L’unità nazional-populista contro gli interessi dell’Italia

Dicembre 18, 2025 - 11:30
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L’unità nazional-populista contro gli interessi dell’Italia

Sono sicuro che il direttore di Linkiesta, che al contrario di me è un vero liberale, non se ne avrà male se utilizzo questo spazio per rovesciare la tesi di un suo recente editoriale, circa la necessità di unire in un grande fronte repubblicano tutte le forze politiche decise a difendere l’Europa, i valori fondamentali della democrazia liberale e dello stato di diritto, dalla minaccia esterna degli autocrati (o aspiranti autocrati) di Mosca e di Washington, e dalla minaccia interna dei populisti di destra e di sinistra. Ma lo spettacolo cui abbiamo assistito ieri in parlamento, in occasione della discussione sulle comunicazioni della presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo, mi hanno fatto pensare che forse bisognerebbe fare l’esatto contrario. Non unire tutti quelli che la pensano allo stesso modo sui principi fondamentali, ma fare il possibile per ritornare a un sistema politico e a un dibattito pubblico in cui i principi fondamentali sono condivisi dalla larghissima maggioranza dei partiti, dei giornali e degli intellettuali, quale che sia la loro collocazione, a destra come a sinistra.

Lo squarcio di verità sul 90 per cento del parlamento, a tenersi bassi, offerto dal dibattito di ieri non lascia spazio per molte illusioni. In fondo, sembra di essere ancora nel 2018, l’anno del grande exploit populista e del governo gialloverde. Se stiamo al merito delle posizioni espresse in aula, al di là delle divergenze tattiche e delle polemiche strumentali, potremmo dire anzi che sulle scelte di fondo si è realizzata una larghissima convergenza, una vera e propria maggioranza di unità nazional-populista, contro l’interesse nazionale e contro l’Europa.

Per quel che riguarda Giorgia Meloni, cioè il governo, cioè l’intera coalizione di centrodestra senza eccezioni, prendo a prestito l’efficace sintesi di Carmelo Palma: «Meloni oggi andrà a Bruxelles non per offrire soluzioni a chi vuole affrontare i problemi, ma per fare problemi a chi cerca soluzioni per l’Ucraina. Ieri dopo avere ripetuto, sempre compuntamente scappellandosi dinanzi all’eroismo ucraino, che l’Italia per la sicurezza dell’Ucraina di domani non vuole mettere né un euro, né un uomo – l’estensione dell’articolo 5 del trattato Nato è un’idea italiana, ma dovrà essere una responsabilità di altri: noi ci fermiamo all’idea – la presidente del Consiglio ha chiarito che per la sopravvivenza dell’Ucraina di oggi non può fare niente di più, ma semmai di meno, del pochissimo che ha fatto finora. All’uso degli asset russi l’Italia è contraria, alla garanzia di fondi nazionali non è favorevole».

Ma se questo è il desolante quadro della maggioranza, cosa dire dell’opposizione? Il continuo utilizzo della facile e irresponsabile demagogia contro le spese militari, di volta in volta strumentalmente contrapposte a quelle per sanità, istruzione, ricerca e ogni altra cosa bella e buona, da parte di tutti i partiti del centrosinistra, rende davvero difficile non dico votarli, ma anche solo prenderli sul serio. Per non parlare di Giuseppe Conte, che nel suo intervento di ieri è riuscito a scavalcare persino Matteo Salvini, intimando al governo, con tono a metà tra il minatorio e il menagramo, di non azzardarsi a mettere la firma sulla scelta di usare gli asset russi per salvare l’Ucraina (cosa che peraltro Meloni non mostra la minima intenzione di fare). Del resto la risoluzione presentata dal Movimento 5 stelle chiede di non inviare più armi all’aggredito, non toccare i soldi dell’aggressore e persino di riprendere in considerazione la possibilità di acquistare gas da lui. Cioè, in pratica, la posizione della Lega.

Ma se questo è lo stato della politica italiana, con la pressoché unica eccezione di Carlo Calenda, mi chiedo se sia utile alla causa cercare di riunire in un unico schieramento e sotto una sola bandiera i pochi ancora disposti a battersi per la democrazia europea, la libertà e lo stato di diritto. Se siamo messi così, non è perché i democratici e gli europeisti abbiano perso questa o quella tornata elettorale, ma perché hanno perso, da tempo, la battaglia delle idee, dell’informazione e della cultura. Ed è dunque da lì che dovrebbero ripartire. E chissà che il piccolo caso scoppiato a Limes, dopo le polemiche dimissioni di diversi storici collaboratori, non sia il primo segnale di una tardiva, timida ma forse ancora possibile presa di coscienza.

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.

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