New Indie Italia Music Weeks #236

“Touch my body tender
‘Cause the feeling makes me weak
Kicking off the covers
I see the ceiling while you’re looking down at me
How can we go back to being friends
When we just shared a bed?
How can you look at me and pretend
I’m someone you’ve never met?“
(Back to friends – Sombr)
Condividere, respirare insieme, guardare la stessa stella: com’è possibile che tutto ciò possa tramutarsi in un ricordo sbiadito da un momento all’altro? Quali strade infauste abbiamo percorso per arrivare a questo punto?
Tutto è possibile…anche dimenticare di essersi dimenticati. Ci vuole del tempo, del coraggio e la giusta distrazione: la musica è una di queste.
Non naufragare tra le pene estive dell’amore. Fa già abbastanza caldo per disperarsi.
Fermati un attimo e scopri i migliori brani e album del mondo #IndieItalia!
Thruppi (Album)
0 ore di sonno (Album)
Sognando ad occhi aperti con tanta voglia di futuro e zero ore di sonno, il primo EP di sedici, in uscita il 13 giugno per Honiro Label e Luppolo Dischi.
Un percorso che non è mai a senso unico, tra la vita di tutti i giorni che teletrasporta le nostre emozioni da un estremo all’altro e il desiderio di andare
oltre, immedesimarsi in un dopo che ancora non vediamo, ma che ci spinge sempre a migliorarci, a crescere. Con atmosfere teen pop e una penna marcatamente gen z, sedici riesce a mettere a nudo non solo le sfide che si affrontano nel ‘’diventare grandi’’, ma anche quell’energia che riesce a rendere
ogni esperienza unica nel suo genere, che dà la forza di conquistare il mondo.
“0 ore di sonno” è il manifesto della mia età, del mio stile di vita, e della mia musica. Giorni che si mescolano alle notti, ore passate a scrivere canzoni, a vivere, a rincorrere emozioni. Alla mia età ci sono giorni in cui non si dorme, e altri in cui si dorme di giorno per recuperare, perché la notte è troppo piena di idee, pensieri, storie da raccontare. Da una parte racconto l’ansia del futuro, dall’altra la vogli i prendersi il mondo. Abbiamo tutto il tempo e il dovere di farlo. – ci racconta l’artista.
Sedici: 7.5
Camere a gas
I Limonov confermano il loro stile sospeso tra techno-rock ed immaginario post-punk, in questo nuovo pezzo uniscono un sound avvolgente ed inquietante con riff minimali, creando un’atmosfera sonora che ci trasmette un po’ di brividi. Il testo possiede una potenza disturbante, elencando immagini che oscillano tra l’onirico ed il terrore.
“Tutto il male che abbiamo commesso, i bimbi che abbiamo cresciuto, il cane che non abbiamo salvato, gli oggetti che abbiamo bruciato.”
Inoltre la frase chiave “Riaprite le camere a gas”, ripetuta in maniera martellante, richiama la distruzione fisica ed emotiva e ci invita a confrontarci con ciò che abbiamo lasciato alle spalle o abbiamo fatto morire. “Camere a gas” non è di facile ascolto, i Limonov propongono una riflessione dura ma necessaria.
(Benedetta Rubini)
Limonov: 8
Graffiti Tramonto
Sensazioni condivise, emozioni vissute, colori che diventano suoni: così DelVento dimostra di saper costruire una canzone intensa e personale. Abbiamo una storia d’amore ambientata sulla costa siciliana, con le ultime luci del giorno e il mare, capace di trasformare un momento in un ricordo indelebile. Si apre con delicate sfumature acustiche, poi evolve in un ritmo vivace che richiama le giornate al mare.
Il sound riflette la sensazione di attesa, di impazienza e di scoperta, la musica riesce ad evocare perfettamente l’estate. “E mentre il mondo va a puttane , guardiamo il mare e le lampare.” Da un’emozione privata si va verso un contesto universale: il mare, il tramonto e la condivisione. Non è una semplice canzone d’amore, ma un ritratto di vita, con luci ed ombre, gioia e malinconia.
(Benedetta Rubini)
DelVento: 8
Pubblicità
“Pubblicità” non è un pezzo che arriva con prepotenza, entra piano, quasi in punta di piedi e poi ci conquista . Il ritmo è avvolgente, c’è un equilibrio tra sperimentazione e accessibilità , in un’atmosfera che sa di serate spensierate , pensieri in loop e suoni brillanti. Il ritornello ironizza sulla ripetitività delle fake promesse, il ciclo infinito di messaggi che non riempiono il cuore ma solo l’aria. L’amara domanda finale invita a riflettere su chi stiamo realmente ascoltando.
“E ricomincia la pubblicità … chissà chi sarà a venderti le bugie scontate in questa città?” La produzione è un mix ben calibrato di rap, elettronica e linee di synth; tutto questo rende questo brano un’ottima scelta per chi cerca musica che faccia scrollare via la monotonia.
(Benedetta Rubini)
Wism & Perenne: 7,5
Pessima idea
Se l’amore non fosse un campo minato di aspettative e silenzi, forse “Pessima idea” sarebbe la colonna sonora perfetta per attraversarlo a piedi nudi con l’asfalto bollente che ci brucia la pelle. Giugno è appena iniziato, ma il sole già picchia forte sulle tempie e sulle domande lasciate in sospeso. L’aria sa di partenze che non si faranno mai e di sogni che evaporano come le gocce sul vetro freddo del frigo. È la stagione delle occasioni mancate e dei ricordi che ritornano a bussare.
In questo clima di contraddizioni, Svegliaginevra torna con un brano che non grida ma sussurra, che non esplode ma rimane sotto pelle. “Pessima idea” è una canzone che non ha bisogno di artifici: ha il passo lento di chi ha imparato a stare in silenzio, ad ascoltarsi, a fare pace con gli errori. Una melodia che scivola leggera, ma che lascia traccia, come l’acqua salata sui polsi dopo un tuffo in mare.
Voce e scrittura si incastrano con quella solita grazia un po’ stropicciata, quella che Svegliaginevra porta addosso come una maglietta d’estate lasciata ad asciugare al sole. Nessun grido, solo una carezza disillusa. La produzione accompagna, non invade. Un tappeto sonoro pulito, essenziale, che lascia spazio alle parole e ai respiri.
“Pessima idea” è il promemoria che ci voleva: anche gli sbagli, a volte, sanno essere casa. Basta solo smettere di correre e restare un po’ dove fa più paura. Perché sotto la superficie delle “pessime idee” c’è spesso qualcosa che somiglia alla verità. O all’estate, quella vera.
(Viola Santoro)
Svegliaginevra: 7,5
ARGENTINA
C’è un momento, d’estate, in cui smetti di cercare un senso alle cose. Il sole picchia forte e non ti fa pensare, il telefono suona a vuoto e le chiamate sono troppe, ti accorgi che forse, per restare a galla, non serve capire tutto: basta lasciarsi andare. “ARGENTINA” arriva così, come uno schiaffo dolce in faccia, come una risata nel mezzo di una giornata storta. Non è solo un brano, è un modo di gridare al mondo: “ci penso domani”.
Giglio prende l’estate e la ribalta, mescolando il folklore al beat urban come se fossero ingredienti di una ricetta che conosce solo lei. La voce è sfrontata e sincera, piena di quell’ironia leggera che viene solo quando hai toccato il fondo e hai deciso che, a quel punto, tanto vale ballarci sopra. Non c’è malinconia qui, solo la consapevolezza che anche quando tutto va a rotoli, e spesso va così, puoi scegliere di rispondere con un sorriso storto e una birra ghiacciata in mano. Non si cerca la perfezione: pretende libertà, istinto, e un po’ di quella sana incoscienza che serve per sopravvivere ai drammi quotidiani senza farne tragedie greche.
È una canzone che non ti prende per mano: ti afferra, ti strattona e ti trascina giù per una discesa di bassi sporchi e frasi da gridare a squarciagola. Un mantra popolare, una piccola rivoluzione personale: tutto fa schifo? Bene, voliamocene via con un volo di terza classe. Giglio non si limita a cantare: costruisce un altare a un certo tipo di leggerezza, quella che non è fuga, ma resistenza. E in un’estate fatta di hit da spiaggia tutte uguali, questa è la botta d’ossigeno che non sapevamo di volere.
(Viola Santoro)
Giglio: 8
Sogno aziendale
Voler solo una vita normale, e ritrovarsi invece incastrati in un incubo fatto di badge, call infinite e acronimi che sembrano più malattie che strumenti di lavoro. “Sogno Aziendale” è la voce fuori campo di chi ogni mattina si sveglia già stanco, di chi ha confuso la stabilità con l’apatia, il contratto a tempo indeterminato con una lenta forma di addomesticamento forzato.
EFFENBERG non gira intorno al punto: ci entra dentro, con quella voce ruvida che sembra appena uscita da una stanza troppo piccola, troppo illuminata al neon. Il brano parte sporco, come una nota vocale lasciata alle tre di notte, poi si apre piano in una produzione precisa ma mai patinata. C’è un equilibrio sottile tra disincanto e ironia, tra il battito meccanico della batteria e la fuga quasi catartica del ritornello. È lì che l’ossigeno arriva, anche solo per un attimo.
Non è un lamento, non è una protesta: è la cronaca lucida di un malessere che ormai abbiamo imparato a mascherare con un “tutto bene” di circostanza. L’ufficio come teatro dell’assurdo, la produttività come religione silenziosa. E in mezzo, l’essere umano: sempre più disconnesso da sé, ma iperconnesso a tutto il resto.
“Sogno Aziendale” è la colonna sonora perfetta per chi ogni tanto sogna di mollare tutto, ma poi torna alla scrivania. È per chi ha una PEC attiva ma un cuore in standby. Un brano che non fa sconti, ma che regala almeno una cosa: la sensazione rara e potentissima di essere capiti.
(Viola Santoro)
EFFENBERG: 8-
La Lingua
C’è qualcosa di antico in “La Lingua”, ma non è nostalgia. È più simile a un ritorno: istintivo, quasi animalesco, come quando si cerca un odore, una voce, una casa che non c’è più. Generic Animal rientra in punta di piedi ma con una chiarezza nuova, abbandonando le impalcature elettroniche e lasciando che il suono torni a essere corpo, legno, respiro. Il brano si muove in una sospensione acustica e scura, tra arpeggi obliqui e ombre antiche, senza mai diventare manierista. Le chitarre pizzicano con una grazia febbrile, la viola si infila tra le crepe del testo, e la voce, ora più pulita ed esposta, non si nasconde: si offre, a tratti si arrende. È la voce di chi ha smesso di difendersi, ma non per questo ha smesso di mordere.
Perché “La Lingua” è tenera, sì. Ma non è gentile.
È una canzone che parla d’amore senza salvarlo. Che striscia, supplica, punge. L’intimità che si fa fastidio. Il desiderio che sa di rimorso. La dolcezza che scava.
La lingua qui si fa lama. Strumento di memoria, ma anche di ferita. Il sapore del passato resta in bocca, ma graffia. E forse è proprio quel bruciore a farci sentire ancora vivi.
(Serena Gerli)
Generic Animal:8
Vecchia Scuola
C’è qualcosa di tenero e frustrante in “Vecchia scuola”. Come quando ti svegli accanto a qualcuno e per un attimo pensi che basti quello. Ma poi ti ricordi che non siete davvero niente. O forse lo siete stati, ma solo di notte. Solo nei messaggi. Solo quando nessuno guarda.
Giuse The Lizia fotografa con una precisione disarmante quel limbo che conosciamo tutti: relazioni che non vogliono un nome, che si fingono amicizie mentre si consumano come amori. Una quotidianità dolceamara fatta di maglioni lasciati in giro, colazioni rubate, gatti sulle pareti e troppe cose non dette. Il brano è un pop agrodolce che non si sforza di essere altro. Si muove morbido, ma con una malinconia che pulsa sotto la superficie. L’arrangiamento è pulito, asciutto, eppure pieno di dettagli che si incastrano con naturalezza: un riff accennato, una batteria che si trattiene, una voce che non forza mai la mano.
“Sei come le schedine e le sigarette, ed io il cretino che non smette”. Basterebbe solo questa frase a riassumere tutto. “Vecchia scuola” è una canzone che non fa drammi, ma racconta con sincerità quella stanchezza emotiva che arriva quando anche il coinvolgimento diventa un’abitudine. È il pezzo perfetto per chi ha amato troppo tardi, o troppo piano. Per chi resta sempre un passo indietro, ma spera lo stesso che qualcuno si volti.
(Serena Gerli)
Giuse The Lizia:8,5
DDL
“DDL” è un brano che non cerca vie di mezzo: è una dichiarazione di presenza, una presa di posizione che si fa sentire già dalla prima nota. Non è solo una canzone, è un corpo che si muove deciso nello spazio, che sfida sguardi e muri invisibili, che rivendica il diritto di esistere senza compromessi. Un’urgenza che pulsa forte, fatta di battiti e respiro, capace di farsi sentire anche quando tutto intorno sembra volerti mettere a tacere.
Il tappeto di sintetizzatori si muove tra luci intermittenti e momenti più caldi, alternando atmosfere quasi sospese a sezioni di maggiore tensione ritmica, grazie a un uso calibrato di percussioni elettroniche e bassi profondi. L’equilibrio tra elettronica e organicità permette al brano di avere quella spinta necessaria senza perdere in naturalezza. La voce di Alice Caronna si fa portavoce di un sentimento che si libera da etichette e pregiudizi, raccontando con sincerità e senza filtri un amore tra due donne che non vuole scuse né compromessi. La scrittura è essenziale, ma potente, e il ritornello si fa inno per chiunque abbia mai sentito il bisogno di rivendicare la propria libertà.
“DDL” non è solo un titolo provocatorio, ma un gioco di ribaltamenti: da acronimo legale a simbolo di lotta personale, un manifesto che unisce il pop all’urgenza politica. Un brano che danza con decisione tra sensibilità e forza, invitando a esistere fuori da ogni schema predefinito(Serena Gerli)
Alice Caronna:8-
Cura di te
Avete presente le domeniche da coma, quelle pigre? Ecco, immaginate quel mood lento lì, aggiungeteci la voglia di esprimere delle emozioni precise verità mezze dette e riflessioni scomode magari con un indie pop disilluso: con “Cura di te”, MIVERGOGNO firma un ritorno sospeso tra cinismo e dolcezza, tra ironia sottile e malinconia primaverile.
La scrittura affilata e minimale rende bene la leggerezza di questo piccolo inno alla sopravvivenza emotiva.
(Ilaria Rapa)
MIVERGOGNO:8
Radici
Una ballad sospesa tra l’alt-rock e il dream pop, una dedica accorata e malinconica alla propria città: Trieste. “Radici” ha la stessa morbidezza di una carezza, ma anche il peso di un nodo alla gola: tra sintetizzatori eterei e chitarre liquide, si snoda un racconto che parla di appartenenza, identità e legami mai del tutto risolti.
Il remix di Macadamia, con la voce di Alessandra che vibra di una malinconia sognante, porta il pezzo in territori ancora più rarefatti e suggestivi, trasformandolo in una vertigine emotiva e sonora.
(Ilaria Rapa)
Katana Koala Kiwi:7,5
Scusa Caterina
Non sempre è facile chiedere scusa, però qualcuno è bravo a prendersi anche colpe che non sono sue e fare un atto di fede, perdonando gli altri e se stesso. “Primogenito”, con uno stile a tratti persino scanzonato, racconta la fine di una relazione che forse non è neanche iniziata perché vi erano diversi punti di visti.
“Scusa Caterina” non è la solita ballata triste che deve dire grazie a Cupido, ma è uno spaccato di vita di una giovane coppia che non solo è confusa dalle circostanze, o dal fatto che l’amore non può essere spiegato, bensì vive in preda all’istinto del momento. Così, quasi per magia o istinto di sopravvivenza, , il futuro può benissimo essere compromesso, non però dalla mancanza di passione che fa rima con il peso delle aspettative.
(Nicolò Granone)
Primogenito: 8
A.H.
Gli innamoramenti più belli sono quelli senza nome e cognome, al massimo hanno qualche lettera o l’idea di vivere un qualcosa di speciale con perfetti sconosciuti, di cui non si sa nulla anche se parlano nella nostra testa con situazioni che possono esistere solo nella musica o nel cinema. Insomma in ogni forma d’arte perché riescono essere catastrofici e pieni di poesia. In contrasto tra cuore e ragione, ricordo che nasce senza esistere, tempo senza tempo fatto di sogni e memoria.
Potevamo e invece no, quando l’atto in potenza è più reale dell’oggettività della ragione però rimane in sospeso come una storia senza intestazione e allo stesso tempo piena di parole e di possibili capitoli che non si sa come possono essere scritti. Messaggi indecifrabili che nascono da uno sguardo per morire in una strada che all’improvviso cambia direzione o peggio, nella paura di esprimere davvero non solo quello che si pensa e chi si sente dentro, nascosto nell’intimità del’io che pensa come un noi.
“A.H”. è un mittente sconosciuto al quale Barry e i Karamazov dedicano il nuovo brano, con la speranza di essere chiari ed enigmatici allo stesso tempo.
(Nicolò Granone)
Barry e i Karamazov: 8,5
Missey
Diventare grandi significa staccarsi un po’ dalla propria confort zone, abbandonare quei luoghi sicuri per uscire dal guscio e buttarsi dentro il mondo inesplorato con la voglia si di scoprire, ma anche di riuscire a ritornare, prima o poi a casa, con più consapevolezza e meno ferite.
Quando si è bambini le ferite che provoca la vita sono spesso evidenti, fanno male, ma meno perché c’è sempre qualcuno che è pronto a curarle. Da adulti qualcosa cambia, ognuno deve capire come guarire, accettando che alcuni traumi lasciano segni che non sono visibili ad occhio nudo, e anzi molte volte, per proteggersi viene spontaneo fare finta di nulla, cercando di creare una corazza e non di medicare, con le cicatrici che possono persino infettarsi, diventando poi incurabili.
Nel brano “Animali Di pezza” Missey non si espone al giudizio, fa qualcosa di più coraggioso. Prende le sue insicurezze legate al futuro e si lascia andare, staccandosi con molta fatica da alcuni momenti del passato perché il tempo chiede attenzione e la strada da percorrere dev’essere affrontata con un bagaglio dal quale non si può essere schiacciati, o solamente rallentati.
(Nicolò Granone)
Animali di pezza: 7,5
Alberta
Chi è Alberta e cosa vuole davvero? O forse più che cosa desidera, cosa sogna?
Per scoprirlo, o meglio per conoscerla, bisogna alzare il volume e dare la mano a Valucre, che con questo nuovo brano ci presenta questa misteriosa protagonista che è un po’ la migliore amica di tutti, ma allo stesso te una diva a tratti antipatica che ti fa divertire e incazzare parecchio.
Alberta ha il fascino della bad girl, uno sguardo che spaventa per la sua profondità e un cervello folle e meraviglioso, di sicuro con lei non ci si annoia mai.
Attenzione però a finire nei guai.
(Nicolò Granone)
Valucre: 7
L'articolo New Indie Italia Music Weeks #236 proviene da Indie Italia Magazine.
Qual è la tua reazione?






