Lotta al caporalato nella moda, c’è la firma sul protocollo. Allo studio l’estensione in tutta Italia
Vede la luce l’atteso protocollo per la legalità nei contratti di appalto nelle filiere produttive del fashion. Sottoscritto presso la Prefettura di Milano, il protocollo d’intesa è stato firmato ieri anche dal neoeletto presidente di Confindustria Moda, Luca Sburlati, confermando così – sottolinea la nota diramata dalla federazione – “la piena disponibilità a collaborare con le istituzioni pubbliche e con le altre associazioni rappresentative del settore”, presenti alla firma.
Una volontà già esplicitata fin dallo scorso gennaio dall’allora presidente della Federazione Sergio Tamborini e portata avanti da Sburlati, che proprio in occasione del suo discorso d’insediamento tenutosi una settimana aveva ribadito l’importanza capitale di sinergie e aggregazioni virtuose all’interno della filiera.
La firma del documento si inserisce nell’ambito di un più ampio piano in direzione anti-caporalato, e auspicabilmente verrà in seguito esteso all’intero territorio nazionale e non solo lombardo. Attesa e arrivata il 26 maggio, la firma suggella un testo sul quale il Tribunale ha avviato i lavori un anno fa, dopo il caso di tre aziende di moda italiane, Alviero Martini, Giorgio Armani Operations e Manufacturers Dior, soggette alla misura preventiva dell’amministrazione giudiziaria dopo che la Procura della Repubblica cura ha rilevato fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo.
Per tutte e tre le società è stato successivamente revocato in anticipo il provvedimento e per Manufactures Dior, in particolare, è stata stabilita una somma pari a 2 milioni in cinque anni da destinare a iniziative “per identificare le vittime di sfruttamento lavorativo e accompagnarle in percorsi dedicati di protezione, formazione, assistenza e inclusione socio-lavorativa”.
Per dare attuazione a questi obiettivi, il documento prevede l’introduzione di un sistema a “doppio binario” di misure per garantire la legalità. Da un lato, sarà realizzata una piattaforma digitale di filiera, destinata alle imprese produttrici, che raccoglierà informazioni dettagliate sulle strutture aziendali, sulla manodopera impiegata e sulle diverse fasi produttive. Dall’altro, i brand potranno consultare una “green list” generata dal sistema, contenente le ragioni sociali e i codici fiscali delle imprese iscritte alla piattaforma, che operano nel rispetto dei criteri di legalità e trasparenza, contribuendo così alla costruzione di una filiera sana e responsabile.
A incentivare l’adesione, il protocollo prevede anche un sistema di premialità per gli operatori virtuosi. Tra le misure individuate, l’assegnazione di un “Attestato di trasparenza nel settore moda” e l’accesso a specifiche forme di incentivazione stabilite dalla regione Lombardia.
Nel corso della cerimonia di sottoscrizione il prefetto di Milano, Claudio Sgaraglia, ha sottolineato il valore della sinergia tra istituzioni, mondo produttivo e accademico nella costruzione di un sistema efficace di prevenzione e contrasto dell’illegalità, “a tutela di un’economia sana e trasparente nel settore moda”.
A prendere parte alla stesura del documento c’è stata anche Camera Nazionale della Moda Italiana (Cnmi), che ha contribuito “apportando proprie proposte concrete, frutto di un confronto con i brand, per fare in modo che il testo finale fosse il più possibile aderente agli interessi delle aziende di settore ed all’industria della moda nella sua globalità”. Nonostante la collaborazione attiva e il supporto offerti, Cnmi ha sottolineato al contempo la valenza ancora “territoriale e parziale” dell’iniziativa, e la necessità da sempre sostenuta dall’ente di una legge che fosse invece nazionale – in linea con la dimensione della filiera stessa – e che prevedesse una certificazione terza della filiera produttiva capace di assegnare una presunzione di legalità all’impresa certificata.
Inoltre, nonostante il documento rappresenti una sintesi dei principi portati avanti “largamente condivisibile” e “un risultato di sistema importante”, per Cnmi restano aperti alcuni punti che devono essere “declinati operativamente in modo diverso”, riferendosi in particolari a quelli relativi alla tutela della riservatezza e know-how dei clienti e alla divulgazione di informazioni su questi ultimi.
L’obiettivo congiunto, ad ogni modo, è stato quello di mettere a punto un sistema condiviso per la trasparenza e il controllo della filiera, con l’obiettivo di salvaguardare tutti gli interessi in gioco, dalla promozione della piena legalità, alla leale concorrenza tra le imprese nazionali e tra queste e i concorrenti esteri, al pieno rispetto dei diritti dei lavoratori, dai salari alle tutele in materia di salute e sicurezza fino al welfare). Aderente al protocollo, infatti, anche l’altra costola di Confindustria Moda, Confindustria Accessori Moda, rappresentata dalla presidente Giovanna Ceolini, che ha dichiarato: “Firmiamo questo protocollo con la convinzione di rappresentare un’industria sana che lavora per la legalità, per produrre valore economico e sociale. E legalità significa anche formazione delle nuove forze lavoro necessarie per seguire le commesse. Le aziende devono poter produrre contando su una manodopera ben preparata e pagata il giusto. Abbiamo partecipato e continueremo a prendere parte al tavolo di lavoro della Prefettura per consolidare quel modello virtuoso che fa grande il Made in Italy nel mondo. Questa firma, quindi, rappresenta l’inizio di un percorso che deve andare a favore della nostra filiera”.
Confindustria Moda ha voluto porre al centro della propria azione su una serie di aspetti ritenuti irrinunciabili: innanzitutto la centralità dell’applicazione, lungo tutta la filiera, del Contratto collettivo nazionale del lavoro, sottoscritto dalle parti datoriali e sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. È l’applicazione del Ccnl, spiega l’ente, che “garantisce condizioni di lavoro eque e sostenibili per tutti i soggetti in campo: aziende piccole, medie e grandi e tutti i loro collaboratori”.
Attraverso la firma e la formalizzazione del quadro complessivo di intervento, Confindustria Moda si è detta pronta a collaborare in sede tecnica per l’implementazione operativa dei contenuti del Protocollo, a cominciare dalla definizione degli standard produttivi, che consentiranno la verifica della congruità degli appalti e dei target di prezzo associati all’organizzazione delle produzioni.
“Pur trattandosi di un accordo definito su base territoriale – ha commentato Sburlati – è evidente la portata anche nazionale di questo esperimento: ciò sia per la rappresentatività su base nazionale di molti soggetti firmatari che per le caratteristiche specifiche delle filiere produttive della moda, che non conoscono confini territoriali, locali, regionali e molto spesso nemmeno nazionali. Emerge, quindi, l’esigenza di una progressiva e governata estensione dell’applicabilità del Protocollo almeno a livello nazionale a tutela e difesa delle nostre filiere che esprimono ogni giorno prodotti di grande qualità”.
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