Dieci etichette da leggere a Natale (ma anche tutto l’anno)

Dicembre 12, 2025 - 09:30
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Dieci etichette da leggere a Natale (ma anche tutto l’anno)

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Dicembre è quel mese in cui tutto profuma di festa: burro, agrumi, spezie… e un pizzico di marketing. Gli scaffali dell’ultimo chilometro si riempiono di prodotti che urlano “artigianale”, “come una volta” o “premium”, ma basta girare la confezione per scoprire che la realtà è meno poetica. Il trucco? Ignorare la scatola e guardare l’unica cosa che non può mentire per legge: l’etichetta. Abbiamo scelto dieci classici delle feste e gli ingredienti chiave per capire se vale la pena metterli nel carrello.

Panettone
Il Grinch non odia il Natale, odia i panettoni fatti con la margarina. Ma qui la legge ci viene in aiuto: esiste un disciplinare severissimo (D.M 2005) che vieta di chiamare “Panettone” qualsiasi prodotto che non usi burro o suoi derivati (almeno il 16 per cento) come unico grasso. Un altro banco di prova sono i canditi, non inferiori al venti per cento. Smettetela di scansarli: se li odiate è solo perché avete mangiato per anni gomma aromatizzata. Quelli veri hanno due ingredienti in croce: frutta e zucchero. Quando la lista inizia a recitare un rosario di sciroppo di glucosio-fruttosio, conservanti, solfiti e coloranti brillanti, avete davanti un “simulacro” di frutta che serve solo a fare scena.

Pandoro
Se il panettone è complesso, il pandoro è sfacciato: è un’esplosione di colesterolo e felicità. Anche qui vige la dittatura del burro, imposta per legge (D.M. 2005): per chiamarsi “Pandoro” deve contenerne almeno il 20 per cento. Se trovate “oli vegetali” o margarine, non state comprando un pandoro, ma un dolce che gli somiglia solo nella forma. Occhio però ai dettagli aromatici: la legge permette sia la “vaniglia” che la “vanillina”. Se leggete quest’ultima (o il generico aromi) in cima alla lista, quel profumo paradisiaco è nato in laboratorio. Cercate “estratto naturale di vaniglia”: sono i dettagli fanno la differenza.

Torrone
Qui la qualità si misura col righello. Mandorle, nocciole o pistacchi devono occupare spazio, molto spazio. Le versioni oneste partono dal 40-50% di frutta secca. Se scendete sotto il 30%, non state comprando un torrone, ma una costosa zolletta di zucchero gigante in cui la mandorla fa solo un cameo. E occhio al miele: deve esserci, e deve sentirsi. Se è sostituito interamente da sciroppo di glucosio, cambiate corsia.

Cioccolatini e cioccolate calde
A Natale le scatole di cioccolatini si moltiplicano come i Gremlins. Il segreto per non regalare “cera al cacao”? Cercare il burro di cacao. È l’unico grasso ammesso nel cioccolato vero. Appena leggete “grassi vegetali”, “olio di palma” o “shea” in un ripieno che promette di essere “finissimo”, sappiate che state risparmiando sul piacere (e sulla dignità). E quella polvere marrone che state per sciogliere nel latte, è cacao o zucchero colorato? La lista ingredienti è impietosa perché va in ordine decrescente. Se il primo ingrediente è “zucchero” e il cacao arriva (forse) al terzo posto dopo l’amido di mais, non state bevendo una cioccolata calda, ma un budino tiepido e dolciastro. Cercate buste dove il cacao domina o, meglio ancora, comprate cacao amaro vero e fatevela da soli.

Dolci liquorosi
Babà, boeri, tronchetti. Nei dolci liquorosi l’unico indizio che non mente è il nome del distillato: se in etichetta leggi “rum”, “whisky”, “limoncello” o un “liquore al…” con percentuale, vuol dire che la bagna è fatta come si deve. Il distillato vero porta con sé aromi propri – vaniglia, note affumicate, agrumi – e si sente. Quando invece compaiono solo “alcol” e “aromi”, hai davanti una miscela di acqua, zucchero e alcol neutro profumata per imitazione: manca la complessità, resta una punta alcolica un po’ ruvida. La differenza si percepisce al primo morso: il liquore vero accompagna, l’aroma rincorre.

Salmone affumicato
Il salmone affumicato non è tutto uguale, anche se a dicembre sembra identico su ogni tartina. L’etichetta però fa subito ordine: origine, affumicatura e sale sono i tre dati che contano davvero. La provenienza (Norvegia, Scozia, Islanda o Alaska) orienta lo stile e la struttura; il metodo di affumicatura chiarisce il resto. Se c’è scritto “affumicato con legno di faggio”, il profumo arriva da un processo reale. Se compare “aroma di affumicato”, è una versione più rapida e uniforme. C’è poi la questione della salamoia, molto più diffusa di quanto sembri: in molti prodotti l’acqua viene aggiunta – o iniettata – per rendere il filetto più morbido e più pesante. Il risultato è un salmone lucido, molto umido, a volte quasi scivoloso. Nei prodotti migliori, invece, la fetta rimane asciutta e compatta, con fibre visibili e un colore più opaco.

Salse e Paté
Il campo minato dell’antipasto. Se comprate una “salsa tartufata”, leggete la percentuale: se il tartufo è allo 0,1 per cento e il resto è “aromi”, state spalmando un sogno costoso e sintetico. Nei paté (carciofi, noci, olive, ecc), il nemico sono i riempitivi. Se tra i primi ingredienti leggete “fecola”, “amido” o “fibre vegetali”, state comprando un puré aromatizzato. Un paté di qualità deve la sua cremosità alle verdure e all’olio extravergine, non a panna o addensanti come il latte in polvere. E se c’è zucchero in una salsa salata, serve quasi sempre a nascondere materie prime mediocri.

Cotechino e Zampone
Qui il marchio Igp è la vostra assicurazione sulla vita: il disciplinare vi garantisce che state mangiando carne e non scarti. Se il marchio manca, cercate la dicitura “senza carni separate meccanicamente”. Altro campanello d’allarme sono i polifosfati (E450, E451): trattengono acqua e gonfiano il prodotto artificialmente. Un buon cotechino ha bisogno di poche cose: carne, grasso, cotenna, spezie e sale. Tutto il resto è chimica per correggere il tiro.

Brodi pronti
I tortellini sono sacri, ma il tempo è tiranno. Se vi arrendete al brodo pronto (brik o dado), non fatevi ingannare dalle immagini bucoliche sulla scatola. Spesso il primo ingrediente è il sale, seguito dal glutammato (esaltatore di sapidità). Un brodo onesto deve avere carne o verdure vere ai primi posti della lista. Se sa solo di sale, tanto vale sciogliere un cucchiaino nell’acqua calda: costa meno e fa meno danni.

Bevande natalizie
Se per voi Natale è una tazza fumante, attenzione alle scorciatoie da scaffale. Vin Brulé: le bottiglie pronte sono comode, ma spesso nascondono vini mediocri “corretti” con valanghe di zucchero e “aromi” sintetici che imitano cannella e chiodi di garofano. Il consiglio? Comprate un vino rosso che vi piace e usate spezie vere: costa uguale e non saprà di medicina. Sidro: esigete “sidro di mele” (succo fermentato). Se leggete “acqua, zucchero, succo concentrato e aromi” state bevendo una soda alla mela travestita da bevanda celtica. Punch: qui il rischio è lo “sciroppo alcolico”. Se la frutta (mandarino, arancia) è citata solo come “aroma” e il colore è un arancione radioattivo, lasciatelo sullo scaffale. 

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