Referendum 8-9 giugno: cosa dice il quesito sui Contratti a termine

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Con questa scheda si affronta il terzo quesito che verrà sottoposto agli elettori dal Referendum dell’8 e 9 giugno, inerente alla disciplina dei Contratti di lavoro a tempo determinato.
In due precedenti interventi, possono essere recuperate quelle sui Licenziamenti illegittimi e contratto a tutele crescenti e sull’Indennità per licenziamenti nelle piccole imprese.
Poi l’analisi si concluderà con i quesiti su Responsabilità solidale negli appalti e Cittadinanza italiana per stranieri.
Quesito n. 3: «Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi»
Anche l’interrogativo riportato sulla scheda di colore grigio affronta la materia del lavoro.
Con esso, si propone di abrogare alcune norme contenute nel Decreto legislativo n. 81/2015 (Jobs Act), che regolano la possibilità di instaurare contratti a tempo determinato, nonché le condizioni per proroghe e rinnovi.
Su queste vi era stata una limitazione in senso restrittivo, introdotta nel 2018 dal cosiddetto Decreto dignità, approvato con il decreto-legge n. 87/2018, e convertito dalla legge n. 96/2018.
Ma con il successivo Decreto Lavoro (approvato dall’attuale Governo con il decreto-legge n. 48/2023 e convertito dalla legge n. 85/2023), è stata nuovamente esclusa la necessità di causale per rinnovi e proroghe nei contratti fino a 12 mesi, e per di più introdotte ulteriori possibilità per i contratti tra i 12 e i 24 mesi.
Al momento, quindi, il contratto a termine può essere stipulato per un massimo di 24 mesi, ma se si tratta di un contratto inferiore ai 12 non è necessario che il datore di lavoro indichi una ragione tecnica e organizzativa che lo giustifichi.
Con il referendum si vuole reintrodurre l’obbligo di motivazione anche per quelli fino a 12 mesi.
L’attuale disciplina, differenziata a seconda della durata
Per i contratti a tempo determinato superiori ai 12 mesi, anche a seguito di proroga o di rinnovo, la legge prevede che debbano sussistere specifiche ragioni giustificatrici, come i casi previsti dai contratti collettivi maggiormente rappresentativi (art. 51 D.Lgs. 81/2015); nei contratti collettivi applicati in azienda (entro il 31/12/2025) per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti; in sostituzione di altri lavoratori.
Un contratto stipulato in assenza di questi presupposti si converte in uno a tempo indeterminato.
Per quelli inferiori ai 12 mesi, invece, è ancora consentito l’utilizzo di contratti a termine senza giustificazione, come pure proroghe e rinnovi con causali molto ampie, il più delle volte definite direttamente dalle parti.
Cosa cambierebbe se venisse abrogata
Se il referendum venisse approvato, pertanto, si avrebbe una sostanziale limitazione degli accordi a tempo determinato, venendo reintrodotto l’obbligo di motivazione ed eliminata la possibilità che le parti possano specificare autonomamente giustificazioni per la stipula, la proroga o il rinnovo di tali contratti.
Dall’abrogazione, invece, rimarrebbero fatte salve altre parti della normativa, come la durata massima di 24 mesi per rapporti intercorsi tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore, compresi periodi di missione nell’ambito di somministrazione a tempo determinato, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, nonché la possibilità di stipulare un ulteriore contratto di massimo 12 mesi presso gli Ispettorati Territoriali del Lavoro; il numero massimo di proroghe, fissate in 4 nell’arco dei 24 mesi; il cosiddetto periodo di stop and go tra un contratto a termine e un altro, che di solito è di 10 o 20 giorni.
Le ragioni del SÌ
Secondo i sostenitori del SÌ con la reintroduzione dell’obbligo di causale, si porrebbe un forte argine ai contratti precari, incentivando la stabilizzazione del lavoro.
A oggi, circa 2 milioni e 700 mila persone hanno contratti di lavoro a tempo determinato.
Se il quesito venisse approvato, si tornerebbe a un sistema in cui ogni contratto a termine dovrà essere giustificato da esigenze concrete, riducendo così la flessibilità per le imprese e aumentando la tutela dei lavoratori contro la precarizzazione, l’abuso di questo strumento, il ricatto occupazionale.
L’assunzione a termine non verrebbe eliminata, ma limitata a causali congrue e casi specifici, fissati nei contratti collettivi sottoscritti dai sindacati maggiormente rappresentativi.
Le ragioni del NO
Secondo i sostenitori del NO, la regolamentazione vigente è già abbastanza equilibrata, avendo subito diverse modifiche legislative.
Se venisse abrogata si produrrebbe un sistema per cui le imprese non potrebbero ricorrere ai contratti a termine neppure in presenza di esigenze di produzione dettate da incrementi straordinari o imprevedibili, rimanendo questi limitati alla sola sostituzione dei lavoratori.
La possibilità riservata ai contratti collettivi è insufficiente, poiché non tutte le imprese ne sono coperte.
Si tornerebbe così a una normativa anacronistica, persino più restrittiva della legge n. 230/1962, quando la stabilità del rapporto di lavoro era costruita, sostanzialmente, sul contratto a tempo indeterminato.
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