Meloni governa senza visione, e l’Italia ha buttato via un anno

Il piccolo regalo di Natale che il centrosinistra ha fatto a molti italiani è lo stop imposto alla maggioranza di governo a provvedimenti demenziali contenuti nella legge di bilancio. La fregatura sul riscatto della laurea ne è l’emblema, ma di questi stop ce ne sono stati diversi. La cosa va annotata e valorizzata. Una volta tanto c’è stata una cosa moribonda, la battaglia parlamentare, perché ormai è diventato impossibile emendare le leggi; e tuttavia la pressione politica delle opposizioni, unita ai rilievi del Quirinale, ha fatto sì che la manovra risultasse alla fine un po’ meno indecente delle previsioni. Ma di fatto nella vita degli italiani non cambia niente o quasi (giusto quel mesetto in più per andare in pensione), né l’economia italiana ne trarrà impulso.
Le cose continueranno ad andare male e, anche se dire che i frigoriferi degli italiani sono vuoti appare fuori misura, la realtà è quella della crescita zero, considerando che i soldi del Pnrr finiscono. Sicché questa legge di bilancio targata Giancarlo Giorgetti è un po’ l’emblema del terzo anno di governo Giorgia Meloni: un anno sostanzialmente buttato via.
Dallo slalom sulla politica internazionale, tra il paletto di Washington e quello di Bruxelles, al galleggiamento in politica interna, il Meloni anno terzo è scivolato come un governo pentapartito senza i Ciriaco De Mita e i Bettino Craxi, ma con gli Adolfo Urso e le Anna Maria Bernini, improduttivo come lo erano quelli di Arnaldo Forlani e Giovanni Goria, litigiosetto e iper-clientelare, con l’amichettismo al posto dei soldi.
Nella sostanza, questo governo cristallizza perfettamente l’immagine di un Paese fermo, disilluso, annoiato, nel quale sopravvive la furbizia di un attimo più che il pensiero lungo. Questo Natale meloniano è come gli altri che lo hanno preceduto: a Roma nulla di nuovo.
«Anno tosto», lo ha definito lei, che in effetti si è fatta in quattro saltabeccando da un angolo del mondo all’altro e sbroccando a ogni dibattito parlamentare – la volgarità ideologica sul “Manifesto di Ventotene” resta agli atti come la più ruvida testimonianza di un passato che non passa.
Politicamente Giorgia Meloni non fa sognare, non immagina, non sa. Non ha costruito nulla di nuovo. Altro che De Gasperi. Di quel grande partito conservatore europeo di cui si è vagheggiato qui non si vede nemmeno l’ombra: Fratelli d’Italia resta la versione strapaesana della destra post-fascista e le velleità egemoniche, nel senso forte del termine, si sono arenate su quattro mostre di serie B, sull’occupazione della Rai e sulla presenza di Carlo Conti ad Atreju.
Gennaro Sangiuliano è finito a fare il consigliere regionale e l’immaginifico Alessandro Giuli il damerino alla prima della Scala; eppure è probabilmente il più colto in una compagine che non ha letto i libri fondamentali. Le riforme sono un miraggio, una favola bella che illude qualche politologo, e al di là del merito e delle opinioni, tutte rispettabili, si è capito che la separazione delle carriere dei magistrati non è esattamente nei pensieri degli italiani.
La conclusione è che forse mai nella storia italiana si è avuto quello che è sotto gli occhi di tutti, cioè un governo così totalmente inutile e contemporaneamente così forte. È questo, dispiace doverlo ripetere ogni volta, anche colpa di un centrosinistra che, più che guardare la luna, punta a sbarcare il lunario.
Anche da quella parte è stato un anno perduto in chiacchiere e ricerche di tornaconti personali. La situazione politica, dunque, è nella sua pallida mediocrità stabile e unanime, infatti la convinzione è che Meloni arriverà alla fine della legislatura, così che anche il prossimo Natale, se Dio vuole, scriveremo questo stesso articolo.
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