I tempi – geologici – delle bonifiche ambientali

Lug 8, 2025 - 01:30
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I tempi – geologici – delle bonifiche ambientali
bonifiche ambientali

Lo sviluppo industriale ha lasciato in eredità al nostro Paese una miriade di siti inquinati, che ancora oggi mettono a repentaglio la salute delle persone e degli ecosistemi. Anche se gli interventi di bonifica procedono a ritmi estremamente lenti, ci sono per fortuna esempi virtuosi che, in alcuni casi, vedono la collaborazione di pubblico e privato

Sono passati quasi quarant’anni da quando, nel 1986, la legge 349 istituiva il Ministero dell’Ambiente e introduceva il primo riferimento normativo alle aree a elevato rischio di crisi ambientale.

Quattro decenni che, semplificando, possono essere divisi in quattro fasi, con la prima dedicata alla definizione del concetto di bonifica dei siti inquinati e all’introduzione delle prime disposizioni specifiche per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati.

Il secondo decennio è invece servito per scrivere il Testo unico ambientale (il famoso Dlgs 152/2006), che disciplina gli interventi di bonifica e ripristino dei siti contaminati.

Questi anni vedono poi la crescita numerica dei Siti di interesse nazionale (Sin), quelli cioè che devono essere oggetto di bonifica urgente, che nel 2008 arrivano a 57.

Dopo altri vent’anni in cui si sono susseguite una serie di disposizioni che hanno modificato i criteri di definizione di questi siti, si è arrivati all’oggi quando, con oltre 226.000 ettari (tra suolo e mare) che rientrano in questo perimetro, ci si trova in una situazione caratterizzata da ritardi e lungaggini sempre più rilevanti.

Bonifiche ambientali in Italia: il punto della situazione

Qualche numero aiuta a capire: su 148.598 ettari di Sin (presenti in tutte le regioni, fatta eccezione per il Molise), è stato caratterizzato solo il 24% della matrice suolo, passaggio fondamentale per progettare gli interventi di bonifica.

Solo per il 5% del terreno delle aree perimetrate (6.188 ettari su 148.598) c’è un progetto di bonifica o di messa in sicurezza approvato e solo il 6% dei suoli (7.972 ha su 148.598) ha completato il processo di bonifica.

Situazione simile per le falde: il 23% delle acque sotterranee ha un piano di caratterizzazione eseguito e solo il 7% ha il progetto di bonifica o di messa in sicurezza approvato. Se poi guardiamo ai procedimenti di bonifica che sono stati terminati, arriviamo a uno sconfortante 2%.

Ma la cosa forse più preoccupante è il ritmo a cui vengono effettuate le bonifiche: in media, ogni anno vengono bonificati solo 11 ettari di suolo, il che vuol dire che per i Sin più virtuosi serviranno almeno 60 anni per concludere l’iter di bonifica (arrivando circa al 2085), mentre per quelli meno fortunati potrebbero servire anche centinaia di anni.

Come si vede, una situazione decisamente preoccupante. Soprattutto perché nei Siti di interesse nazionale vivono quasi 6 milioni di persone che subiscono gli effetti di un’esposizione prolungata a mix di sostanze inquinanti e, a fronte della quale, risulta ancora più grave il ritardo, denunciato più volte da Legambiente, con cui si sta procedendo alla bonifica dell’area della Caffaro.

Si tratta di un’azienda della provincia di Brescia che, fino alla metà degli anni Ottanta, ha prodotto policlorobifenili (Pcb) che hanno inquinato terreni e corpi idrici. E per cui, a oggi, manca la ratifica della nomina del Commissario straordinario da parte della Corte dei Conti.

Qualcosa si muove per le bonifiche ambientali

Per fortuna, in questo quadro in cui le cose sembrano succedere a ritmi geologici, qualcosa si muove.

Semataf, una società del Gruppo EcoEridania, ha annunciato l’avvio del progetto di bonifica e riconversione dell’area ex Yard Belleli nel porto di Taranto, un intervento per la rigenerazione in ottica sostenibile di uno dei principali siti industriali del Sud Italia.

I lavori, risultato di una collaborazione tra pubblico e privato, comprenderanno interventi di messa in sicurezza del sito, il completamento delle infrastrutture ambientali e la realizzazione di nuove strutture industriali per supportare la riconversione economico-produttiva dell’area.

Anche la tecnologia può dare il suo contributo, in un contesto, come abbiamo visto, segnato da ritardi enormi e croniche mancanze di risorse.

Ispra ha di recente presentato Rocks (Risk Ordering for Contamination Key Sites), un software che supporta la pianificazione al livello regionale degli interventi di bonifica prioritari e che può contribuire a ottimizzare l’impiego delle (spesso scarse) risorse disponibili.

Rocks, sviluppato da un team interamente femminile, aiuta a identificare quali sono i siti potenzialmente contaminati censiti nei Piani Regionali di Bonifica che necessitano degli interventi più urgenti, assegnando a ciascun sito un punteggio di rischio (Indice di Rischio Relativo).

Il software, che permette anche di definire una graduatoria delle priorità, si basa sui Criteri di Priorità Nazionali definiti da Ispra con il supporto determinante delle Regioni, delle Arpa e di altre Amministrazioni.

Questa pianificazione è ancora più importante nei siti orfani, cioè quei siti dove non si riesce a identificare il responsabile dell’inquinamento o dove comunque non si interviene.

In questi casi, il settore pubblico che deve prendere in carico e completare la bonifica può trovare in Rocks un valido contributo.

Crediti immagine: Depositphotos

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia