniziata con un attacco russo alla rete satellitare KA-SAT, gestita dall’azienda Viasat. I danni provocati all’infrastruttura spaziale hanno compromesso le capacità di comunicazione dell’esercito ucraino, evidenziando quanto il settore sia ormai diventato cruciale nel conflitto. Ma l’Europa, a differenza dei suoi principali competitor, non ha mai destinato quote consistenti degli investimenti spaziali al campo della difesa. Secondo i dati riportati dal report sulla Space Economy dell’Esa, nel 2023 l’Europa ha impiegato solo il quindici per cento dei fondi pubblici spaziali nella difesa, allocando la parte più consistente a progetti civili. A livello mondiale, invece, per la prima volta dagli anni Novanta, la spesa per la difesa ha superato quella destinata al settore civile.

Per ristrutturare la strategia europea, il direttore generale dell’Esa, Josef Aschbacher, ha promosso il programma European Resilience from Space basato sui tre pilastri di osservazione, sistemi PNT (Posizionamento, Navigazione e Temporizzazione) e comunicazione sicura. L’idea è quella di potenziare la resilienza e la deterrenza europea attraverso l’investimento in queste tecnologie, che per loro natura sono essenziali non solo nell’implementazione civile, ma anche nelle guerre. Come afferma Leonardo Gagliardi, presidente dell’Associazione per i Servizi, le Applicazioni e le Tecnologie ICT per lo Spazio: «tutti i conflitti nella storia hanno portato ad importantissimi sviluppi tecnologici. Possiamo pensare all’aeronautica ed alla missilistica, entrambe nate in guerra e che poi hanno avuto un ruolo fondamentale per lo sviluppo economico e scientifico. Oggi le guerre, che purtroppo si combattono da anni, stanno richiedendo sviluppi che utilizzano tecnologie spaziali: osservazione della terra, navigazione, telecomunicazioni sono elementi fondamentali».

Un altro punto di criticità per l’Europa riguarda l’autonomia nella capacità di accesso allo spazio. Ogni anno, l’azienda statunitense SpaceX di Elon Musk fa circa centoquaranta lanci in orbita, a fronte dei solo quattro realizzati dall’Agenzia Spaziale Europea. Se l’Europa vuole ridurre il divario crescente con Stati Uniti, India e Cina deve investire nell’industria dei lanciatori. Su questo fronte l’action plan di Aschbacher presentato al vertice si propone di rivoluzionare il mercato dell’aviazione spaziale europea, lasciando ai privati il compito di sviluppare i sistemi di lancio e assegnando all’Esa il ruolo di anchor client, ovvero di cliente di riferimento. Ricalcando il modello americano, l’Esa non vuole più sviluppare i lanciatori aerospaziali all’interno dell’agenzia, ma ambisce a stimolare gli investimenti e la competitività ponendosi come acquirente esterno.

Tra i protagonisti di questa svolta epocale c’è anche l’Italia, che insieme a Germania e Francia si attesta tra i principali contributori per i prossimi tre anni, con un investimento complessivo di 3,5 miliardi di euro. Rispetto alla scorsa ministeriale, l’Italia ha incrementato il suo impegno del tredici per cento, destinando oltre un miliardo di euro ai programmi legati alla connettività e alle comunicazioni sicure, un ulteriore miliardo all’osservazione della Terra e circa ottocento milioni di euro all’esplorazione della Luna e di Marte. Inoltre, l’annuncio della partecipazione di un astronauta italiano – la scelta sarà tra Samantha Cristoforetti e Luca Palermitano – alle missioni lunari del programma Artemis della Nasa ha confermato la rilevanza che il nostro Paese ha nel settore dello spazio. 

Per la prima volta, il contributo europeo sottoscritto al summit rispetta le aspettative dell’Esa. Ma i lavori sono solo all’inizio. Il commissario europeo alla Difesa e allo Spazio, Andrius Kubilius, ha detto: «Chi controlla lo spazio, controlla il futuro», ma per consolidare il proprio ruolo strategico in questa epoca di grandi tensioni il continente europeo dovrà essere capace di coordinare i propri asset spaziali nazionali e di potenziare la competitività nel settore dell’aerospazio. Siamo già in ritardo, ma il vertice di Brema ha rappresentato un buon punto di partenza. 

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Redazione Redazione Eventi e News