Fine vita: perché la Consulta ha frenato sul suicidio assistito?
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La Consulta non entra nel merito della richiesta di suicidio medicalmente assistito avanzata da una donna affetta da sclerosi multipla e frena su suicidio assistito e fine vita per motivi “procedurali”: scopriamo di cosa si tratta.
La Corte Costituzionale dichiara inammissibile il caso: per i giudici, prima di sollevare la questione di legittimità, il tribunale avrebbe dovuto accertare, coinvolgendo strutture centrali, l’irreperibilità di strumenti per consentirle l’autosomministrazione del farmaco letale.
Fine vita: la Consulta stoppa il cosiddetto “suicidio assistito”
Con la sentenza n. 132 del 2025 la Corte costituzionale ha respinto per motivi procedurali la richiesta di verifica della legittimità dell’articolo 579 del codice penale, avanzata dal Tribunale di Firenze in un caso di suicidio medicalmente assistito. I giudici hanno giudicato inammissibile il ricorso per assenza di un’adeguata istruttoria sulla disponibilità di dispositivi che consentano alla paziente – una donna toscana di 55 anni, identificata come “Libera” – di procedere in autonomia all’assunzione del farmaco letale.
Il caso
“Libera” è affetta da una forma avanzata e irreversibile di sclerosi multipla che l’ha resa completamente paralizzata dal collo in giù. Sebbene l’azienda sanitaria abbia confermato che la donna possiede tutti i requisiti previsti dalla storica sentenza n. 242/2019 per accedere al suicidio assistito, la sua totale immobilità rende impossibile l’autosomministrazione del farmaco, come richiesto dalla normativa attuale. Da qui la richiesta, avanzata tramite i legali dell’Associazione Luca Coscioni, che un medico possa somministrarglielo al posto suo, senza che ciò comporti responsabilità penali.
Il nodo giuridico è tutto nell’articolo 579 del codice penale, che punisce con la reclusione fino a 15 anni chiunque provochi la morte di una persona, anche con il suo consenso. Il tribunale fiorentino aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale, sostenendo che la norma si traduce in una discriminazione per chi, come “Libera”, è impossibilitata a compiere l’atto in prima persona, pur essendo formalmente idonea ad accedere al suicidio medicalmente assistito.
Le motivazioni dei giudici
La Consulta, però, ha ritenuto che il tribunale non abbia svolto una verifica esaustiva sulla possibilità che esistano – magari fuori dall’ambito regionale – strumenti tecnici in grado di permettere l’autosomministrazione, come una pompa infusionale azionabile con comandi vocali, oculari o buccali. Secondo i giudici costituzionali, era necessario coinvolgere organismi nazionali di riferimento, come l’Istituto Superiore di Sanità, e non limitarsi a una mera “presa d’atto” delle ricerche di mercato effettuate a livello locale.
Nella sentenza si legge che se questi strumenti risultassero disponibili e compatibili con le condizioni della paziente, questa avrebbe pieno diritto ad avvalersene, ricevendo supporto dal Servizio sanitario nazionale. Proprio su questo punto la Corte sottolinea un principio chiave: il diritto al suicidio medicalmente assistito, riconosciuto a determinate condizioni, implica anche un obbligo per il sistema sanitario di garantire supporto tecnico e organizzativo, incluso il reperimento degli strumenti necessari.
Il commento dell’Associazione Luca Coscioni
A commentare la pronuncia è l’avvocata Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni e coordinatrice del collegio legale che assiste “Libera”: «La Corte ha rigettato la questione per motivi procedurali, senza entrare nel merito. È un’occasione persa, ma non definitiva: torneremo davanti al tribunale di Firenze per chiedere la verifica a livello nazionale che la Consulta ha indicato come necessaria. Il tempo, però, è un fattore critico: la malattia di Libera avanza e con essa il rischio che le sue volontà non possano essere rispettate».
Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione, punta il dito contro il disegno di legge in discussione al Senato che escluderebbe del tutto il coinvolgimento del Servizio sanitario nazionale nel processo di verifica del suicidio assistito. «Questa sentenza dimostra che il SSN deve essere parte attiva nel garantire il diritto alla fine della vita. È impensabile che venga escluso dalla procedura, come invece vorrebbe la proposta dell’attuale maggioranza. Chiediamo al Parlamento di bocciare quella legge e approvare invece la proposta di iniziativa popolare sull’eutanasia legale».
Restano molti interrogativi sulla materia
La battaglia di “Libera” prosegue dunque nelle aule giudiziarie, ma solleva ancora una volta interrogativi profondi sull’effettiva possibilità di scegliere consapevolmente e liberamente la propria fine, soprattutto per chi, a causa di patologie invalidanti, dipende totalmente dall’assistenza altrui. Al centro della questione resta la domanda su cosa significhi davvero autodeterminazione quando il corpo non consente più alcun margine di autonomia.
Nel frattempo, la Corte ha riaffermato un punto fermo: il suicidio medicalmente assistito, nei limiti fissati dalla sentenza 242/2019, costituisce un diritto individuale tutelato dalla Costituzione. Ma perché sia effettivamente esercitabile, è necessario che lo Stato faccia la sua parte, anche garantendo – e non ostacolando – i mezzi concreti per attuarlo.
Il testo della decisione
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