La radicalizzazione dei bambini cresce nelle piattaforme di gioco online non monitorate

Una recente indagine dell’Europol ha rivelato l’esistenza di un network che, attraverso giochi multiplayer online, recluta ragazzini per commettere reati gravi. Gli utenti giovanissimi vengono cooptati da una serie di realtà criminali con l’obiettivo di compiere singole azioni illegali; il caso peggiore registrato finora riguarda un omicidio: utenti anonimi avrebbero spinto il responsabile, minorenne, a uccidere la sorella più piccola.
La questione è delicatissima e si presta molto facilmente a racconti dai toni allarmistici che rischierebbero di inquinare, in maniera fatale, il dibattito pubblico (ricordiamo, da questo punto di vista, lo scandalo Blue Whale, una balla per la quale nessun responsabile ha mai pagato). Ma, una volta superati gli aspetti più superficiali della vicenda, quanto riportato dall’Europol diventa particolarmente degno di interesse per i motivi alla base di questa operazione.
Il direttore esecutivo dell’agenzia, Catherine De Bolle, ha parlato esplicitamente di «militarizzazione dei bambini» sul suolo europeo, un fenomeno che vede anche il coinvolgimento di stati stranieri interessati a destabilizzare il continente. Una convergenza tra crimine organizzato, politica e singoli individui interessati a manipolare minori. Si tratta di un fatto – in parte – inedito per l’Europa, ma che negli Stati Uniti esiste da tempo, talmente assimilato dalla società americana da essere diventato parte integrante della loro cultura popolare. Questa militarizzazione dei bambini attraverso le community online non è dissimile da quella memificazione della violenza che ha dato il via negli Stati Uniti all’ultima generazione di stragisti di massa. Un tema su cui ci siamo già soffermati.
Ma, per capire di cosa si tratta e per evitare di scadere in dietrologie o ricostruzioni confuse, è necessario citare il caso più noto di reclutamento attraverso videogiochi multiplayer. Un caso che presenta tutte le caratteristiche riscontrate dall’Europol. Da tempo i giornali anglosassoni hanno iniziato a parlare di Roblox, una piattaforma di gioco online gratuita e facilmente accessibile a tutti gli utenti, principalmente minorenni. Ciò che caratterizza Roblox è la presenza di giochi creati dagli utenti stessi e una moderazione minima, due elementi che, sommati assieme, si sono rivelati da subito estremamente problematici.
Dai singoli giochi di Roblox nascono community con i loro codici, parole chiave e meme. Da quest’ultimo punto di vista, la piattaforma è stata ampiamente sdoganata, diventando parte della cultura pop (complice la qualità spesso scarsa dei giochi presenti sull’applicazione). Per Roblox vale lo stesso discorso applicabile a forum come Reddit e 4chan: la libertà dell’ambiente online facilita lo sviluppo di segmenti eversivi.
È per questo che la piattaforma è finita al centro di inchieste che, nonostante la loro gravità, hanno avuto un’eco limitata in Italia. Ne è un esempio la presenza di utenti adulti che approfittano del mezzo per adescare minorenni: un caso che è stato a più riprese denunciato dai giornali e minimizzato dai gestori della piattaforma (in un’intervista rilasciata pochi giorni fa al New York Times, il CEO di Roblox ha definito «un’opportunità, piuttosto che un problema» la presenza di predatori sessuali sulla propria applicazione, tesi giustificata da un ragionamento che non vale la pena analizzare).
Ma questa è soltanto la più nota delle problematiche. Rimettendoci sui binari dell’indagine dell’Europol, Roblox si è rivelato, nel corso degli ultimi anni, un terreno fertile per la radicalizzazione degli utenti più giovani. Molti dei giochi presenti non sono altro che chat rooms destinate a bolle specifiche e, una volta compreso come funziona il mezzo, diventa più facile trovare quelle nicchie interessate a fare proselitismo tra i ragazzini.
Sette religiose coesistono con apologeti degli school shootings – una specifica community di Roblox, di cui non citeremo il nome, permette agli utenti di simulare episodi come la strage di Columbine o il massacro di Utøya – fino a giochi creati da organizzazioni politiche eversive come il Patriot Front, che ha coltivato una comunità talmente fidelizzata da venire mobilitata per compiere «golpe» su giochi popolati da bolle innocue o comunque estranee alla loro (la cosa, apparentemente ridicola, ha ripercussioni reali dal momento che il Patriot Front è tra i gruppi più attivi del neonazismo militante).
In Europa, il fenomeno si adatta al contesto geografico e culturale: in assenza di una subcultura stragista come quella statunitense, le reti interessate alla radicalizzazione dei ragazzini puntano sui casi isolati, istigando individui facilmente manipolabili per replicare il modello eversivo americano.
Il problema è reale, ma, come già evidenziato in “Idioti dell’orrore”, se riducessimo il tutto a una demonizzazione della sfera online, rischieremmo di cadere negli stessi errori che hanno rallentato di almeno un decennio la comprensione di fenomeni analoghi. La denuncia dell’Europol non riguarda i videogiochi, ma gli ambienti non monitorati come Roblox e piattaforme affini. Il fatto che queste vengano sfruttate da realtà criminali è un problema che da anni affligge il mondo anglosassone e, adesso che anche l’opinione pubblica europea inizia a rapportarcisi, è necessario non scadere in facili banalizzazioni.
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