Clima: due sentenze storiche di ONU e Cassazione per la giustizia ambientale

Lug 28, 2025 - 23:00
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Clima: due sentenze storiche di ONU e Cassazione per la giustizia ambientale

lentepubblica.it

Arrivano in questi ultimi giorni due sentenze storiche emanate dall’ONU e dalla Corte di Cassazione in materia di clima e giustizia ambientale: scopriamone di più.


Chi inquina paga”. Nel giro di pochi giorni due sentenze storiche della Corte ONU e della Cassazione Italiana ridefiniscono i parametri e le responsabilità di danni ambientali a livello globale e aprono la strada alle cause contro Stati e aziende, anche quelle più potenti.

La battaglia contro il cambiamento climatico da oggi si combatterà anche nelle aule di giustizia, con due sentenze di portata storica che promettono di dare filo da torcere ai negazionisti e a tutti coloro che stanno ancora oggi privilegiando il profitto ad un serio cambio di rotta mondiale.

Due sentenze storiche di ONU e Cassazione per la giustizia ambientale

Due le pronunce, una della Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU (CIG) ed una delle Sezioni Unite civili della Cassazione italiana hanno inviato forte e chiaro un messaggio: “Chi inquina paghi per i danni climatici”. Entrambi questi pronunciamenti hanno di certo aperto la strada a una nuova era di contenziosi climatici, ponendo Stati e grandi aziende di fronte alle proprie responsabilità. La Corte dell’ONU pone obblighi vincolanti e responsabilità internazionale per gli Stati, la Cassazione italiana legittima la causa a ENI, MEF e CDP per danno climatico.

Il parere della Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU

Il giudizio più rivoluzionario arriva da L’Aia, dove la Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU è stata molto chiara ed ha affermato come i trattati sui cambiamenti climatici stabiliscono obblighi vincolanti per gli Stati per proteggere il sistema climatico dalle emissioni di gas serra di origine antropica.

Il collegio di 15 giudici, presieduto dal giapponese Iwasawa Yuji, ha non solo confermato questi “obblighi vincolanti” derivanti dai trattati, ma li ha anche ribaditi e resi espliciti, tra questi l’obbligo di ridurre le emissioni di gas serra con tutte le modalità possibili, la predisposizione di misure di adattamento a tutela dei territori più fragili ai cambiamenti climatici. Ribadito anche l’obbligo che siano i Paesi più ricchi, con maggiori disponibilità economiche a fare da riferimento e guidare la lotta al riscaldamento globale.

Come è stato avviato questo percorso

La sentenza è il risultato di un lungo percorso iniziato nel 2019 da un gruppo di giovani studenti delle Isole del Pacifico e supportato dalla Repubblica di Vanuatu, uno Stato insulare situato nell’Oceano Pacifico meridionale. Tutto l’arcipelago ha origine vulcanica, si trova circa a 1750 km a est dell’Australia, 500 km a nord est della Nuova Caledonia, a ovest delle Figi e a sud delle Isole Salomone. Questo Stato insulare rischia quotidianamente di venire sommerso dall’innalzamento dei mari.

Verdetto rivoluzionario con alcuni passaggi davvero fondamentali per comprenderne anche le future applicazioni e le possibili conseguenze a livello globale, si legge dal pronunciamento come in merito come “La Corte ritiene che la violazione da parte di uno Stato di qualsiasi obbligo individuato costituisca un atto internazionalmente illecito che comporta la responsabilità di tale Stato “. Il risultato sono implicazioni giuridiche concrete inclusa la “riparazione integrale agli Stati lesi sotto forma di restituzione, indennizzo e soddisfazione, a condizione che possa essere dimostrato un nesso causale sufficientemente diretto e certo tra l’atto illecito e il danno”.

Le conclusioni

Seppure dimostrare senza dubbio il nesso causale tra le emissioni di un singolo Stato e il risultato di un evento meteorologico estremo su di un’altra realtà sarà molto complesso in termini scientifici e sarà da valutare nel lungo termine con quali strumento potrà attuarsi, il valore simbolico di questa sentenza è fuori di dubbio.

Da questo momento in poi, si può affermare senza tema di smentita, la giustizia climatica non è più un’opzione astratta, ma un obbligo legale, il che apre la porta a tantissime possibili cause climatiche in tutto il mondo, dando una base giuridica potente e consistente alle richieste di risarcimento avanzate dai Paesi più vulnerabili.

Il parere della Corte di Cassazione italiana

Il pronunciamento Italiano, anche questo rilevante in termini di giurisprudenza e di importante impatto formale ha legittimato con l’ordinanza 20381/2025 depositata il 21 luglio le Sezioni Unite civili della Cassazione, la causa a ENI, MEF e CDP per danno climatico.  La sentenza ha riconosciuto la giurisdizione dei tribunali ordinari in tema di danno da cambiamento climatico, inoltre legittima il ruolo di singoli cittadini nell’agire in giudizio contro grandi attori economici e istituzionali e regala una bella visibilità GreenPeace.

I fatti

Nel dettaglio nel 2023 Greenpeace Italia, ReCommon e altri 12 cittadini hanno citato davanti al Tribunale di Roma, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e l’ENI accusandoli di “inottemperanza” rispetto agli obblighi di raggiungimento degli obiettivi climatici internazionalmente riconosciuti e responsabilità per i danni patrimoniali e non patrimoniali provocati dal cambiamento climatico.

I ricorrenti hanno fatto leva sulla presunta violazione, da parte dei citati, di numerosi obblighi internazionali a partire dalla Convenzione quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici del 1994, all’Accordo di Copenaghen del 2009, gli Accordi di Cancun del 2016 sui tagli ai gas serra, una risoluzione ONU sui diritti umani, l’Accordo di Parigi del 2015, e gli impegni assunti durante le ultime Conferenze di Glasgow nel 2021 e Sharm el-Sheik del 2022.

La richiesta era di obbligare con una sentenza ENI alla limitazione delle emissioni annuali di CO2, e imporre con un pronunciamento al MEF e alla CDP l’adozione di policy per definire e monitorare gli obiettivi climatici di ENI. Il Ministero e la Cassa sono stati citati non in quanto amministrazioni pubbliche, ma come azionisti dell’Eni, ex impresa statale.

Al momento dell’avvio del procedimento, agli atti della domanda, ENI è stata ritenuta responsabile dello 0,6% delle emissioni industriali globali e di 419 milioni di tonnellate di CO2 nel 2022. Le argomentazioni dei periti di parte hanno mostrato come ENI, seppure vincolata dal codice etico a rispettare l’Accordo di Parigi, avrebbe contrariamente adottato una strategia non in linea con le indicazioni scientifiche, con un piano di decarbonizzazione al 2050 che contempla una riduzione delle emissioni di appena il 35% entro il 2030.

Le richieste dei ricorrenti

Da qui deriva la richiesta dei ricorrenti per il riconoscimento del danno da lesione del diritto alla vita e al rispetto della vita privata e familiare per il quale i cittadini hanno portato in causa il colosso nazionale dell’energia per il 56,3% di azionariato Italiano. Nella difesa di ENI innanzitutto la rivendicazione del diritto di determinare liberamente la politica aziendale, inoltre il difetto di giurisdizione sostenendo come nessun giudice italiano potesse esprimersi su una materia così complessa e globale, ritenendo il giudice ordinario non la sede corretta per il dibattuto.

Importante ‘stampella’ a favore dei ricorrenti la causa Cedu Verein KlimaSeniorinnen Schweiz vs Suisse, Anziane per il clima”, un gruppo di attiviste svizzere che ha portato il proprio governo davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per inazione climatica, ottenendo una vittoria storica che ha, tra le altre cose, permesso e riconosciuto la complementarità dell’intervento giudiziario rispetto ai processi democratici in tema di climate change.

Le conclusioni dei giudici

Le Sezioni Unite ha deliberato di rinviare il fascicolo al Tribunale Capitolino per lo svolgimento e la decisione nel merito, aprendo di fatto un nuovo e importante fronte nel contenzioso climatico italiano.

In aggiunta ENI, in quanto società capogruppo, dovrà rispondere anche di tutte le violazioni climatiche commesse da branch estere e società collegate. Nella sentenza è chiarito come chi contribuisce al cambiamento climatico attraverso le proprie emissioni inquinanti può essere chiamato a risponderne in un’aula di tribunale.

L’impatto della sentenza

Questa decisione storica apre la strada a un nuovo capitolo per la giustizia ambientale nel nostro Paese, allineandolo a quanto già accade in altre nazioni europee. In nazioni come Olanda, Germania e Francia le cosiddette “climate litigation” sono già una realtà consolidata, con oltre 200 cause aperte.

La Cassazione ha dato piena ragione alle associazioni ambientaliste ed ha sottolineato come ormai vi sia una certezza scientifica sull’origine antropica del cambiamento climatico, senza scappatoie. Trascurare, sottovalutare, ritardare per prediligere il mero profitto, ancora peggio negare il cambiamento stesso è una minaccia grave per i diritti umani che richiede azioni urgenti da parte di tutti, settore pubblico e privato. Un richiamo forte all’Accordo di Parigi e all’obbligo di ridurre rapidamente le emissioni di gas serra, in linea con tutte le più recenti scoperte scientifiche.

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