Gaza. Parole vuote e carta straccia a lettera dei ministri degli Esteri
di C. Alessandro Mauceri –
A Gaza continua la strage di innocenti e la violazione dei diritti umani. Incurante degli appelli delle autorità internazionali, l’esercito israeliano si ostina ad attaccare i civili riuniti per ricevere beni primari come acqua e cibo (sempre più scarsi, tanto che sono già stati registrati decine di casi di minori morti per malnutrizione). Negli ultimi giorni, l’esercito israeliano ha causato la morte di centinaia di persone accampate o raccolte per ricevere aiuti umanitari.
Anche la decisione di bombardare una chiesa cattolica conferma la precisa volontà di non rispettare nessuna regola del diritto umanitario internazionale o delle Convenzioni che pure il governo israeliano ha sottoscritto e ratificato. A poco sono valse le scuse posticce (compresa la telefonata a Papa Leone).
Di fronte a tutto questo, le azioni degli Stati occidentali appaiono quasi ridicole. Nei giorni scorsi i ministri degli Esteri di 25 paesi (Australia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Giappone, Islanda, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Nuova Zelanda, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, e il Commissario europeo per l’Uguaglianza e le Crisi) hanno rilasciato un comunicato con il quale chiedevano al governo israeliano di fermare i massacri a Gaza. I ministri hanno condannato il modello di distribuzione degli aiuti e il rifiuto da parte del governo israeliano di fornire assistenza umanitaria alla popolazione civile di Gaza, così come il piano di creare una città umanitaria a Rafah. I firmatari si sono detti contrari a qualsiasi iniziativa volta a modificare il territorio o la demografia nei Territori Palestinesi Occupati, tra cui il piano di insediamento E1 per ampliare gli insediamenti tra Gerusalemme e Maale Adummim.
La risposta del ministero degli Esteri israeliano non si è fatta attendere: in un comunicato ha condannato l’appello dei paesi occidentali e (come al solito) ha scaricato la responsabilità di quanto sta avvenendo a Gaza sui terroristi di Hamas. Poi il governo israeliano ha risposto che non ha alcuna intenzione di fermarsi.
Ad una lettura più attenta l’appello dei ministri degli Esteri appare un controsenso. Non solo perché non comprende alcuna misura concreta per costringere Israele a sospendere gli attacchi a civili inermi. Nessuna sanzione, nessuna chiusura delle frontiere, niente. Ma anche perché alcuni di questi governi sono gli stessi che continuano a vendere armi e armamenti a Israele.
La lettera dei ministri degli Esteri mostra un tempismo sorprendente: è stata diffusa solo pochi giorni dopo la riconferma degli accordi di cooperazione tra molti dei paesi firmatari e il governo israeliano. Una cooperazione che, è bene ricordarlo, è anche militare. Solo pochi giorni fa la richiesta di revisione dell’Accordo di Associazione tra UE e Israele è stata bocciata e sono state annullate anche le eventuali sanzioni.
Anche l’accordo bilaterale tra Italia e Israele è stato recentemente tacitamente rinnovato. Firmato nel 2003 e ratificato dal Parlamento con la legge n.95 del 2005, questo accordo prevederebbe, tra l’altro, lo scambio di informazioni e di esperienze di interesse reciproco in materia di difesa, lo svolgimento di esercitazioni congiunte, l’invito di osservatori, lo scambio di informazioni, di tecnologie, brevetti, software, lo scalo di unità navali ed aeromobili e si incoraggiano le rispettive industrie per la ricerca, lo sviluppo e la produzione nel settore militare. In mancanza di una azione concreta da parte del governo o del Parlamento, l’8 giugno 2025, l’accordo tra Italia e Israele è stato automaticamente per altri cinque anni. Eppure non sono mancati gli appelli al governo non farlo, proprio in considerazione del fatto che uno dei temi dell’accordo è la cooperazione militare. Una cooperazione i cui dettagli sarebbero sconosciuti anche al Parlamento (ma allora in base a cosa ha deciso?): pare, infatti che i dettagli dell’accordo siano segretati. Secondo alcune fonti prevederebbe la lotta al terrorismo. Anni fa, in occasione della prima firma dell’accordo, il senatore Malabarba, del gruppo misto-Rifondazione Comunista, parlò di “un’altra clausola centrale nella nuova intesa riguarda una non meglio precisata “collaborazione nel combattere il terrorismo”. Il senatore sottolineò che, visto che Israele considera “terrorismo” qualsiasi forma di resistenza palestinese o dei paesi vicini (e lontani come dimostra la missione in Iran), con l’approvazione dell’Accordo l’Italia correva il rischio di “entrare in guerra coi movimenti arabi che cercano di liberare le loro terre dall’occupazione”. Sono passati più di vent’anni. E nessuno dei governi che si sono succeduti ha mai detto nulla su questo accordo: è stato rinnovato tacitamente per un ventennio.
Anche l’attuale governo non ha mai pensato seriamente, nemmeno per un momento, di non rinnovare l’accordo con Israele. Solo dopo il bombardamento di una chiesa cattolica nella quale hanno perso la vita due persone (e le decine di migliaia di bambini innocenti uccisi?), il Ministro ha deciso di firmare con una ventina di colleghi una nota nel quale si invita molto gentilmente il governo israeliano a fare più attenzione.
Ovviamente nella lettera, i Ministri si sono guardati bene dal citare i rapporti internazionali e bilaterali che hanno firmato con Israele. E neanche il rapporto From economy of occupation to economy of genocide presentato pochi giorni fa (che coincidenza) della Relatrice speciale sui diritti umani nei territori palestinesi occupati delle Nazioni Unite, Francesca Albanese. Un documento dove si parla dei rapporti economici delle grandi multinazionali (alcuni con sedi nei paesi firmatari della lettera) con Israele. Accordi che, a volte, riguardano il settore militare (come per alcune delle Big Tech). Di questo, stranamente, nella lettera inviata dai ministri al governo israeliano non c’è traccia. Eppure si tratta di informazioni importanti. Basti pensare che, subito dopo aver letto questo documento, il presidente americano Trump, per bocca di Rubio, ha annunciato alcune sanzioni nei confronti della relatrice delle Nazioni Unite per i diritti umani nei territori palestinesi Francesca Albanese. Nel farlo, entrambi hanno dimostrato la propria preparazione in materia di diritto internazionale: secondo quanto previsto dall’articolo 105 del Trattato istitutivo delle Nazioni Unite, sottoscritto anche dagli USA alla Conferenza di San Francisco del 26 giugno 1945 ed entrato in vigore il 24 ottobre 1945, “…l’Organizzazione gode, nel territorio di ciascuno dei suoi Membri, dei privilegi e delle immunità necessari per il conseguimento dei suoi fini. 2. I rappresentanti dei Membri delle Nazioni Unite ed i funzionari dell’Organizzazione godranno parimenti dei privilegi e delle immunità necessari per l’esercizio indipendente delle loro funzioni inerenti all’Organizzazione”. Questo significa che le parole intimidatorie di Trump e di Rubio non servono a niente. Se non ad alzare un po’ di polverone e far contento il leader israeliano.
Ma anche di questo, e della possibilità di verificare se effettivamente i bersagli civili colpiti da Israele erano sospetti, non c’è traccia nella lettera inviata dai ministri degli Esteri.
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